CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 novembre 2013, n. 44433
Tributi – IVA – Reati fiscali – Omessa dichiarazione – Presentazione della comunicazione dati IVA ex art. 8-bis del DPR n. 322/1998 – Irrilevanza
Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Caltanisetta ha confermato la sentenza del Tribunale di Gela in data 30/09/2009, con la quale S. M. era stato dichiarato colpevole del reato di cui all’art. 5 del D. Lgs. n. 74/2000 (secondo capo B dell’imputazione), a lui ascritto perché, nella qualità di rappresentante legale della Sud M. S.r.l., ometteva di presentare la dichiarazione dei redditi ed IVA per l’anno 2005 e di versare l’imposta sul valore aggiunto per l’importo di € 87.000,00.
La Corte territoriale ha rigettato i motivi di gravame con i quali l’appellante aveva dedotto di avere adempiuto all’obbligo di comunicazione dell’IVA alla Amministrazione Finanziaria, sia pure limitatamente all’ammontare di quella a debito; di essere comunque creditore per l’anno di imposta indicato della somma di € 223.296,00 e chiesto la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale al fine di esaminare il consulente contabile dell’impresa; chiesto, in subordine, la concessione delle attenuanti generiche e la riduzione della pena inflitta.
Sul primo punto, in particolare, la sentenza ha affermato che la comunicazione IVA, prevista dall’art. 8 bis del DPR n. 322/1998, finalizzata ad adempiere agli obblighi comunitari dì cui all’art. 22, paragrafo 4, della Direttiva CEE n. 77/388 del 17/05/1977, non è sostitutiva della dichiarazione annuale ai fini delle imposte sui redditi ed IVA. La sentenza ha altresì escluso l’esistenza di prove del credito IVA per l’anno di imposta 2005, asserito dall’appellante, e la necessità di disporre la rinnovazione dell’Istruttoria dibattimentale in appello. E’ stato, infine, escluso che l’imputato fosse meritevole di un trattamento sanzionatorio più mite e del beneficio della sospensione condizionate della pena.
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso l’imputato, tramite il difensore, che la denuncia per vizi di motivazione e violazione di legge.
2.1 Mancata assunzione di una prova decisiva e carenza di motivazione.
Si censura l’omessa riapertura dell’istruzione dibattimentale in appello, che avrebbe consentito di provare l’esistenza di un credito IVA dell’imputato per l’ammontare di € 365.587,00, portato in compensazione con il minor debito di € 87.000,00, con conseguente insussistenza di un danno erariale. La prova richiesta era, pertanto, decisiva e la sentenza è carente di motivazione sul punto.
2.2 Violazione di legge.
L’imputato aveva provveduto a comunicare all’Amministrazione finanziaria l’ammontare dell’IVA per operazioni attive, indicando a proprio danno un debito di imposta pari ad € 163.252,00, superiore a quello effettivo. La sentenza ha attribuito erroneamente al reato natura meramente formale, afferente all’omessa presentazione della prescritta dichiarazione, mentre la fattispecie penale ha natura sostanziale ed è integrata dall’esistenza di un comportamento omissivo, che impedisca all’Ente impositore di accertare il debito fiscale; comportamento omissivo che nel caso in esame doveva escludersi, avendo l’imputato comunicato l’ammontare dell’IVA dovuta sia pure attraverso un atto concepito per fini diversi. Peraltro, il presente procedimento è stato determinato proprio dalla comunicazione IVA effettuata dal ricorrente.
La fattispecie criminosa non è finalizzata a punire mere irregolarità formali, ma la condotta diretta a sfuggire al fisco, con la conseguenza che il mancato pagamento dell’imposta è elemento costitutivo del reato. Nel caso in esame non vi è stato il mancato pagamento dell’IVA per l’ammontare accertato dai giudici di merito, poiché dalla dichiarazione presentata tardivamente dall’imputato emerge a favore dello stesso un credito IVA per l’ammontare di € 365.587,00, portato in detrazione per l’anno 2004 nella misura di € 55.269,00 e per l’anno 2005 nella misura di € 87.000,00 con un residuo credito a favore dello S. di € 223.296,00.
La Corte territoriale avrebbe dovuto individuare due elementi costitutivi del reato: da un lato una condotta totalmente omissiva, con la possibilità di ammettere equipollenti rispetto alla dichiarazione non presentata e, dall’altro, il mancato pagamento del tributo.
2.3 Omessa motivazione.
La comunicazione formale da parte dell’imputato dell’IVA a debito costituiva dimostrazione della assenza di volontà di sottrarsi all’accertamento dell’imposta dovuta. Peraltro, lo S. non aveva alcun interesse a sottrarsi all’accertamento dell’IVA, in quanto non doveva pagare alcunché, essendo egli creditore dell’Imposta per un ammontare di gran lunga superiore a quanto dovuto. Su tali punti, che dimostrano l’insussistenza del dolo specifico del fine di evadere l’Imposta, la sentenza è totalmente carente di motivazione.
