La Corte di Cassazione sez. tributaria con la sentenza n. 22514 depositata il 02 ottobre 2013 intervenendo in materia di accertamento ha statuito che le indagini bancarie possono essere effettuate anche nei confronti di privati che non svolgono un’attività commerciale, o professionale.
La vicenda ha origine dall’accertamento fiscale basato su indagini bancarie effettuato nei confronti di persona fisica che era presidente del consiglio di amministrazione di una cooperativa. Il contribuente avverso l’atto impositivo ricorreva alla Commissione Tributaria Provinciale lamentando, in particolare, che il fisco poteva svolgere le indagini in questione solo nei confronti di imprenditori o professionisti e non anche di privati, come era avvenuto nella specie avendo acquisito i dati e gli elementi relativi ai propri conti personali. I giudici della CTP accoglievano le doglianze del ricorrente. L’Amministrazione finanziaria proponeva ricorso avverso la decisione dei giudici di prime cure inanzi alla Commissione Tributaria Regionale che confermava la sentenza di primo grado.
Contro la pronuncia della Commissione Tributaria Regionale l’ufficio ricorre per la cassazione della stessa inanzi alla Corte Sprema basandolo su due motivi di censura.
Gli Ermellini accolgono il ricorso dell’Agenzia affermando che una tale limitazione dell’ambito applicativo della disciplina sulle indagini bancarie, circoscritta cioè solo a coloro che esercitano attività imprenditoriali o professionali, è priva di qualsivoglia riscontro normativo. In particolare hanno ritenuto viziata la sentenza di secondo grado nella parte in cui si è affermato che l’acquisizione, da parte della Guardia di Finanza, di dati e notizie dei conti bancari intestati al ricorrente, quale contribuente in proprio, non fosse legittima, sia perché la relativa autorizzazione lo riguardava quale presidente del consiglio di amministrazione di due società cooperative a r.l., quindi due soggetti diversi, sia perché, in linea di massima, la procedura di verifica posta in essere e applicabile ai soli soggetti esercitanti attività d’impresa commerciale, agricola, artistica o professionale.
I giudici di legittimità hanno illustrato che l’autorizzazione all’acquisizione di copia dei conti correnti bancari concessa dal Procuratore ( pur essendo sufficiente quella del comandante di zona della Guardia di Finanza), riguardava, in ogni caso, anche la persona fisica con conseguente irrilevanza, ai fini della piena utilizzabilità dei dati acquisiti, che detta autorizzazione lo riguardasse in qualità di presidente del consiglio di amministrazione di società di capitali, anziché quale contribuente in proprio, non derivandone alcuna lesione di diritti costituzionalmente garantiti.
La problematica risolt dalla Cassazione è particolarmente rilevante. Infatti è stata posta in dubbio la facoltà di eseguire indagini finanziarie anche a privati non titolari di partita Iva, tranne nelle circostanze in cui sia presunta un’attività commerciale o professionale in totale evasione di imposta.
La norma (art. 32 del Dpr 600/73) in questione prevede l’esecuzione degli accertamenti bancari ai fini delle imposte sui redditi non sembra prevedere l’esclusione dei privati non imprenditori. L’articolo 32 del Dpr 600/73, al punto 2 dispone che i dati ed elementi attinenti ai rapporti ed alle operazioni risultanti dai conti, sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti anche dall’articolo 38 (che riguarda tutte le persone fisiche) se il contribuente non dimostra che li ha considerati per la determinazione del reddito soggetto ad imposta ovvero che non hanno rilevanza allo stesso fine.
La questione molto delicata, quindi, una volta ritenute estensibili anche ai privati le indagini finanziarie – come sostiene la Cassazione – è se, e in che termini, trovano applicazione nei confronti delle persone fisiche, che non svolgono attività commerciali e professionali (si pensi ai dipendenti, pensionati, ecc.) le presunzioni previste in materia sui prelevamenti e i versamenti. A tal proposito va sottolineata la necessità per i “privati”, ritenendo applicabili tali presunzioni di fatto, a conservare le “giustificazioni” di tali operazioni e, in particolare, per i prelevamenti.
La norma sul punto prevede che sono posti come ricavi o compensi, i prelevamenti o gli importi riscossi se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e semprechè non risultino dalle scritture contabili.
Infine si segnala quanto indicato nella circolare circolare 32/E del 2006 (par. 5.1) dell’Agenzia delle Entrate. Infatti, veniva chiarito che l’espresso richiamo della norma alle ordinarie tipologie di accertamento comporta che l’operatività delle presunzioni si estende, almeno dal lato dei versamenti, alla generalità dei soggetti passivi e delle diverse categorie reddituali. Invece, stante il riferimento normativo alle scritture contabili, per i prelevamenti, secondo l’Agenzia, detta presunzione trova applicazione solo nei confronti dei soggetti obbligati alla tenuta delle stesse scritture, e quindi solo nel caso in cui sia configurabile un’attività economica, anche di natura professionale.
La Cassazione sul punto non prende specifiche posizioni ma sembrerebbe non fare alcun distinguo tra i vari soggetti passivi, il che farebbe ipotizzare un’estensione generalizzata ai privati anche delle presunzioni sui prelevamenti e versamenti.
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