CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 dicembre 2013, n. 28072
Tributi – IVA – Reddito d’impresa – Detrazioni – Consorzio – Addebito delle spese – Prova dell’inerenza – Necessità
Svolgimento del processo
1. L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, avverso la sentenza della commissione tributaria regionale della Puglia, sez. stacc. di Lecce, n. 255/22/10, depositata il 25 giugno 2010, con la quale essa rigettava l’appello della medesima contro la decisione di quella provinciale, sicché l’opposizione della società M. srl., relativa all’avviso di accertamento in rettifica, concernente l’Iva per l’anno 1998, inerente all’attività, prevista nello statuto, di estrazione, frantumazione e composizione di conglomerati cementizi, ed all’altra diversa di riparazione di autoveicoli, come rilevato dalla Guardia di finanza nel corso della verifica svolta, veniva ritenuta fondata. In particolare il giudice di secondo grado osservava che l’attività di riparazione degli autoveicoli doveva considerarsi di carattere secondario, dal momento che riguardava gli automezzi dell’azienda, che erano numerosi, e che peraltro venivano riparatati presso l’officina della contribuente, ancorché posta in una sede diversa, e quindi i costi “verosimilmente” si riferivano ad essa, come pure potevano attribuirsi ad altre riparazioni commissionate ad altre diverse ditte, giusta la documentazione versata in atti. Il consumo di energia elettrica si riferiva al consorzio CISA, di cui la contribuente era consorziata, e quindi correttamente i relativi costi potevano essere dedotti da Monticava, giusta la documentazione fornita. In ordine poi alla nota di credito relativa ai pretesi maggiori costi deducibili per l’anno d’imposizione, la CTR rilevava che essi si riferivano anche alla sostituzione degli pneumatici dei veicoli, e quindi a riparazioni ordinarie, come emergeva dalla perizia di parte della contribuente, e pertanto essa poteva essere annotata, ancorché successivamente, e valutata ai fini della maggiore deducibilità, mentre invece l’appellante agenzia non aveva fornito la prova dei suoi assunti. La Monticava resiste con controricorso, ed ha depositato memoria.
Motivi della decisione
2. Col primo motivo la ricorrente deduce violazione di norme di legge, in quanto il giudice di appello non considerava che, come analiticamente evidenziato nel verbale della Guardia di finanza allegato all’atto impositivo, l’attività scoperta, in relazione alla riparazione di un grande quantitativo di veicoli, riguardava numerose imprese facenti parte del consorzio CISA, con le quali l’appellata aveva stipulato appositi contratti di manutenzione, senza avere mai dichiarato quest’altra seconda attività, tutt’altro che secondaria, e per la quale i rispettivi ricavi venivano recuperati a tassazione, senza che i dati ed elementi tratti dalla perizia di parte potessero essere recepiti acriticamente.
Il motivo è fondato. Infatti in tema di imposte sul reddito, la deducibilità delle spese per la riparazione e manutenzione di automezzi destinati all’esercizio dell’impresa, ai sensi dell’art. 75 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, è subordinata alla dimostrazione, da parte del contribuente, della inerenza di tali spese a beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito stesso, il che invece non avveniva nella fattispecie in esame, atteso che i mezzi non solo non erano individuati, ma soprattutto non venivano indicati come quelli inerenti all’attività produttiva del reddito stesso (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 16253 del 23/07/2007, n. 1709 del 2007). Peraltro, com’è noto, con riguardo alla determinazione del reddito d’impresa, l’onere della prova circa l’esistenza dei fatti che danno luogo ad oneri e costi deducibili, ivi compreso il requisito dell’inerenza, incombe al contribuente che invoca la deducibilità, senza che possa essere costituito da atto di parte, rappresentato da perizia, peraltro senza alcun vaglio critico, come nel caso in esame (V. pure Cass. Sentenze n. 16198 del 27/12/2001, n. 12330 del 2001).
Dunque sul punto la sentenza impugnata non risulta motivata in modo giuridicamente corretto.
