CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 marzo 2013, n. 6343
Lavoro – Appalto di mano d’opera – Divieto di intermediazione e di interposizione – Esistenza di un rapporto di lavoro subordinato – Potere gerarchico del datore di lavoro – Accertamento
Svolgimento del processo
Con sentenza del 21 luglio 2006 la Corte d’Appello di Firenze ha confermato la sentenza del Tribunale di Firenze del 15 giugno 2004 che, in accoglimento della domanda di M. A., e valutata la sussistenza di un appalto vietato di mera manodopera tra R. s.p.a. e la C.. a r.l. ha dichiarato che tra il lavoratore e detta R. è intercorso un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dal 1° maggio 1998. La corte fiorentina, sulla base delle prove testimoniali assunte, ha considerato che nello svolgimento di tutti i compiti affidati al lavoratore in questione, difetta ogni apporto logistico e gestionale da parte della cooperativa P., ma solo una manodopera organizzata e da essa amministrata senza mai gestire direttamente i servizi ad essa affidati.
Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione R. affidato a tre motivi.
Il M. resiste con controricorso.
R. ha presentato memoria.
Motivi della decisione
Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 3 legge n. 1369 del 1960 ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ. In particolare si deduce che l’appalto in questione aveva ad oggetto una frazione del ciclo produttivo dell’impresa appaltante, consistente, in particolare, nelle attività di controllo dell’accesso dei visitatori agli uffici, accettazione di raccomandate e di plichi postali in arrivo, controllo degli ascensori, parcheggio e sistemazione delle autovetture, apertura e chiusura del portone di ingresso e consegna delle chiavi alla polizia ferroviaria, e l’appaltatore aveva impiegato, nell’esecuzione del contratto, una reale organizzazione imprenditoriale finalizzata ad un risultato produttivo autonomo ancorché attinente al complessivo ciclo produttivo, per cui l’appalto in questione doveva considerarsi lecito.
Con il secondo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 cod. civ. e 1 legge n. 1369 del 1960, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ. In particolare si deduce che il lavoratore non avrebbe provato la sostanziale esistenza di un rapporto di lavoro subordinato con R. caratterizzato dal potere direttivo, gerarchico e disciplinare del datore di lavoro.
Con il terzo motivo si assume violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 3 e 5 della legge n. 1369 del 1960 e 1655 cod. civ. in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ. In particolare si deduce che l’appalto in questione aveva ad oggetto attività prevalentemente manuale e personale per cui l’attività lecita dell’appaltatore risiederebbe nella sola organizzazione della forza lavoro per lo svolgimento delle mansioni puramente manuali.
Il ricorso è infondato.
Deve innanzi tutto considerarsi che, in caso di impiego di manodopera negli appalti concessi dalle Ferrovie dello Stato successivamente all’entrata in vigore della L. n. 210 del 1985, è da escludere che l’operatività del generale divieto previsto dalla L. n. 1369 del 1960, art. 1, sia stata limitata dalla disciplina speciale e posteriore introdotta dalla citata L. n. 210 del 1985, art. 2, lett. i), nella parte in cui ha conferito ampio rilievo alle finalità di economicità, ed efficienza dell’organizzazione delle Ferrovie dello Stato e alle conseguenti esigenze di elasticità e flessibilità nella dislocazione dei servizi e del personale. La lettura sistematica di tale ultima disposizione convince dell’assenza di qualsiasi limitazione del divieto di interposizione. Infatti, consentire alle Ferrovie di affidare a società o enti cui partecipino ovvero ad altre imprese la gestione di particolari settori di attività che non ritenga conveniente, per ragioni organizzative, funzionali ed economiche, gestire direttamente, significa semplicemente confermare il generale principio della libertà dell’imprenditore di affidare in appalto tutte le attività suscettibili di fornire un autonomo risultato produttivo, senza che sia consentito escludere l’ipotesi in cui l’organizzazione del committente sarebbe in grado di eseguire direttamente la lavorazione. Pertanto con riferimento proprio alle Ferrovie dello Stato questa Corte (Cass. 5 ottobre 2002, n. 14302; Cass. 19 luglio 2007 n. 16016) ha già affermato – e qui ribadisce – che il divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro (L. 23 ottobre 1960, n. 1369, art. 1), in riferimento agli appalti “endoaziendali”, caratterizzati dall’affidamento ad un appaltatore esterno di tutte le attività, ancorché strettamente attinenti al complessivo ciclo produttivo del committente, opera tutte le volte in cui l’appaltatore metta a disposizione del committente una prestazione lavorativa, rimanendo in capo all’appaltatore-datore di lavoro i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto (quali retribuzione, pianificazione delle ferie, assicurazione della continuità della prestazione), ma senza che da parte sua ci sia una reale organizzazione della prestazione stessa, finalizzata ad un risultato produttivo autonomo (le mansioni svolte dal ricorrente, e sopra ricordate, rientrano nel ciclo produttivo dell’azienda Ferrovie dello Stato, ma inserite nella organizzazione della cooperativa di servizi della quale era socio). La specifica previsione contenuta nella legge istitutiva dell’Ente Ferrovie dello Stato, quale ente pubblico economico creato al fine di assumere il servizio già gestito dallo Stato mediante un’azienda autonoma, si spiega agevolmente con la necessità di delineare il disegno organizzativo di un soggetto pubblico e di precisarne l’ambito di autonomia rispetto ai fini pubblici istituzionali. Certamente, in tema di appalti, non si è inteso consentire all’ente pubblico più di quanto non fosse consentito all’imprenditore privato.
Con riferimento poi più specifico al caso in esame, oggetto della presente controversia, i giudici d’appello hanno accertato, valutando le risultanze istruttorie, che la direzione tecnica delle prestazioni del lavoratore intimato era di competenza esclusiva delle FF.SS., mentre alla Cooperativa era demandata la gestione dei turni, la corresponsione della retribuzione, la gestione delle ferie ed in genere l’amministrazione del personale. Le direttive tecniche ed il controllo del regolare espletamento del servizio era demandato alle Ferrovie dello Stato.
Quindi, con valutazione di merito assistita da motivazione sufficiente e non contraddittoria e pertanto non censurabile con ricorso per cassazione, la Corte d’appello ha accertato che la prestazione dei lavoratori intimati era nella piena disponibilità della società che la dirigeva e ne verificava il regolare espletamento. Sicché in coerenza con tale accertamento di fatto la Corte d’appello ha ritenuto integrata la fattispecie dell’illecita interposizione nella prestazione lavorativa, vietata dalla L. n. 1369 del 1960, art. 1, applicabile ratione temporis, ancorché attualmente abrogata. Il ricorso va quindi rigettato.
Alla soccombenza consegue la condanna della società ricorrente al pagamento delle spese processuali di questo giudizio di cassazione nella misura liquidata in dispositivo.
Non occorre provvedere sulle spese per la parte non costituita.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio relative a M. A. liquidate in € 40,00 per esborsi ed € 2.500,00 per compensi oltre accessori di legge.
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