La Cassazione con la sentenza n. 10739, 8 maggio 2013, afferma che l’affermazione di un marchio nuovo e poco pubblicizzato non giustifica lo sconto fatto dalla società estera alla società collegata italiana. Gli Ermellini confermano il loro orientamento in riferimento agli obblighi di prova dell’amministrazione finanziaria. Infatti ribadisce che l’Agenzia non deve provare che vi sia elusione o meglio convenienza fiscale ma solo dimostrare che esistono operazioni anomale tra imprese collegate.
Pertanto per l’Agenzia delle Entrate diviene possibile contestare il transfer pricing senza la necessità di provare l’elusione fiscale o il fatto che in Italia vige un maggior carico di imposte. L’Agenzia delle Entrate deve soltanto dimostrare che l’operazione di transazione fra società estera e nostrana è avvenuta ad un prezzo troppo basso rispetto a quello normalmente praticato sul mercato. Inoltre. afferma, la Cassazione che l’affermazione di un nuovo marcho no è una valida ragione per applicazione di sconti.
Gli Ermellini hanno accolto il ricorso dell’Agenzia delle entrate che aveva recuperato con avviso di accertamento a tassazione 200 mila euro di Irpeg e Irap, ritenendo che le operazioni intercorse tra la società estera e la collegata italiana fosse stata fatta a prezzi troppo bassi rispetto a quelli normalmente praticati. La difesa della ricorrente era basata sul sostenere che il marchio dei beni alienati era appena stato creato e non ancora pubblicizzato, da qui lo sconto. La suindicata motivazione era stata ritenuta dai Giudici di merito sufficiente.
Gli Ermellini hanno affermato, in particolare, che le operazioni economiche rientrante nella categoria di transfer pricing costituisce un’alterazione del principio della libera concorrenza. E questo nel senso che transazioni tra società appartenenti ad uno stesso gruppo, ma con sede in paesi diversi, avvengono per prezzi che non hanno corrispondenza con quelli praticati in regime di libero mercato. Il fenomeno, quindi, dà luogo a uno spostamento di imponibile fiscale. E, pertanto, permette di sottrarre imponibile a stati con maggiore fiscalità. Cosicché, proprio allo scopo di preservare la esatta pretesa impositiva di ciascuno stato, sono state adottate normative nazionali predisposte a eliminare il fenomeno stesso del transfer pricing.
L’attuale sistema legislativo italiano prescinde dalla dimostrazione di una più elevata fiscalità nazionale. La normativa rappresenta una difesa più avanzata di quella direttamente repressiva della elusione. «Elusione che, per tale ragione, non occorre dimostrare». E questo, appunto, perché le leggi nazionali sono volte a reprimere il fenomeno economico in sé. Difatti, tra gli elementi costitutivi della fattispecie repressiva del transfer pricing non si rinviene quello della maggiore fiscalità nazionale. «Non occorre, si ripete, provare la elusione».
Pertanto secondo le regole ordinarie, il contribuente deve provare l’infondatezza di quanto ritenuto dall’Agenzia, di vicinanza della prova di cui all’art. 2697 c.c., dimostrare che le transazioni sono intervenute per valori di mercato da considerarsi normali ai sensi dell’art. 9, comma 3, dpr n. 917 del 1986. Per quanto concerne la novità del marchio che giustificherebbe, a detta della difesa dell’impresa, il prezzo scontato la Cassazione ha invece precisato che non sono motivi sufficiente per rendere plausibile agli occhi dell’amministrazione finanziaria e della libera concorrenza un costo così ridotto.
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