AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 30 agosto 2021, n. 576
Trattamento IVA applicabile ai contributi aggiuntivi versati a una Associazione da parte di enti associati. Articoli 2 e 3 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633. Articolo 11, comma 1, lett. a), legge 27 luglio 2000, n. 212
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente
Quesito
Il Centro Studi Alfa (nel prosieguo Centro Studi istante), rappresenta di essere un’Associazione volontaria di enti pubblici locali, iscritta nel registro regionale delle persone giuridiche, costituita attualmente dai soci: il Comune Beta insieme ad altri circa 70 Comuni dell’area (…); la Città metropolitana Gamma, la Provincia Omega.
L’istante fa, altresì, presente che svolge, senza scopo di lucro, attività di supporto tecnico-scientifico nei confronti degli enti locali associati, realizzando studi, piani e progetti in materia di pianificazione-programmazione urbanistica-territoriale, infrastrutturale, ambientale e in tema di sviluppo socio-economico locale.
Detta attività, da quanto evidenziato dallo stesso interpellante, viene organizzata attraverso programmi annuali, anche sulla base delle esigenze e delle richieste evidenziate dagli enti associati.
Detti programmi prevedono, a integrazione delle attività di carattere generale aventi una rilevanza per tutti gli enti associati, anche attività specifiche in favore dei medesimi enti associati, ai sensi di quanto disposto dall’articolo 2, comma 2, lettera c), e dell’articolo 3 dello Statuto, che stabiliscono, tra l’altro, l’indicazione dell’eventuale contributo aggiuntivo necessario al ristoro parziale dei maggiori oneri connessi allo svolgimento delle predette attività.
Ciò premesso, il Centro Studi istante chiede chiarimenti in merito al trattamento tributario, agli effetti dell’IVA, applicabile a detti contributi aggiuntivi versati dagli enti associati a fronte delle predette attività, in base a quanto previsto dalle predette disposizioni statutarie.
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
L’interpellante ritiene che, in considerazione della natura di contributo e non di corrispettivo, alle somme di denaro ricevute dai vari enti locali associati non debba applicarsi l’IVA, per carenza del presupposto oggettivo di cui all’articolo 3, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, costituendo piuttosto una fattispecie disciplinata dall’articolo 2, comma 3, lettera a), del medesimo d.P.R. n. 633.
Con riferimento al presupposto oggettivo, l’istante evidenzia che l’articolo 3 del richiamato d.P.R. n. 633 non fornisce una definizione generale di prestazione di servizi elencando, piuttosto, le fonti dalle quali scaturisce l’obbligo di eseguirla. Infatti, la disposizione si riferisce alle prestazioni verso corrispettivo dipendenti da una serie di contratti e da obbligazioni di fare, non fare e permettere da qualsiasi fonte pervengano.
Il requisito della corrispettività è soddisfatto in presenza di una controprestazione, un vantaggio economico valutabile per il prestatore, che sia tale da giustificare il servizio.
Secondo il Centro Studi la normativa europea, nel classificare le operazioni soggette a IVA, pone particolare attenzione all’onerosità intesa come criterio di economicità dell’operazione, sicché l’assenza di corrispettivo e, quindi, di onerosità, determina la carenza del requisito economico dell’operazione. La giurisprudenza della Corte di Giustizia UE ha statuito che l’onerosità richiede l’esistenza di un nesso giuridico in cui sia stabilito un controvalore il quale abbia un nesso diretto con il servizio reso al committente, presupponendo un rapporto giuridico di natura sinallagmatica. In caso contrario, ove non vi sia tale collegamento, l’operazione non rileva agli effetti dell’IVA. Al riguardo, a parere dell’istante, tale nesso di sinallagmaticità appare di problematico inquadramento nei casi in cui la Pubblica Amministrazione eroghi contributi a determinati soggetti per supportarne l’attività. Proprio in considerazione di dette difficoltà interpretative, rileva l’interpellante, l’Agenzia delle entrate ha emanato la circolare n. 34/E del 21 novembre 2013, con cui si è cercato di apportare chiarezza sul complesso tema.
