La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la sentenza n. 27277 depositata il 5 dicembre 2013 intervenendo in tema di cessione di azienda ha ritenuta esclusa la frode alla legge qualora vi sia una cessione di ramo d’azienda che comprende lavoratori in cassa integrazione, laddove il ramo ceduto configuri da sempre un’entità economico ben distinta ed autonoma rispetto al resto dell’azienda e la cessione sia volta anche a conservare i posti di lavoro, anziché procedere con un licenziamento collettivo.
La vicenda ha visto protagonista i lavoratori di una società che aveva ceduto il ramo di azienda. Successivamente alla cessione del ramo di azienda i lavoratori venivano licenziati. I dipendenti impugnarono il provvedimento di espulsione inanzi al Tribunale, in veste di giudice del lavoro, con una domanda diretta ad ottenere l’accertamento dell’insussistenza del trasferimento del ramo di azienda in quanto prima della cessione del ramo di azienda erano stati fatti dalla società cedente alcuni tentativi di di aprire procedure di mobilità che avevano comunque comportato periodi di CIGS.
Il Tribunale adito respinge la domanda dei lavoratori ricorrenti. Avverso la pronuncia del giudice di prime cure, i lavoratori, proposero ricorso alla Corte di Appello . I giudici di appello non accoglievano le doglianze dei lavoratori. I giudici di appello alla base della loro decisione poneva il rilievo secondo il quale il ramo d’azienda, trasferito con cessione del 23 novembre 2000, doveva ritenersi effettivo risultando, sia l’esistenza del ramo d’azienda “Costruzioni terra Italia”- come comprovato dalla valutazione tecnica agli atti – da cui era desumibile l’attività di progettazione e posa di reti di condotte di grande diametro e di macchinari per tali lavori nonché di personale ivi addetto – , sia la preesistenza di detto ramo alla cessione come dimostrato dall’accordo per la mobilità.
I dipendenti, per il tramite del loro difensore, proponevano ricorso, basato su sei motivi di censure, alla Corte Suprema.
Gli Ermellini rigettano il ricorso dei lavoratori ritenendo i motivi del ricorso infondati. Nelle motivazioni i giudici del Palazzaccio richiamano inanzitutto il principio di diritto affermato da questa Corte in una vicenda del tutto sovrapponibile alla presente secondo il quale in materia di trasferimento di parte (c.d. ramo) di azienda, tanto la normativa comunitaria (direttive CE nn. 98/50 e 2001/23) quanto la legislazione nazionale (art. 2112, comma quinto, cod. civ., sostituito dall’art. 32 del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276) perseguono il fine di evitare che il trasferimento si trasformi in semplice strumento di sostituzione del datore di lavoro, in una pluralità di rapporti individuali, con altro sul quale i lavoratori possano riporre minore affidamento sul piano sia della solvibilità sia dell’attitudine a proseguire con continuità l’attività produttiva. La citata direttiva del 1998 richiede, pertanto, che il ramo d’azienda oggetto del trasferimento costituisca un’entità economica con propria identità, intesa come insieme di mezzi organizzati per un’attività economica, essenziale o accessoria, e, analogamente, l’art. 2112, quinto comma, cc si riferisce alla “parte d’azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata”. Deve, quindi, trattarsi di un’entità economica organizzata in modo stabile e non destinata all’esecuzione di una sola opera (cfr. Corte di Giustizia CE, sentenza 24 gennaio 2002, C-51/00), ovvero di un’organizzazione quale legame funzionale che renda le attività dei lavoratori interagenti e capaci di tradursi in beni o servizi determinati, -là dove, infine, il motivo del trasferimento ben può consistere nell’intento di superare uno stato di difficoltà economica (Cass. 8 giugno 2009 n. 13171) .
I giudici di legittimità hanno puntualizzato che il trasferimento rientra nelle soluzioni alternative previste dalla Legge n. 223/1991 e a nulla valgono le obiezioni dei lavoratori, stante il fatto che la loro storia lavorativa presso l’azienda è interamente legata al ramo ceduto, il che conferma l’indipendenza funzionale del ramo stesso. Pertanto la Corte di Cassazione esclude che costituisca un contratto in frode alla legge la cessione di ramo d’azienda realizzata dal datore laddove la struttura oggetto del trasferimento mostra comunque una sua autonoma funzionalità produttiva e una sua identità economica, dovendo escludersi che i pregressi tentativi di aprire procedure di mobilità, che hanno comportato periodi di cassa integrazione guadagni straordinaria, rappresentare sequenza di fatti atti ad avvalorare la prospettazione della cessione del ramo di azienda in frode alla legge,potendo, piuttosto, il ricorso successivo alla cessione del ramo di azienda, previo richiamo dei lavoratori già collocati in mobilità, rappresentare una soluzione alternativa, consentita dalla legge 223/91, per far fronte alla crisi.
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