3. Col secondo motivo la ricorrente denunzia vizio di omessa motivazione, giacché il giudice di appello non indicava le ragioni, in virtù delle quali riteneva che i costi per l’energia elettrica consumata dal consorzio CISA, fossero inerenti e quindi deducibili; la registrazione della nota di credito, attinente a fattura per maggiori costi, registrata nel libro giornale in anno diverso da quello in cui era pervenuta, dovesse ritenersi regolare, giusta l’esibizione della relativa copia; la deduzione di quelli inerenti alla riparazione di parecchi autoveicoli andasse riconosciuta, secondo le risultanze della perizia di parte.
La censura va condivisa. Invero la CTR non considerava che in tema di determinazione del reddito d’impresa, l’affidamento da parte di più imprese ad un consorzio della gestione esclusiva di determinati affari d’interesse comune (pubblicità, rappresentanza, sicurezza, logistica, ecc.) con sopportazione della relativa spesa “pro quota”, non spoglia l’impresa consorziata della propria soggettività giuridica e fiscale, né attribuisce al consorzio una natura puramente neutrale. Ne consegue che: 1) tanto il consorzio, quanto ogni singola consorziata, sono soggetti all’imposta sul reddito delle persone giuridiche, ed il reddito derivante dall’esercizio delle rispettive imprese commerciali è soggetto ad imposta, nei modi stabiliti dall’art. 51, e segg., del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917; 2) l’impresa consorziata (come pure il consorzio) è parte del rapporto tributario avente ad oggetto il risultato della propria attività economica, da cui deriva la legittimazione ad impugnare la pretesa fiscale espressa nell’atto impositivo; 3) la parte di spesa affrontata da ciascuna impresa, in base al patto consortile, per assicurarsi i vantaggi derivanti dall’istituzione del consorzio, non ha in se stessa, indefettibilmente, la connotazione d’inerenza, ai sensi ed ai fini dell’art. 75, comma 5, del d.P.R. cit., essendo invece ogni consorziata tenuta a dimostrare, ai fini della deducibilità, se ed in quale misura, tale spesa sia stata effettivamente sostenuta dal consorzio e si riferisca (anche) ad attività o beni propri (inerenza), da cui siano derivati ricavi od altri proventi che abbiano concorso a formarne il reddito, prova invece che non veniva fornita nel caso in esame, anche con riferimento ai vari autoveicoli indicati dalla GdF come appartenenti a società consorziate, per le quali i ricavi non erano stati annotati nelle scritture contabili (V. pure Cass. Sentenza n. 22790 del 28/10/2009, n. 6855 del 2009). Quanto infine alla nota di credito, registrata in annualità diversa da quella in cui era pervenuta, va osservato che, com’è noto, ai sensi del combinato disposto dei commi secondo e terzo dell’art. 26 del d.p.r. 633/1972, il soggetto passivo dell’IVA, che abbia rilasciato note di credito, è vincolato, ove desideri avvalersi della riduzione normativamente prevista, a preordinare, in sede di registrazione delle operazioni, la prova che la riduzione si realizzi entro un anno dall’effettuazione dell’operazione imponibile. Tale prova può legittimamente essere fornita soltanto attraverso l’indicazione di quei dati che risultino idonei a collegare le due operazioni – essendo lo scopo perseguito dalla legge quello di impedire pericolose forme di elusione degli obblighi del contribuente, ed essendo tale scopo perseguibile attraverso il principio di immodificabilità, sia unilaterale, sia concordata tra le parti, delle registrazioni obbligatorie, fatto salvo il caso di successive variazioni dell’imponibile o dell’imposta, ex art. 26 citato – mercè dimostrazione, da parte del contribuente, dell’identità tra l’oggetto della fattura e della registrazione originarie, da un canto, e l’oggetto della registrazione della variazione, dall’altro, sì da palesare inequivocabilmente la corrispondenza tra i due atti contabili, il che nella specie tuttavia non avveniva (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 9188 del 06/07/2001, n. 7234 del 1995).
Perciò anche su tale punto la decisione impugnata non risulta motivata in modo adeguato e giuridicamente corretto.
4. Ne discende che il ricorso va accolto, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata, con rinvio al giudice “a quo”, altra sezione, per nuovo esame, e che si uniformerà ai suindicati principi di diritto.
5. Quanto alle spese dell’intero giudizio, esse saranno regolate dal giudice del rinvio stesso.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata, e rinvia, anche per le spese, alla commissione tributaria regionale della Puglia, altra sezione, per nuovo esame.
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