TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE LAZIO – Sentenza 19 gennaio 2022, n. 646
Prodotti da inalazione senza combustione – Depositi e commercializzazione – Prescrizione di contrassegni di legittimazione – Decorrenza – Disposizioni adottate dall’ADM inerenti prodotti “non conformi” e obbligo di distruzione – Illegittimità
Fatto e diritto
M. s.a.s. è una società autorizzata, ai sensi del d.lgs. n. 504/1995 e del decreto ministeriale 29 dicembre 2014, all’istituzione e alla gestione di depositi di prodotti da inalazione senza combustione, costituiti da sostanze liquide, “contenenti o meno nicotina”, di fatto assimilati ai tabacchi.
Con il ricorso indicato in epigrafe deduce che: a) il legislatore con il comma 3-ter dell’art. 62-quater, d.lgs. n. 504/1995, ha stabilito che “la circolazione dei prodotti di cui al presente articolo [prodotti liquidi da inalazione] è legittimata dall’applicazione, sui singoli condizionamenti, di appositi contrassegni di legittimazione e di avvertenze esclusivamente in lingua italiana. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano a decorrere dal 1° aprile 2021”; b) con il successivo comma 3-ter dell’art. 62-quater cit., il legislatore ha, inoltre, previsto che “con determinazione del Direttore dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, sono stabilite le tipologie di avvertenza in lingua italiana e le modalità per l’approvvigionamento dei contrassegni di legittimazione di cui al comma 3-bis. Con il medesimo provvedimento sono definite le relative regole tecniche e le ulteriori disposizioni attuative”; c) con provvedimento direttoriale del 29 marzo 2021 prot. n. 93455 (in questa sede gravato) l’ADM ha dato esecuzione alle disposizioni suindicate e ha, peraltro, dettato disposizioni attuative transitorie, atte a consentire lo smaltimento delle scorte di prodotti finiti in assenza di contrassegni di legittimazione della loro circolazione in commercio e di avvertenze esclusivamente in lingua italiana.
Più in particolare, con il provvedimento del 29 marzo 2021, prot. 93445, l’amministrazione avrebbe: i.) individuato le caratteristiche dei contrassegni e le indicazioni che essi devono contenere al fine di assicurare la legittimità della circolazione dei prodotti da inalazione senza combustione, costituiti da sostanze liquide, “contenenti o meno nicotina” e le modalità di distribuzione; ii.) individuato il prezzo di fornitura; iii.) disciplinato le tipologie di avvertenza in lingua italiana come da precise indicazioni dal Ministero della Salute e dall’Istituto Superiore di Sanità; iv.) individuato per i prodotti non conformi al dettato del comma 3-bis, che siano stati fabbricati o ordinati in data anteriore al 1 aprile 2021, una particolare disciplina “non prevista dalle disposizioni normative appena citate”; infatti, si stabilisce che tali prodotti potranno essere in consumo non oltre il “31 agosto 2021” e potranno essere venduti al consumatore finale non oltre il “31 dicembre 2021”, dopodiché essi dovranno essere distrutti se non conformi a quanto disposto dall’Agenzia.
Su queste premesse, la ricorrente affida il ricorso a due, articolati, motivi.
Con il primo motivo censura il provvedimento impugnato in quanto adottato “al di fuori del contesto normativo di riferimento”; “le norme di cui si pretenderebbe di dare attuazione, infatti, non prevedono affatto lo smaltimento delle scorte giacenti di tali prodotti entro una determinata data e, soprattutto, senza la possibilità di restituirli o comunque recuperare l’imposta di consumo già versata allo Stato per la commercializzazione degli stessi”.
La ricorrente in particolare sostiene che l’amministrazione ha stabilito la prescrizione sulla distruzione dei prodotti “non conformi” in difetto dei presupposti di legge che avrebbero consentito di procedere in tal senso, affermando altresì che un simile operare sarebbe manifestamente ingiusto sotto il profilo economico a seguito dell’”avvenuto integrale pagamento delle imposte in favore dello Stato, all’atto dell’approvvigionamento da parte del commerciante che l’abbia in giacenza”.
