La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n.27684 del 11 dicembre 2013 intervenendo in tema di fatture per operazioni inesistenti ha statuito, confermando un principio espresso in precedenti sentenze, che sono imponibili anche le operazioni inesistenti fatturate dall’imprenditore anche solo per ottenere un aumento della provvista da parte della banca.
La vicenda ha riguardato una società di capitale che era stata sottoposta ad una verifica della Guardia di Finanza e che a seguito di tale controllo la GdF comunicava all’Amministrazione finanziaria quanto riscontrato ed in particolare una serie di fatture false non annotati e non contabilizzati, ma depositati presso Istituti di credito al fine di ottenere maggiore liquidità disponibile. Il Fisco provvedeva, pertanto, ad emettere un avviso di accertamento ai fini IVA per maggior imponibile e conseguente mancato versamento dell’imposta.
La società contribuente avverso tale atto impositivo ricorreva alla Commissione Tributaria Provinciale lamentando che a rettifica era illegittima poiché le fatture, reperite presso istituti di credito e costituenti solo carta bancabile per ottenere liquidità, non erano mai state contabilizzate né altrimenti utilizzate, sicché le dichiarazioni IVA erano da considerarsi regolari. I giudici della CTP accoglievano il ricorso della società. Il Fisco impugnava la decisione del giudice di prime cure inanzi alla Commissione Tributaria Regionale confermava la sentenza di primo grado. In particolare i giudici di appello hanno rilevato come si trattasse di “fatture che, essendo state emesse e negoziate solo per ricorrere al credito bancario in misura maggiore a quella spettante, non costituivano né evasione fiscale né truffa all’Erario”.
L’Amministrazione finanziaria per la cassazione della sentenza del giudice di appello propone ricorso, affidandosi a cinque motivi di censura, alla Corte Suprema. Lamentando, in particolare, il fatto che la CTR avesse considerato irrilevanti fiscalmente i documenti oggetto dell’accertamento, per il solo fatto di essere state rinvenute presso banche, e perché non erano state né annotate né contabilizzate.
Gli Ermellini accolgono parzialmente le motivazioni del Fisco, cassando la sentenza impugnata e rinviando ad altra sezione della CTR. I giudici di legittimità rilevano che la normativa comunitaria stabilisce che «L’IVA è dovuta da chiunque indichi tale imposta in una fattura». Nel diritto interno, la Corte rileva, come l’obbligazione tributaria prevista dall’art. 21, comma 7 del D.P.R. n. 633/72 opera a carico del committente dal momento in cui la fattura da lui formata sia messa nei modi previsti dal comma 1 del medesimo articolo, cioè sia consegnata o spedita alla controparte. Inoltre, viene ribadito come la sola emissione della fattura rende l’emittente obbligato alla corresponsione della relativa imposta sul valore aggiunto.
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