La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 44309 depositata il 31 ottobre 2013 intervenendo in materia di reati fiscali ha affermato che ai fini dell’ applicazione del sequestro finalizzato alla confisca per equivalente a fatti costituenti reati tributari antecedenti al 1° gennaio 2008 è sufficiente che sia contestata la condizione di transnazionalità di tali delitti ai sensi della legge 146/2006, non costituendo la transnazionalità un elemento costitutivo di una autonoma fattispecie di reato, ma un predicato riferibile a qualsiasi delitto che abbia i requisiti indicati dalla stessa legge 146/2006.
La vicenda ha riguardato un contribuente che veniva indagato, in qualità di amministratore, per l’omessa presentazione in Italia delle dichiarazioni dei redditi ed IVA da parte di alcune società portoghesi. I giudici, in riferimento alle predette società, attribuivano all’imputato la qualità di amministratore di fatto e di socio, presupponendo che le stesse avrebbero dovuto considerarsi fiscalmente residenti in Italia, in quanto veniva considerato che il loro centro decisionale, individuato nella sua persona quale socio di controllo italiano.
Nel contempo all’indagato veniva contesto l’utilizzo, ai soli fini delle imposte sui redditi, di fatture per operazioni inesistenti emesse all’estero dalle medesime società portoghesi, nella sua qualità di consigliere di amministrazione e/o amministratore di fatto delle società italiane del Gruppo.
La difesa dell’imputato si fondava sulla illegittimità dell’attribuzione in capo alla stessa persona di due ipotesi di reato tra loro alternative e inconciliabili, essendo egli imputato quale organizzatore, unitamente agli amministratori delle società estere, del reato di associazione per delinquere finalizzata alla costituzione, gestione ed amministrazione di società estero vestite, alla cura dei rapporti tra dette società e quelle italiane del gruppo al fine di ottenere dalle prime le fatture per operazioni inesistenti poi utilizzate dalle seconde.
Il Tribunale del riesame ha rigettato l’appello proposto dall’indagato avverso il decreto con cui il GIP aveva respinto l’istanza di dissequestro delle somme sottoposte a sequestro preventivo per equivalente nell’ambito di procedimento penale concernente i reati di cui agli artt. 416, 648-bis cod. pen., 2, 5 e 8 d.lgs. 74/2000.
L’imputato, per il tramite del suo difensore, impugnava la decisione del giudice di merito inanzi alla Corte Suprema con ricorso fondato su cinque motivi di censura.
I giudici di legittimità, nel rigettare il ricorso, hanno ricordato come risulta del tutto irrilevante, alla luce della giurisprudenza della Corte, la coincidenza, in capo al medesimo soggetto, della rappresentanza di diritto o di fatto tanto delle società emittenti le fatture per operazioni inesistenti che di quelle utilizzatrici delle fatture medesime, essendosi ripetutamente affermato che, in tema di reati tributati, la disciplina in deroga al concorso di persone nel reato non si applica laddove l’amministratore delle società sia la medesima persona fisica.
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