TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE MARCHE – Sentenza 09 dicembre 2019, n. 761

Compenso per l’attività di revisione in una società in house – Compenso predeterminato in maniera fissa e unilaterale dalla Provincia – Violazione della disciplina dell’equo compenso dei professionisti autonomi

Fatto e diritto

1. Con avviso pubblico approvato con determinazione dirigenziale n. 35 dell’11 ottobre 2018, la Provincia di Macerata procedeva all’acquisizione di candidature ai fini della nomina dell’Organo di Controllo (Sindaco Unico) della Società T. s.r.l. per il triennio 2019/2012. Quest’ultima è una società in house providing a controllo pubblico, il cui socio di maggioranza è la stessa Provincia di Macerata, con una partecipazione al capitale sociale pari al 56,17%.

Nell’avviso pubblico si stabiliva che la selezione, tra tutte le candidature pervenute, sarebbe avvenuta mediante sorteggio e previa allegazione, da parte dei candidati, del proprio curriculum; il medesimo avviso ha previsto, tra le condizioni contrattuali, quella secondo cui “all’Organo di Controllo (Sindaco Unico) sarà corrisposto un compenso annuo pari ad Euro 2.000,00 oltre IVA e CPA. Detto compenso, che sarà ratificato dall’Assemblea dei Soci all’atto della nomina, sarà corrisposto direttamente dalla T. Srl, a consuntivo, al termine di ciascun anno di svolgimento dell’attività” (art. 1).

Come da pubblicazione avvenuta in data 5 novembre 2018 sul sito internet della Provincia, a seguito del sorteggio, è risultato designato per la nomina il dottor R. C., odierno controinteressato.

Gli esiti della procedura sono stati approvati con determinazione dirigenziale n. 39/II del 31 ottobre 2018.

L’avviso pubblico in questione, inviato dalla Provincia di Macerata anche agli Ordini dei Commercialisti ricorrenti per la sua massima diffusione tra gli iscritti, e tutti gli atti connessi, ivi compresi il provvedimento del 31 ottobre 2018 di approvazione degli esiti e l’atto di nomina del professionista, vengono in questa sede impugnati nella parte in cui hanno previsto la determinazione (unilaterale) del compenso per le prestazioni da svolgere quale Sindaco Unico dell’Organo di Controllo della Società in house T. s.r.l. in € 2.000,00 annui oltre accessori e, quindi, al di sotto dei parametri minimi delle competenze professionali di riferimento, in asserita violazione della disciplina sull’equo compenso (art. 13 bis della legge n. 247 del 2012).

2. I ricorrenti, dopo avere precisato che la propria legittimazione ad agire andrebbe rinvenuta nella loro qualità di enti esponenziali della categoria unitariamente considerata, alla quale apparterrebbe, appunto, l’interesse di cui si fanno portatori e di cui chiedono tutela in questa sede, deducono, a sostegno del gravame, i seguenti motivi di illegittimità:

– il compenso predeterminato in maniera fissa e unilaterale dalla Provincia di Macerata nell’avviso pubblico in questione violerebbe il minimo tariffario, quest’ultimo da determinarsi tenendo conto sia della parte di compenso riferibile all’incarico di revisore dei conti (art. 22 del DM n. 140 del 20 luglio 2012), sia alla parte di compenso riferibile all’incarico di sindaco della società (art. 29 del DM n. 140 del 20 luglio 2012), ossia, nel caso specifico, in un ammontare complessivo di € 7.256,92 (cfr., relazione tecnica del 9 novembre 2019, allegato n. 5 al ricorso, deposito digitale n. 6);

– esso violerebbe, altresì, la disciplina sull’equo compenso dei professionisti autonomi di cui alla legge n. 172 del 2017, di conversione del decreto legge n. 148 del 2017, come modificata dalla legge di bilancio n. 2015 del 2017, la quale ha introdotto un apposito art. 13 bis alla legge n. 247 del 2012 (legge forense); detta disciplina è stata dettata dapprima per i soli avvocati e poi estesa, per effetto dell’art. 19 quaterdecies del decreto legge n. 148 del 2017, anche agli altri professionisti e anche nei confronti della pubblica amministrazione, quest’ultima annoverata tra i contraenti cosiddetti “forti”;

