La Corte di Cassazione sez. tributaria con la sentenza n. 15651 del 21 giugno 2013 afferma che i parametri sono inapplicabili al contribuente in pensione, che svolge saltuariamente l’attività di consulente e che è titolare di royalties e brevetti.
Nel caso di specie il contribuente, protagonista della vicenda giudiziaria in questione, alla ricezione di un avviso di accertamento basato sui parametri, con cui l’Ufficio aveva elevato i ricavi e quindi il reddito da lavoro autonomo, con conseguenti maggiori IRPEF e IVA proponeva ricorso in Commissione averrso tale atto impositivo. Con il ricorso, il contribuente, deduce la nullità, posto che la sua attività prevalente non era quella di consulente, ma quella (il cui ricavo era superiore) derivante dall’utilizzazione economica di invenzioni industriali. Tale deduzione difensiva non ha però colto nel segno. I giudici di merito hanno infatti dichiarato valido l’accertamento, escludendo che il ricorrente sia riuscito a giustificare lo scostamento del reddito dichiarato dai parametri. A questo punto la controversia è approdata in Cassazione.
Gli Ermellini ha ribaltato le sorti del giudizio, rinviando la causa alla Commissione Tributaria Regionale. La sentenza di secondo grado è apparsa fondata esclusivamente sul valore presuntivo dei parametri, mentre nulla ha argomentato “in ordine alle specifiche giustificazioni del contribuente, che, invero, al fine di motivare lo scostamento tra quanto dichiarato e quanto accertato in base ai parametri, ha dedotto di svolgere del tutto episodicamente l’attività di consulenza, in quanto pensionato e titolare di royalties e brevetti”.
La Corte Suprema conferma anche in questa occasione ha richiamato i principi di diritto fissati dalla Sezioni Unite con la nota sentenza n. 26635 del 2009, giungendo alla conclusione che il giudice del merito non ne abbia fatto buon governo. Si ricorda che, con la citata sentenza, il massimo consesso di Piazza Cavour ha precisato che “la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standard al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici”.
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