Relativamente al caso in esame, l’istante ha inteso, innanzitutto, evidenziare che rilevano le conclusioni raggiunte nella ricognizione di diritto amministrativo, in quanto nel parere reso da un primario studio specializzato in tale area è stato precisato che le convenzioni tra il Centro Studi e i propri enti associati sono riconducibili nella fattispecie delineata dall’articolo 15 della legge 7 agosto 1990, n. 241, ossia agli accordi fra pubbliche amministrazioni, successivamente ripresi dal decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (codice dei contratti pubblici), precisamente all’articolo 5, comma 6.
Già alla luce di detto inquadramento, appare assente la natura di corrispettivi a carattere oneroso delle somme di cui al predetto articolo 15.
Inoltre, a sostegno della non onerosità della prestazione, l’istante citata la delibera n. (…) dell’ (…), nel punto in cui viene stabilito che “una convenzione tra amministrazioni aggiudicatrici rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 15, L. n. 241/1990 ove regoli la realizzazione di interessi pubblici effettivamente comuni alle parti, con una reale divisione di compiti e responsabilità, in assenza di remunerazione ad eccezione di movimenti finanziari configurabili solo come ristoro delle spese sostenute e senza interferire con gli interessi salvaguardati dalla normativa sugli appalti pubblici”.
Il Centro Studi conclude affermando che – considerata la natura degli accordi di cui al citato articolo 15 della legge n. 241, nonché le caratteristiche specifiche riconducibili alla sua funzione rispetto alle esigenze dei propri soci -appare plausibile ritenere che dette somme, lungi dal configurarsi quali corrispettivi di un’attività resa nell’ambito di un contratto a prestazioni corrispettive, siano piuttosto mere movimentazioni finanziarie, a parziale ristoro (in quanto non riescono neanche a coprire interamente i costi) dell’onere finanziario sostenuto dallo stesso nello svolgimento dell’attività istituzionale, rispondente a un principio di interesse pubblico consistente nell’assistenza, collaborazione e predisposizione di studi, piani e progetti in materia di governo del territorio.
Infine, l’istante – in considerazione dei criteri enunciati desumibili dalla circolare n. 34/E del 2013, ritiene che pur non assistendo a una vera e propria acquisizione dei risultati dell’attività da esso svolta da parte degli associati non può negarsi che detta attività realizzi una utilità diretta in capo ai medesimi soci.
Dagli accordi tipo, risulta in ogni caso che ai singoli Comuni soci vengono consegnati gli elaborati ad esito dello studio svolto dall’istante e la loro titolarità è riservata agli stessi Comuni.
Al contempo, l’istante rappresenta che gli esiti degli elaborati costituiscano anche un patrimonio utile alla propria attività istituzionale e, quindi, detta relazione di condivisione reciproca e costante non configurerebbe un rapporto di scambio con il realizzo di un vantaggio diretto ed esclusivo per il committente.
Infine, a supporto della tesi della non rilevanza ad IVA di detti contributi, l’istante evidenzia altresì che la quantificazione degli stessi non risponde a criteri di mercato, non consentendo la copertura integrale dei costi sostenuti dall’istante per la realizzazione dell’attività.
Parere dell’agenzia delle entrate
Riguardo all’individuazione del presupposto oggettivo agli effetti dell’IVA, si precisa che lo stesso è definito in maniera alquanto ampio dalla normativa europea, in particolare agli articoli 2 e 73 della Direttiva n. 2006/112/CE del 28 novembre 2006.
Al riguardo, la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE ha statuito che una prestazione di servizi è effettuata a titolo oneroso, ai sensi del citato articolo 2, paragrafo 1, della suddetta Direttiva, configurando pertanto un’operazione imponibile «soltanto quando tra l’autore della prestazione e il beneficiario intercorre un rapporto giuridico nell’ambito del quale avvenga uno scambio di prestazioni sinallagmatiche, nel quale il compenso ricevuto dall’autore di tale prestazione costituisca il controvalore effettivo del servizio fornito al beneficiario (…), ciò si verifica quando esiste un nesso diretto tra il servizio fornito dal prestatore e il controvalore ricevuto, ove le somme versate costituiscono un corrispettivo effettivo di un servizio individualizzabile fornito nell’ambito di un siffatto rapporto giuridico» (cfr. Corte di Giustizia CE , sentenza 23 marzo 2006, causa C-210/04, sentenza 3 marzo 1994, causa C-16/93, sentenza 5 luglio 2018, causa C-544/16).