– sotto altro profilo, l’eccessiva riduzione del compenso, proprio in quanto incidente sull’autonomia e sul decoro del professionista, sarebbe da considerare elemento idoneo a comprimere notevolmente la partecipazione alla procedura selettiva di cui si tratta, alterandone in radice lo svolgimento, in violazione delle regole della concorrenza e di buona amministrazione di cui all’art. 97 della Costituzione.

2.1. Assumono, inoltre, i ricorrenti che l’avviso pubblico e il successivo atto di nomina del Sindaco Unico sarebbero nulli, oltre che per violazione del principio dell’equo compenso, anche per vessatorietà della clausola (nullità di protezione), ove tali provvedimenti siano considerati quali atti amministrativi rientranti nel novero delle “convenzioni” unilaterali di cui alla citata normativa (art. 13 bis, comma 10, della legge n. 247 del 2012). In ogni caso, sarebbe nullo il contratto-convenzione eventualmente stipulato tra la società T. e il professionista.

2.2. In subordine, essi chiedono la declaratoria di nullità parziale dell’anzidetto contratto-convenzione, nella parte in cui contiene detta clausola vessatoria, la quale andrebbe sostituita di diritto da norme imperative, ai sensi dell’art. 1419, comma 2, c.c., con conseguente determinazione del compenso secondo i parametri normativi di riferimento.

3. Nessuno si è costituito in giudizio per le parti intimate.

4. Alla camera di consiglio del 5 dicembre 2018, parte ricorrente ha rinunciato alla domanda cautelare contenuta in ricorso, in vista della trattazione del merito a breve; è stata, quindi, fissata, compatibilmente con le esigenze dei ruoli, la pubblica udienza del 2 ottobre 2019, all’esito della quale, la causa è stata trattenuta in decisione.

5. In via preliminare, si reputa di dover precisare il thema decidendum rispetto alla domanda di parte ricorrente. Posto, infatti, che sussiste sicuramente la giurisdizione del giudice amministrativo sull’impugnazione dell’avviso pubblico e dei conseguenti atti relativi alla selezione de qua, questo giudice, fatte salve le precisazioni di cui al punto 10 che segue, si pronuncerà nei limiti della domanda di annullamento contenuta in ricorso.

6. Sempre nei limiti della domanda di annullamento, il Collegio reputa di dover spendere alcune considerazioni in merito alla legittimazione ad agire degli ordini professionali.

6.1. La giurisprudenza ha più volte affermato che essi “sono legittimati ad agire per la tutela di posizioni soggettive proprie o di interessi unitari della collettività da loro istituzionalmente espressa, nel secondo caso potendo sia reagire alla violazione delle norme poste a tutela della professione, sia perseguire vantaggi, anche strumentali, riferibili alla sfera della categoria nel suo insieme (cfr. ex multis, Cons. Stato, Ad. plen., 3 giugno 2011, n. 10, sulla loro legittimazione ad agire contro atti lesivi dell’interesse istituzionale della categoria; VI, 18 aprile 2012, n. 2208; V, 23 febbraio 2015, n. 883; V, 12 agosto 2011, n. 4776; V, 18 dicembre 2009, n. 8404), con il solo limite derivante dal divieto di occuparsi di questioni relative ad attività non soggette alla disciplina o potestà degli ordini medesimi. Nel caso di ordini professionali individuati su base territoriale (come nel caso in esame) la legittimazione al ricorso va ricondotta all’ambito territoriale nel quale il provvedimento impugnato è destinato a produrre effetti” (cfr., Consiglio di Stato, sez. V, 28 marzo 2017, n. 1418; nello stesso senso, TAR Lazio, Roma, sez. I, 26 novembre 2018, n. 11447; TAR Molise, Campobasso, sez. I, 27 settembre 2018, n. 568).

