Con la fine del periodo di imposta il termine, per eseguire il pagamento dell’IVA, si avvicina rapidamente per evitare il reato previsto dall’articolo 10-ter del D.Lgs. 74/2000 di omesso versamento dell’Iva, sanzionato con la reclusione da sei mesi a due anni. Il reato si consuma con lo spirare del termine previsto per il pagamento dell’acconto IVA. Infatti se entro il 27 dicembre non viene versato almeno quella parte dell’imposta che consente di far scendere il debito dell’anno precedente sotto i 50.000 euro.
Pertanto il prossimo 27 dicembre si consuma il reato in capo a quei contribuenti i quali hanno dichiarato per l’anno 2012 (ma non versato) imposta per un ammontare superiore ai 50.000,00 euro.
In merito a tale reato la Cassazione è intervenuta con una serie di sentenze assumendo una linea interpretativa particolarmente rigorosa.
Le Sezioni Unite penali intervenute recentemente con la sentenza n. 37424/2013 hanno puntualizzato che il reato non si pone in rapporti di specialità rispetto all’analoga violazione tributaria che pure viene commessa in presenza di omesso versamento (sanzione del 30% dell’importo non versato in base all’articolo 13, comma 1 del decreto legislativo 471/1997). La conseguenza di tale interpretazione e che trovano applicazione entrambe le sanzioni, quella penale e quella tributaria. Tale interpretazione poggia sulla circostanza che gli elementi costituivi di queste violazioni penali e di quelle tributarie sono in parte differenti. Infatti la presentazione della dichiarazione Iva è richiesta solo ai fini penali, mentre l’omesso versamento degli acconti Iva è richiesto solo per la violazione tributaria. Per cui non è possibile invocare la non sanzionabilità ai fini tributari degli omessi versamenti in presenza di condanna penale del medesimo trasgressore, a norma dell’articolo 19 del decreto 74/2000.
Per quanto concerne l’esclusione della colpevolezza in presenza di crisi di liquidità. In merito a tale elemento varie sentenze dei giudici di merito penali hanno ritenuto che la comprovata situazione di difficoltà economica escluda l’elemento psicologico del reato richiesto ai fini dell’integrazione della fattispecie penale di omesso versamento. Evidentemente occorre provare in modo dettagliato e inequivocalbile l’effettivo stato di difficoltà economica dell’interessato. E, in ogni caso, si tratta di pronunce isolate, che al momento non scalfiscono il principio generale secondo il quale i tributi vanno comunque pagati.
Nelle motivazioni di queste sentenze che non costituiscono un consolidato orientamento ma delle eccezioni prendendo atto della sussistenza della condotta illecita, hanno ritenuto non provato il dolo, in base alla circostanza che gli imputati, tra altre motivazioni possibili, vantassero crediti da enti pubblici, la cui mancata riscossione non consentiva il versamento delle imposte.
Le Sezioni unite, invece, partendo dal presupposto che l’Iva viene riscossa una volta emessa la fattura e sussiste quindi un obbligo di “accantonamento” da parte del contribuente per eseguire il successivo versamento, hanno ritenuto integrato il reato anche in presenza di crisi di liquidità. Sul punto, però, la medesima sentenza sembra offrire una minima apertura ove il contribuente dimostri, circostanza non particolarmente semplice, oltre alla crisi di liquidità in cui verte l’azienda anche che l’omesso versamento non sia dipeso da una scelta dell’imprenditore.
In molte ipotesi di omesso versamento Iva, una volta ricevuto l’avviso bonario dell’agenzia delle Entrate, o la cartella di pagamento da Equitalia, il contribuente provvede a pagare quanto dovuto, anche se a rate (e quindi a reato già consumato, successivamente cioè al 27 dicembre).
Va tenuto presente che il pagamento (sotto qualsiasi forma e a prescindere anche dalla notifica dell’avviso bonario o della cartella) eseguito dopo tale data, non fa venir meno la violazione penale ma riduce la pena di un terzo (fino al 17 settembre 2011, della metà). È necessario a tal fine, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, che l’estinzione integrale del debito avvenga prima dell’apertura del dibattimento. In concreto, quindi, per beneficiare dell’attenuante il contribuente dovrà estinguere le rate prima di tale udienza.
Sotto il profilo procedurale, può tornare utile ricordare che la maggior parte dei reati di omesso versamento, si concludono con il decreto di condanna, ossia un procedimento speciale che prevede l’instaurazione di un giudizio sulla sola base degli atti delle indagini preliminari presenti nel fascicolo del pubblico ministero, in assenza dunque sia dell’udienza preliminare sia del dibattimento. Il pm può così chiedere al gip di emettere un decreto penale contenente la contestazione del reato e l’applicazione della pena solo pecuniaria.
Sia in ipotesi di decreto penale sia di condanna a seguito di altro procedimento (patteggiamento incluso), è sempre prevista la confisca per equivalente se il contribuente, debitore dell’erario, non abbia estinto il suo debito Iva col fisco.
Ove, invece, abbia pagato (per intero) l’imposta anche se, di norma, successivamente alla scadenza penalmente rilevante, pur risultando comunque integrato il reato, la confisca per equivalente non si può più eseguire. Si tradurrebbe, infatti, in una ingiustificata doppia sanzione (Cassazione, sentenza 45189/2013).
Si può poi verificare che la società prima della scadenza del 27 dicembre e in pendenza di omesso versamento Iva, sia stata dichiarata fallita ovvero sia stata posta in liquidazione.
Secondo la Cassazione con la sentenza 39082/2013, il precedente amministratore ne risponde se si dimostra che la sua gestione era finalizzata all’evasione dell’imposta, non provvedendo ai previsti accantonamenti e ponendo il curatore nell’impossibilità di assolvere l’obbligo fiscale.
Si ritiene peraltro che anche il nuovo rappresentante legale nel caso di liquidatore, subentrato prima della scadenza, non debba rispondere del reato, ove si dimostri con le necessarie evidenze in atti la grave situazione debitoria ereditata all’atto dell’assunzione dell’incarico e che quindi la sua condotta non abbia in alcun modo influito nell’inadempimento.
Dalle interpretazioni giurisprudenziali, occorrerebbe probabilmente riflettere sulla necessità di una modifica normativa, per evitare che il contribuente si trovi in una situazione singolare: da una parte non incassa i corrispettivi dai propri fornitori e dichiara comunque il dovuto, dall’altro non potendo versare somme che non ha (o preferendo impegnarle per il pagamento dei dipendenti e dei fornitori) commette un delitto.
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