2.4 Violazione di legge.
La motivazione in ordine al diniego delle attenuanti generiche e della sospensione della pena non ha tenuto conto delle deduzioni dell’appellante in punto di Insussistenza del danno erariale, ma si fonda su altre considerazioni, stravolgendo, in tal modo, i principi basilari del procedimento penale.
Considerato in diritto
1. Il ricorso non è fondato.
2. La sentenza impugnata ha correttamente affermato in punto di diritto che la comunicazione IVA, prevista dall’art. 8 bis del DPR n. 322/1998, introdotto dall’art. 9 del DPR n. 435/2001, finalizzata ad adempiere agli obblighi comunitari di cui all’art. 22, paragrafo 4, della Direttiva CEE n. 77/388 del 17/05/1977, non è sostitutiva della dichiarazione annuale ai fini delle imposte sui redditi ed IVA.
Stabilisce, infatti, il primo comma della disposizione citata che:
“1. Fermi restando gli obblighi previsti dall’articolo 3 relativamente alla dichiarazione unificata e dall’articolo 8 relativamente alla dichiarazione I.V.A. annuale e ferma restando la rilevanza attribuita alle suddette dichiarazioni anche ai fini sanzionatoti, il contribuente presenta in via telematica, direttamente o tramite gli incaricati di cui all’articolo 3, commi 2-bis e 3, entro il mese di febbraio di ciascun anno, una comunicazione dei dati relativi all’imposta sul valore aggiunto riferita all’anno solare precedente, redatta in conformità al modello approvato con provvedimento amministrativo da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale. La comunicazione è presentata anche dai contribuenti che non hanno effettuato operazioni imponibili.”
Sicché la non equipollenza della comunicazione IVA, da effettuarsi entro il mese di febbraio di ciascun anno, con la dichiarazione annuale dell’imposta è espressamente stabilita dalla norma, che fa salvi gli effetti sanzionatori, tra cui evidentemente quelli penali, comminati per l’omessa dichiarazione.
La comunicazione prevista dalla disposizione citata, infatti, è sostitutiva delle dichiarazioni periodiche IVA infrannuali ed assolve allo scopo di fornire all’amministrazione finanziaria i dati IVA sintetici, “che costituiscono una prima base di calcolo per la determinazione delle “risorse proprie” che lo Stato deve versare al bilancio comunitario.”
“La natura e gli effetti del nuovo adempimento, pertanto, non sono quelli propri della “Dichiarazione IVA”, bensì quelli riferibili alla comunicazione di dati e notizie. Attraverso la comunicazione il contribuente non procede, infatti, alla definitiva autodeterminazione dell’imposta dovuta, che avverrà invece attraverso il tradizionale strumento della dichiarazione annuale.” (cfr. circolare n. 6 del 25/01/2002 dell’Agenzia delle Entrate).
3. Nel resto tutte le argomentazioni del ricorrente per contestare l’affermazione di colpevolezza si incentrano sull’assunto, esclusivamente fattuale, dell’esistenza di un credito IVA per l’ammontare indicato in ricorso, che i giudici di merito hanno escluso con motivazione adeguata, facendo riferimento alle risultanze probatorie acquisite, costituite dalle deposizioni dei verbalizzanti che hanno proceduto gli accertamenti fiscali e dalle fatture acquisite agli atti, oltre alla documentazione prodotta nel giudizio di primo grado dalla stessa difesa dell’imputato.
Peraltro, gli accertamenti hanno riguardato anche gli anni precedenti e successiva a quello di cui all’affermazione dì colpevolezza, nel quali egualmente non vi è stata la presentazione della dichiarazione dei redditi ed IVA, sicché l’imputato non ha fornito alcuna prova nella sede di merito del presunto credito di imposta.
Né sul punto è fondata la doglianza in ordine alla mancata riapertura della istruzione dibattimentale in appello, trattandosi della richiesta, peraltro in via subordinata, di una prova nuova, sicché correttamente i giudici di merito non la hanno disposta ai sensi dell’art. 603, comma 1, c.p.p., avendo tutti gli elementi, tra cui come precisato la documentazione contabile prodotta dall’imputato, per decidere allo stato degli atti.
Correttamente inoltre è stato ritenuto sussistente l’elemento psicologico del reato insito nella omessa dichiarazione finalizzata all’evasione del pagamento dell’imposta.
Sul punto del resto la contestazione del ricorrente è sempre esclusivamente fondata sulla deduzione fattuale della esistenza di un suo credito di imposta nei confronti dell’erario, che è stato escluso dai giudici di merito.
4. Infine, anche il diniego delle attenuanti generiche e del beneficio della sospensione della pena ha formato oggetto di adeguata motivazione mediante i rilievi afferenti alla gravità del fatto ed ai precedenti dell’imputato.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato con le conseguenze di legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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