E’ stato altresì affermato che “sussiste la legittimazione dell’Ordine professionale ad agire contro procedure di evidenza pubblica ritenute lesive dell’interesse istituzionalizzato della categoria da esso rappresentata anche nell’ipotesi in cui possa configurarsi un conflitto d’interessi fra esso Ordine e singoli professionisti in qualche modo beneficiari dell’atto impugnato” (cfr., TAR Puglia, Lecce, sez. II, 25 agosto 2015, n. 2647, che richiama i principi espressi da Cons. Stato, Ad. plen., 3 giugno 2011, n. 10; nello stesso senso TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, 13 dicembre 2016, n. 2435 e giurisprudenza ivi richiamata).

6.2. Applicando i suesposti principi al caso in esame, non può che affermarsi la legittimazione al ricorso degli ordini odierni ricorrenti, dal momento che essi agiscono per la tutela di un interesse istituzionalizzato della categoria, nonostante in concreto i provvedimenti ritenuti lesivi possano risultare “vantaggiosi” per singoli professionisti. Né la legittimazione dei ricorrenti viene meno in ragione dell’ambito territoriale nel quale gli atti gravati sono destinati a produrre effetti (che, secondo la giurisprudenza innanzi richiamata, opera quale ulteriore limite per l’individuazione della legittimazione ad agire degli ordini professionali individuati su base territoriale); nel caso di specie, invero, occorre tener conto del fatto che l’avviso pubblico in questione è stato comunicato agli ordini professionali dell’intero territorio regionale, in quanto finalizzato ad acquisire candidature da parte di tutti i professionisti interessati, senza alcuna limitazione territoriale (cfr., nota della Provincia di Macerata prot. n. 27837 dell’11 ottobre 2018). Pertanto, avuto riguardo all’interesse azionato, che è appunto quello di garantire il diritto all’equo compenso all’intera categoria rappresentata, non può negarsi che sussista la legittimazione ad agire anche in capo ai ricorrenti, che di tale interesse sono portatori.

7. Ciò posto, nel merito si osserva quanto segue.

7.1. La legge 4 dicembre 2017, n. 172, nel convertire il decreto legge 16 ottobre 2017, n. 148, vi ha inserito l’art. 19 quaterdecies, con cui si è provveduto ad introdurre l’art. 13 bis nella legge n. 247 del 2012. Detta ultima norma disciplina il compenso spettante agli avvocati iscritti all’albo, nei rapporti professionali in favore di “imprese bancarie e assicurative, nonché di imprese non rientranti nelle categorie delle microimprese o delle piccole o medie imprese, come definite nella raccomandazione 2003/361CE della Commissione, del 6 maggio 2003 … con riferimento ai casi in cui le convenzioni sono unilateralmente predisposte dalle predette imprese”.

Ai sensi del comma 2 dell’art. 13 bis citato – reso applicabile a tutti i professionisti proprio dal menzionato art. 19 quaterdecies – il compenso si intende equo se è proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione. Sempre l’art. 19 quaterdecies del decreto legge n. 148 del 2017, al comma 3, ha riconosciuto l’applicabilità del principio anche alla pubblica amministrazione, stabilendo che essa, in attuazione dei principi di trasparenza, buon andamento ed efficacia delle proprie attività, garantisca il principio dell’equo compenso in relazione alle prestazioni rese dai professionisti in esecuzione di incarichi conferiti dopo la data di entrata in vigore della relativa legge di conversione.

7.2. Le citate disposizioni fanno emergere come nell’ordinamento – pur successivamente all’entrata in vigore del decreto legge n. 223 del 2006 (c.d. “decreto Bersani”), convertito con la legge n. 248 del 2006, il cui art. 2, comma 1, ha abrogato le disposizioni legislative e regolamentari che prevedevano la fissazione di tariffe obbligatorie fisse o minime per le attività professionali e intellettuali – viga comunque un principio volto ad assicurare non solo al lavoratore dipendente, ma anche al lavoratore autonomo una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro. Non a caso, l’art. 35 della Costituzione tutela il lavoro “in tutte le sue forme e applicazioni”, mentre il successivo art. 36, nell’occuparsi del diritto alla retribuzione, non discrimina tra le varie forme di lavoro (TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, 2 agosto 2018, n. 1507).