In altri termini, il presupposto oggettivo impositivo per l’applicazione dell’IVA si deve escludere, solo nel caso in cui non venga ravvisata alcuna correlazione tra la prestazione di servizi effettuata ed il corrispettivo percepito. Inoltre, secondo la giurisprudenza della medesima Corte di Giustizia, “la circostanza che un’operazione economica venga svolta ad un prezzo superiore o inferiore al prezzo di costo è irrilevante ai fini della qualificazione di tale operazione come negozio a titolo oneroso”. Quest’ultima nozione presuppone, infatti, unicamente l’esistenza di un nesso diretto tra la cessione di beni o la prestazioni di servizi ed il corrispettivo realmente percepito dal soggetto passivo (cfr. sentenza della Corte di Giustizia UE 12 maggio 2016, causa C-520/14).
Nell’ordinamento interno il requisito oggettivo è disciplinato dall’articolo 3, comma 1, del medesimo d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, il quale prevede che « costituiscono prestazioni di servizi le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratti d’opera, appalto, (…) e in genere da obbligazioni di fare, di non fare e permettere quale ne sia la fonte».
L’articolo 2, comma 3, lettera a) del medesimo d.P.R. n. 633, prevede, invece, che non si considerano cessioni di beni «le cessioni che hanno per oggetto denaro o crediti in denaro».
In tale conteso normativo e giurisprudenziale l’Amministrazione finanziaria ha più volte chiarito che in linea generale, un contributo assume rilevanza, ai fini dell’IVA, se viene erogato a fronte di un obbligo di dare, fare, non fare o permettere, ossia quando si è in presenza di un rapporto sinallagmatico obbligatorio a prestazioni corrispettive (circolare n. 34/E del 21 novembre 2013; risoluzioni 21/E del 16 febbraio 2005 e n. 16/E del 27 gennaio 2006).
In particolare con la suddetta circolare n. 34/E del 2013 è stato precisato il trattamento IVA applicabile ai contributi erogati da amministrazioni pubbliche, stabilendo, in particolare, i criteri generali per la definizione giuridica e tributaria delle stesse erogazioni, come contributi o corrispettivi.
Per quanto di interesse, occorre considerare che l’amministrazione non opera all’interno di un rapporto contrattuale unicamente quando le erogazioni sono effettuate in esecuzione di norme che prevedono l’erogazione di benefici al verificarsi di presupposti predefiniti; altresì, è individuabile la natura di contributo delle erogazioni in casi in cui l’amministrazione agisce con riferimento all’articolo 12 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (provvedimenti attuativi di vantaggi economici).
Più in particolare, in merito a tale ultima considerazione, la circolare conclude nel senso che “In base al citato articolo 12, pertanto, le sovvenzioni, i contributi, i sussidi, gli ausili finanziari e l’attribuzione di vantaggi economici di qualsiasi genere, la cui concessione è subordinata alla predeterminazione e alla pubblicazione dei criteri e delle modalità cui le amministrazioni procedenti devono attenersi, non assumono la natura di corrispettivo”.
Alla luce dei criteri delineati dalla descritta circolare, al fine del corretto inquadramento della somme erogate dagli enti associati nei confronti del Centro Studi istante, occorre far riferimento agli accordi che regolamentano i rapporti tra le parti.
Nel caso di specie l’interpellante, da quanto emerge dalle norme statutarie (articolo 2), ha tra i propri scopi, nell’ambito del più generico perseguimento degli obiettivi attinenti allo svolgimento di attività di supporto operativo e tecnicoscientifico agli enti associati in materia di governo del territorio, ambiente e infrastrutture, quello di “svolgere specifiche attività a favore dei predetti soci, da qualificare in programmi annuali di attività, in particolare per quanto attiene alla predisposizione di studi su problematiche territoriali e all’attività di collaborazione e assistenza nella redazione dei rispettivi atti di programmazione, pianificazione e progettazione”.
Sulla base di quanto previsto dallo Statuto, vengono successivamente definiti e stipulati i programmi di collaborazione (convenzioni) tra lo stesso Centro Studi e i vari enti locali associati che intendono avvalersi, in base alle proprie richieste ed esigenze, delle suddette specifiche attività. Dai predetti accordi emerge che l’istante si impegna oltre che a svolgere l’attività che si evince dall’oggetto dei medesimi programmi, anche altre attività di supporto quali: partecipare agli incontri necessari per verificare le diverse fasi del lavoro e a partecipare ad eventuali incontri pubblici che si riterranno necessari per comunicare all’esterno i risultati della attività con l’eventuale predisposizione di report/presentazioni.