Ritiene quindi che il provvedimento gravato avrebbe dovuto più correttamente consentire la vendita dei prodotti formalmente “non conformi” e dichiarati in giacenza “sino al loro completo esaurimento”; diversamente sarebbe evidente e ingiustificata la perdita economica “costituita dagli esborsi sostenuti all’acquisto della merce, ivi compresi gli oneri in favore dello Stato” che verrebbe ulteriormente aggravata dal “dispendio economico cui i commercianti sarebbero obbligati per lo smaltimento dei prodotti invenduti al 31 dicembre del 2021”.
Con il secondo motivo contesta il provvedimento impugnato nella parte in cui, nel consentire “la commercializzazione della sola merce dichiarata al 31 marzo 2021” evitando così l’approvvigionamento di altri prodotti in data successiva, impone in modo del tutto illogico e con valenza punitiva la distruzione ugualmente della merce in giacenza così accertata.
L’ADM si è costituita in giudizio sollevando la carenza di interesse ad agire da parte della ricorrente in quanto la stessa “lamenta l’obbligo dello smaltimento dei prodotti invenduti alla data del 31 dicembre 2021 ma tale scadenza non concerne in alcun modo l’attività dei depositi fiscali, quali la ricorrente, che … ben possono restituire i prodotti giacenti al 31 agosto 2021 ai produttori, al fine dell’eventuale adeguamento, come del resto accade normalmente per tutti i prodotti per cui l’imposta non sia stata ancora assolta”; nel merito ha replicato puntualmente alle censure sollevate.
In vista dell’udienza del 12 gennaio 2022, le parti si sono scambiate memorie difensive. Dopo la discussione tra le parti, il ricorso è stato quindi trattenuto in decisione.
L’eccezione di rito sollevata dalla difesa dell’ADM va respinta.
La ricorrente è destinataria della nota “informativa” dell’ADM del 29 marzo 2021, prot. 93449, recante la comunicazione sia della disciplina introdotta dal legislatore con l’art. 62-quater, commi 3-bis e 3-ter, d.lgs. n. 504/1995 sia delle disposizioni attuative della predetta disciplina stabilite dall’ADM con la “determina” di pari data prot. 93445. La ricorrente è stata quindi individuata espressamente tra i soggetti tenuti a rispettare le prescrizioni concernenti la distruzione dei prodotti “non conformi” alla nuova disciplina introdotta dal legislatore che risultano in giacenza presso i propri magazzini alle date del 31 agosto 2021 e del 31 dicembre 2021. Di conseguenza, essa ha un chiaro interesse a contestare e chiedere l’annullamento degli atti amministrativi che ritiene illegittimi nella parte in cui pongono a proprio carico prescrizioni non conformi a legge.
Il gravame è in parte fondato.
I due motivi di ricorso possono essere trattati contestualmente attesa la loro stretta connessione.
È importante richiamare il quadro normativo di riferimento sulla cui base è stato adottato il provvedimento gravato e nel cui interno si inscrivono le censure della ricorrente.
La vigente disciplina dell’art. 62-quater, comma 3-bis, d.lgs. n. 504/1995, inserito dall’ art. 1, comma 1124, lett. d), legge 30 dicembre 2020, n. 178, stabilisce quanto segue: “La circolazione dei prodotti di cui al presente articolo è legittimata dall’applicazione, sui singoli condizionamenti, di appositi contrassegni di legittimazione e di avvertenze esclusivamente in lingua italiana. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano a decorrere dal 1° aprile 2021”.
Il successivo comma 3-ter dell’art. 62-quater, cit., prevede che “Con determinazione del Direttore dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, sono stabilite le tipologie di avvertenza in lingua italiana e le modalità per l’approvvigionamento dei contrassegni di legittimazione di cui al comma 3-bis. Con il medesimo provvedimento sono definite le relative regole tecniche e le ulteriori disposizioni attuative”.