L’ordinamento si preoccupa soprattutto di tutelare il diritto a una retribuzione adeguata dei professionisti lavoratori autonomi nei rapporti con i contraenti cosiddetti “forti” e nell’ambito di convenzioni unilateralmente predisposte da questi ultimi – tra i quali è stata annoverata anche la pubblica amministrazione – prevedendo la vessatorietà delle clausole contenute nelle convenzioni di cui al comma 1 dell’art. 13 bis della legge n. 247 del 2012, le quali determinino, anche in ragione della non equità del compenso pattuito, un significativo squilibrio contrattuale a carico del professionista e stabilendone la nullità, fermo restando il contratto per il resto (cfr., art. 13 bis, citato, commi da 4 a 8).

7.3. Quanto ai parametri di riferimento per la determinazione del compenso che possa definirsi “equo”, essi sono indicati nelle stesse disposizioni innanzi richiamate.

In particolare, l’art. 13 bis della legge n. 247 del 2012, al comma 10, prevede che “Il giudice, accertate la non equità del compenso e la vessatorietà di una clausola a norma dei commi 4, 5 e 6 del presente articolo, dichiara la nullità della clausola e determina il compenso dell’avvocato tenendo conto dei parametri previsti dal regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia adottato ai sensi dell’articolo 13, comma 6″.

L’art. 19 quaterdecies del decreto legge n. 148 del 2017, inoltre, prevede, al comma 2, che “Le disposizioni di cui all’articolo 13-bis della legge 31 dicembre 2012, n. 247, introdotto dal comma 1 del presente articolo, si applicano, in quanto compatibili, anche alle prestazioni rese dai professionisti di cui all’articolo 1 della legge 22 maggio 2017, n. 81, anche iscritti agli ordini e collegi, i cui parametri ai fini di cui al comma 10 del predetto articolo 13-bis sono definiti dai decreti ministeriali adottati ai sensi dell’articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27”.

Pertanto, se per gli avvocati si deve far riferimento ai parametri indicati nel decreto emanato dal Ministro della giustizia, su proposta del CNF, ai sensi dell’art. 1, comma 3, della legge n. 247 del 2012, per gli altri professionisti (nella specie i commercialisti e i revisori contabili) il compenso viene determinato sulla base dei parametri indicati nel decreto ministeriale n. 140 del 20 luglio 2012, quest’ultimo emanato per effetto dell’adozione del decreto legge n. 1 del 2012, che ha abrogato il sistema delle tariffe professionali e tutte le disposizioni che ad esse rinviavano.

Più in dettaglio, per l’attività di revisione contabile, l’art. 22 del DM n. 140 del 2012 stabilisce che “il valore della pratica … è determinato in funzione dei componenti positivi di reddito lordo e delle attività e il compenso liquidato, di regola, secondo quanto indicato nel riquadro 4 della tabella C – Dottori commercialisti ed esperti contabili”, mentre, per l’attività di sindaco di società, il successivo art. 29 prevede che detto valore sia determinato “in funzione della sommatoria dei componenti positivi di reddito lordi e delle attività, e il compenso è liquidato, di regola, secondo quanto indicato nel riquadro 11 della tabella C – Dottori commercialisti ed esperti contabili”, salvo quanto previsto ai commi 2 e 3 della medesima disposizione.

7.4. In merito all’operatività dei suddetti parametri, l’art. 1 del DM n. 140 del 2012, dopo avere individuato l’ambito di applicazione della disciplina in esso contenuta, stabilisce, al comma 7, che “in nessun caso le soglie numeriche indicate, anche a mezzo di percentuale, sia nei minimi che nei massimi, per la liquidazione del compenso, nel presente decreto e nelle tabelle allegate, sono vincolanti per la liquidazione stessa”.

