La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 1820 depositata il 17 gennaio 2014 intervenendo in tema di sequestro per equivalente ha statuito che nelle ipotesi di utilizzo di fatture solo in parte inesistenti, il sequestro preventivo deve riguardare l’imposta relativa agli importi ritenuti fittizi e non all’intera fattura. In caso contrario è violato il principio di proporzionalità tra la misura cautelare e l’entità del fatto.
La vicenda ha riguardato due contribuenti a cui, in seguito a verifiche fiscali, gli veniva contestato il reato di cui all’articolo 2 del Dlgs 74/2000 relativo all’utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti. Dalla verifica, infatti, era risultato che alcuni documenti riportavano importi superiori al reale (sovrafatturazioni).
Per cui il GIP , su richiesta del PM, disponeva, con ordinanza, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente di beni mobili ed immobili pari al profitto dei reati contestati. Avverso tale provvedimento del GIP proposero ricorso al Tribunale della libertà che, però, confermava la misura cautelare disposta dal GIP.
Per la cassazione della decisione del giudice di seconde cure gli imputati, per il tramite dei propri difensori, proponevano allora ricorso alla Corte Suprema. Gli indagati lamentavano,in particolare, che il decreto di sequestro non specificava l’importo dell’imposta evasa riferibile alla parte “gonfiata”, ma si riferisse all’intero importo dei documenti nonostante si fosse in presenza di fatture solo in parte inesistenti (sovrafatturazioni). Pertanto secondo la linea difensiva degli indagati la determinazione dell’imposta evasa posta a base del sequestro, era stato effettuato considerando gli interi imponibili e l’Iva esposti nei documenti contabili.
Gli Ermellini accolgono il ricorso dei ricorrenti per violazione del principio di proporzionalità tra la misura cautelare e l’entità del fatto. I giudici di legittimità hanno rilevato che il provvedimento cautelare era basato sull’errata individuazione del profitto del reato e quindi dell’importo sottoposto a sequestro.
La Corte ha ribadito il suo orientamento in tema di misura cautelare riaffermando che lo stesso non può avere ad oggetto beni per un valore eccedente il profitto ed il giudice è tenuto a valutare l’equivalenza tra il valore dei beni e l’entità del profitto.
Nel caso di specie risultava fin dal capo di imputazione che si era in presenza di fatture in parte riferibili ad operazioni esistenti. Infatti il decreto richiamava espressamente il calcolo eseguito dagli organi di controllo. I predetti calcolo, però, riguardavano riguardavano la sintesi dell’imposta evasa per singola annualità e per indagato, senza operare alcuno scorporo dell’effettivo profitto (rappresentato dalle operazioni parzialmente o in tutto inesistenti con esclusione di quelle avvenute).
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