In pretesa attuazione delle predette disposizioni il Direttore dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli ha adottato la “determina” del 29 marzo 2021, prot. 93445.
Gli articoli da 1 a 6 del provvedimento direttoriale stabiliscono “le tipologie di avvertenza in lingua italiana e le modalità per l’approvvigionamento dei contrassegni di legittimazione di cui al comma 3-bis”.
L’art. 7 del provvedimento direttoriale detta invece la disciplina transitoria sulla commercializzazione dei prodotti realizzati in conformità al precedente regime che, come si è visto, è stato in seguito modificato dal legislatore. Più in particolare, al 1 comma (dell’art. 7) si stabilisce che le nuove disposizioni introdotte con la stessa determina si applicano “a decorrere dal 1° aprile 2021”, mentre nei successevi commi dal 2 al 5 (dell’art. 7) si prevede quanto segue: a) gli operatori commerciali sono tenuti a comunicare alla Direzione Tabacchi e all’Ufficio dei Monopoli territorialmente competente le rimanenze dei prodotti “non conformi” alle nuove prescrizioni presenti in magazzino al “31 marzo 2021” nonché gli ordinativi di fornitura aventi data certa anteriore al “1 aprile 2021”; b) i prodotti “non conformi” alle nuove prescrizioni “fabbricati ovvero ordinati” in data anteriore al 1 aprile 2021, possono essere immessi in consumo entro e non oltre il “31 agosto 2021”; c) i prodotti “non conformi” alle nuove prescrizioni possono essere comunque venduti al consumatore finale entro e non oltre il “31 dicembre 2021”; d) le rimanenze di prodotto giacente alle indicate scadenze (del 31 agosto 2021 e del 31 dicembre 2021) “devono essere distrutte se non conformi a quanto disposto dall’Agenzia”.
Alla luce del quadro normativo su descritto, le censure della ricorrente sono fondate nei termini che seguono.
Il legislatore ha delegato l’ADM a stabilire “le tipologie di avvertenza in lingua italiana e le modalità per l’approvvigionamento dei contrassegni di legittimazione” e di definire “le relative regole tecniche e le ulteriori disposizioni attuative”. Il legislatore ha così attribuito all’ADM il compito di definire nel dettaglio la disciplina sulle avvertenze dei prodotti da immettere in commercio e sulle relative modalità di approvvigionamento. Il potere di intervento dell’ADM è stato quindi circoscritto soltanto a tale ambito.
Dunque, il fondamento normativo del potere dell’ADM è contenuto nell’art. 62-quater, commi 3-bis e 3-ter, d.lgs. n. 504/1995, sicchè a queste disposizioni dovrà guardarsi per verificare se l’amministrazione ha correttamente esercitato, in concreto, il proprio potere.
L’ADM nell’attuare la disciplina sulle avvertenze e sull’approvvigionamento è andata oltre. Ha infatti stabilito da un lato che i prodotti “non conformi” alla disciplina così introdotta (e autorizzata dal legislatore) non potessero essere immessi in commercio in quanto privi dei “contrassegni di legittimazione” alla circolazione dei prodotti e dall’altro lato ha stabilito che le rimanenze di tali prodotti – di cui è vietata la circolazione dopo il “1 aprile 2021” se “non conformi” – “devono essere distrutte”.
La previsione della distruzione dei prodotti “non conformi” si tramuta in una “prestazione patrimoniale” posta a carico degli operatori economici che tuttavia non può essere imposta a carico del destinatario “se non in base alla legge” (art. 23 Cost.).