Anche la giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di chiarire (sebbene con riferimento all’attività svolta dagli ausiliari del giudice e alla liquidazione, da parte di questi, del relativo compenso) che il sistema dei parametri di cui al DM n. 140 del 2012 non è vincolante per il giudice, ma assume solo un valore orientativo (Cons. St., sez. III, 13 aprile 2018, n. 2232) ed è imperniato su criteri di liquidazione del compenso suddivisi secondo un profilo soggettivo (tipo di professionisti), oggettivo (tipologia delle prestazioni professionali) e funzionale (parametri generali e specifici per la valutazione delle prestazioni); ciò è confermato, peraltro, dall’espressione “di regola” utilizzata nelle anzidette disposizioni del DM n. 140 del 2012 con riferimento ai criteri di liquidazione ivi indicati. In altri termini, “la liquidazione del compenso …. avviene mediante l’utilizzo del sistema dei parametri introdotto dal d.m. n. 140 del 2012 e non più in base al sistema tariffario di cui Dl d.P.R. n. 352 del 1988 e al d.m. 30 maggio 2002, a seguito dell’adozione del d.l. n. 1 del 2012 che ha abrogato il sistema delle tariffe professionali e tutte le disposizioni che ad esse rinviavano, fornendo la base normativa per l’emanazione del d.m. n. 140 del 2012. Tuttavia, il sistema dei parametri non è vincolante per il giudice ed assume solo un valore orientativo … sicché quella lasciata al giudice è una valutazione sostanzialmente equitativa e rimessa al suo prudente apprezzamento, soprattutto in considerazione del fatto che i parametri indicati dalla fonte normativa impiegata (l’impegno del professionista e l’importanza della prestazione, di cui all’art. 38 del d.m. n. 140 del 2012 ), lungi dall’offrire riferimenti numerici certi, richiedono per loro natura un giudizio ampiamente discrezionale” (TAR Lazio Roma, sez. II, 4 gennaio 2019, n. 126, richiamata da TAR Valle d’Aosta, 27 giugno 2019, n. 34; nello stesso senso, TAR Lazio Roma, sez. II, 21 marzo 2019, n. 3769).

8. Così delineato il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, da esso è possibile trarre i seguenti principi:

– le pubbliche amministrazioni, nell’affidamento dei servizi di opera professionale (qual è quello in questione), sono tenute a corrispondere un compenso congruo ed equo, ovvero proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione;

– al fine di accertare l’equità del compenso, occorre far riferimento ai parametri stabiliti dai singoli decreti ministeriali per ciascuna categoria di professionisti;

detti parametri non possono essere considerati alla stregua di minimi tariffari inderogabili (pena la surrettizia introduzione di tariffe obbligatorie fisse o minime per le attività professionali e intellettuali, abolite dal cosiddetto “decreto Bersani”), ma costituiscono un criterio orientativo per la determinazione del compenso; in altri termini, non è esclusa, in via di principio, la possibilità che le parti pattuiscano liberamente il compenso anche in deroga ai parametri di liquidazione indicati nei citati decreti ministeriali (in particolare, art. 1, comma 7, del DM n. 140 del 2012);

– tanto è confermato dalla stessa Corte di Cassazione con le pronunce richiamate dai ricorrenti (Cass. Civ., sez. II, 17 gennaio 2018, n. 1018 e 31 agosto 2018, n. 21487); in particolare, nella prima delle citate pronunce si legge testualmente: “… il D.M. n. 140, risulta essere stato emanato (D.L. n. 1 del 2012, conv. nella L. n. 27 del 2012) allo scopo di favorire la liberalizzazione della concorrenza e del mercato, adempiendo alle indicazioni della UE, a tal fine rimuovendo i limiti massimi e minimi, così da lasciare le parti contraenti (nella specie, l’avvocato e il suo assistito) libere di pattuire il compenso per l’incarico professionale; per contro, il giudice resta tenuto ad effettuare la liquidazione giudiziale nel rispetto dei parametri previsti dal D.M. n. 55, il quale non prevale sul D.M. n. 140, per ragioni di mera successione temporale, bensì nel rispetto del principio di specialità, poiché, diversamente da quanto affermato dall’Amministrazione resistente, non è il D.M. n. 140 – evidentemente generalista e rivolto a regolare la materia dei compensi tra professionista e cliente (ed infatti, l’intervento del giudice ivi preso in considerazione riguarda il caso in cui fra le parti non fosse stato preventivamente stabilito il compenso o fosse successivamente insorto conflitto) – a prevalere, ma il D.M. n. 55, il quale detta i criteri ai quali il giudice si deve attenere nel regolare le spese di causa …”;