A fronte dei diversi obblighi assunti in sede di accordo convenzionale da parte del Centro Studi viene riconosciuto un contributo aggiuntivo (rispetto alla ordinaria quota associazione) necessario alla parziale copertura delle maggiori spese connesse allo svolgimento di tali specifiche attività.
Da quanto sin qui esposto, emerge che le predette specifiche attività, previste dallo Statuto (art. 2), vengono rese dall’istante a titolo oneroso, ossia nell’ambito di un rapporto a prestazioni corrispettive e quindi di natura sinallagmatica, esistendo un nesso diretto fra le stesse prestazioni fornite e le somme ricevute, a nulla rilevando sia la circostanza che tali somme siano inferiori al prezzo di costo e sia che le prestazioni fornite siano finalizzate al perseguimento di un interesse pubblico.
In tal senso, il presupposto oggettivo si verifica nella misura in cui il Centro Studi si impegna a realizzare le specifiche attività e gli enti associati riconoscono e versano il contributo aggiuntivo che, seppur vada a coprire non interamente i costi sostenuti dal centro, rappresenta in ogni caso il compenso per le prestazioni rese, in mancanza del quale l’interpellante non si sarebbe impegnato a svolgere le medesime prestazioni.
A supporto di detta tesi vi è la circostanza che la titolarità degli elaborati e degli studi svolti dall’istante viene riservata ai vari enti-soci committenti.
La sussistenza del presupposto oggettivo deve essere ravvisata anche nel caso di specie in cui gli accordi con i quali vengono disciplinati i rapporti tra il Centro Studi e gli enti locali associati siano stati conclusi ai sensi del citato articolo 5, comma 6 del d.lgs. n. 50 del 2016, il quale prevede che un accordo concluso tra due o più amministrazioni aggiudicatrici non rientra nell’ambito di applicazione del codice degli appalti pubblici quando sono soddisfatte le condizioni riportate dalla medesima disposizione.
Ciò trova conferma nella citata circolare n. 34/E del 2013, nella quale è stato precisato che si è in presenza di una erogazione-corrispettivo a fronte di una prestazione di servizi anche se i contratti sono stipulati al di fuori o in deroga alle norme del codice dei contratti pubblici e ciò avviene, tra l’altro, quando i rapporti sono costituiti con soggetti dai particolari requisiti per i quali gli affidamenti sono effettuati al di fuori delle regole del suddetto codice, con la conseguenza che si rendono applicabili tutte le norme tributarie che regolano tali fattispecie.
Tale conclusione sembra in linea proprio nel parere di diritto amministrativo – citato dall’interpellante e allegato all’istanza – che fa rientrare l’attività in esame, svolta a fronte del contributo aggiuntivo, nell’ambito del citato articolo 15 della legge n. 241 del 1990, in quanto attività analoga a quella delle società in house, le quali non ricadono nella disciplina del suddetto codice degli appalti pubblici. In sostanza, l’istante, sulla scorta del parere allegato, se da un lato riesce ad escludere l’ipotesi che l’accordo stipulato con gli enti associati sia stato sottoscritto sulla base del codice dei contratti pubblici dall’altro conferma, implicitamente, la sua riconducibilità nell’ipotesi innanzi descritta e contenuta nella citata circolare n. 34/E del 2013, che prevede la sussistenza del medesimo schema (e quindi si è in presenza di una erogazione corrispettivo a fronte di una prestazione di servizi) anche se gli accordi-contratti sono stipulati al di fuori o in deroga delle norme del descritto codice dei contratti pubblici.
Per le suesposte considerazioni, diversamente da quanto sostenuto dall’istante, si ritiene che nella fattispecie in esame sussista il presupposto oggettivo ai fini della disciplina Iva.
Per completezza, si precisa che non si formulano osservazioni in merito alla sussistenza del presupposto soggettivo, poiché non costituisce quesito presente nell’istanza in esame.
Il presente parere viene reso sulla base degli elementi e dei documenti presentati, assunti acriticamente così come illustrati nell’istanza di interpello, nel presupposto della loro veridicità e concreta attuazione del contenuto.
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