Nel caso di specie non si rinviene nell’art. 62-quater, commi 3-bis e 3-ter, d.lgs. n. 504/1995, il fondamento normativo che abilita l’amministrazione ad imporre l’ordine di distruzione della merce in giacenza al “31 agosto 2021” o al “31 dicembre 2021” priva dei “contrassegni di legittimazione” alla circolazione dei prodotti. Il legislatore ha infatti previsto in tal caso unicamente il divieto di circolazione dei prodotti “non conformi” a decorrere dalla data del 1 aprile 2021.
La “prestazione” di distruzione della merce posta a carico dei destinatari avrebbe dovuto essere espressamente prevista dal legislatore in quanto la sua concreta esecuzione comporta, come evidenziato dalla ricorrente, una complessa attività di smaltimento che richiede anche l’impiego di significative risorse economiche in base alla qualità dei prodotti da mandare al macero. Tale “prestazione” non può essere desunta in via implicita dalla previsione e dall’attribuzione del potere di dettare la disciplina sulla sulle avvertenze dei prodotti da immettere in commercio e sulle relative modalità di approvvigionamento poiché si tratta di ambiti di interventi eterogenei tra loro, l’uno riguardante la conformazione dell’iniziativa economica privata che, benchè qualificata “libera”, non può comunque svolgersi “in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana” e quindi deve sempre esercitarsi nel rispetto dell’interesse generale (art. 41 Cost.) e l’altro invece concerne l’imposizione di un facere a carico dei privati avente dirette conseguenze sul patrimonio e che viene imposto in mancanza di copertura legislativa (art. 23 Cost.).
L’amministrazione è ontologicamente tenuta ad agire nel rispetto del principio di legalità formale e sostanziale (art. 97 Cost. e art. 1 della legge n. 241/1990). Pertanto, essa non può sostituirsi al legislatore nel prevedere misure a carico dei privati che costituiscono “prestazioni patrimoniali” che possono essere imposte soltanto in presenza di un’idonea base normativa prevista dalla Costituzione.
La ricorrente ha dunque ragione laddove lamenta, nei limiti del proprio interesse, la violazione da parte dell’ADM del fondamento normativo del potere esercitato nella parte in cui si impone la distruzione della merce non conforme in proprietà del ricorrente, mentre non ha ragione laddove contesta il mancato “recupero” delle imposte versate per i prodotti che non possono essere più posti in vendita e consumati. Difatti, al di là della mancata dimostrazione dell’avvenuto versamento del tributo, l’imposta di consumo per la commercializzazione di questi prodotti, come evidenziato dalla difesa dell’ADM, diventa esigibile nel momento in cui tali beni “sono estratti dal deposito per essere ceduti agli esercizi che ne effettuano la vendita al pubblico ovvero per essere ceduti direttamente i consumatori” (art. 62-quater, commi 1-bis e 1-ter, d.lgs. n. 504/1995).
In conclusione, il ricorso è fondato e per l’effetto va annullata la “determina” dell’ADM del 29 marzo 2021, prot. 93445 e gli atti ad essa connessi che sono stati gravati, in quanto adottati in violazione delle previsioni dell’art. 62-quater, commi 3-bis e 3-ter, d.lgs. n. 504/1995, nei limiti e per le ragioni su esposte.
L’amministrazione intimata è, dunque, tenuta a conformarsi in via esecutiva alla presente decisione, ri-esercitando il potere amministrativo emendato dai vizi di illegittimità ivi accertati e adottando gli atti amministrativi conseguenti alla presente pronuncia giurisdizionale, tra cui, se del caso, misure volte a verificare che i prodotti regolarmente denunciati nei termini dalla ricorrente (rimanenze e ordini di fornitura) vengano resi conformi alle prescrizioni di legge prima della loro immissione nel mercato, come peraltro suggerito dalla stessa Avvocatura dello Stato nella propria memoria difensiva (che richiama la possibilità di un “eventuale adeguamento” delle scorte).
La novità delle questioni affrontate giustifica la compensazione delle spese di giudizio tra tutte le parti in causa.
P.Q.M.
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti di cui in motivazione e per l’effetto annulla gli atti impugnati.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.