– tuttavia, quando il cliente è un contraente forte – ovvero, come nella specie, la pubblica amministrazione – la pattuizione del compenso professionale incontra il limite del rispetto del principio dell’equo compenso (inteso, si ribadisce, come proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione), che va armonizzato con le esigenze di riequilibrio finanziario e non recedere rispetto ad esse (TAR Campania Napoli, sez. I, ordinanza n. 1541 del 25 ottobre 2018).

9. Posti i principi innanzi richiamati e venendo al caso in esame, il Collegio rileva che, dagli atti impugnati, non risulta sulla base di quali parametri l’Amministrazione sia giunta alla determinazione del compenso annuo al professionista per l’incarico in questione, né se la stessa abbia fatto applicazione, a tale fine, del principio dell’equo compenso; ciò anche avuto riguardo alle risultanze della consulenza tecnica di parte versata in atti (non contestata), dalla quale emerge che, sulla base dei parametri di liquidazione di cui al DM n. 140 del 2012, la determinazione del compenso annuo spettante per la prestazione professionale in parola sarebbe di molto superiore all’importo di € 2000,00 previsto dall’avviso pubblico. Ne consegue l’illegittimità della clausola contenuta nell’art. 1 di detto avviso pubblico, secondo cui “all’Organo di Controllo (Sindaco Unico) sarà corrisposto un compenso annuo pari ad € 2.000,00 oltre IVA e CAP …”, nei limiti e nella misura in cui, per l’individuazione del compenso da corrispondere al professionista, l’Amministrazione non abbia rispettato il principio dell’equo compenso, che impone l’applicazione di un criterio di proporzionalità rispetto alla quantità e alla qualità del lavoro prestato, in attuazione dei principi di trasparenza, di buon andamento e di efficacia dell’azione amministrativa, nonché di fare riferimento ai parametri stabiliti – per quel che qui interessa – dal DM n. 140 del 2012 (nei sensi sopra chiariti).

9.1. Gli atti impugnati, dunque, vanno annullati nella parte in cui individuano in € 2000,00 annui il compenso dovuto al professionista (fermo restando il resto), fatta salva la possibilità che l’Amministrazione si ridetermini tenendo conto di quanto innanzi argomentato.

10. Con riguardo alla misura del suddetto compenso, la domanda volta all’esatta determinazione del quantum (pure contenuta in ricorso) esula, invece, dalla giurisdizione di questo giudice, essa spettando all’autorità giudiziaria ordinaria, a cui è rimesso anche l’accertamento, in concreto, della eventuale vessatorietà della relativa clausola contrattuale (accertamento che non può prescindere dalla preventiva determinazione del quantum ritenuto spettante). Peraltro, trattandosi di compenso che il professionista vanta nei confronti del proprio cliente (pubblica amministrazione) per prestazioni professionali svolte, la questione relativa all’ammontare dello stesso attiene al rapporto privatistico che intercorre tra i contraenti, sicché si dubita della legittimazione degli ordini ricorrenti ad avanzare tale richiesta per conto del singolo professionista.

11. Sussistono i presupposti per la compensazione delle spese del giudizio, sia per la novità delle questioni, sia per il fatto che il gravame è stato accolto limitatamente.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi e nei limiti precisati in motivazione e, per l’effetto, annulla, in parte qua, gli atti impugnati.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.