Corte di Cassazione ordinanza n. 19332 del 15 giugno 2022

contraddittorio  endoprocedimentale – stretta correlazione che deve sussistere tra la deducibilità dei costi ed il principio dell’inerenza – vizio di omessa pronuncia su punto decisivo

Rilevato che:

1. La società C.M. G. e C. (già Il C. s.a.s. R.L. & C.), la G. Sas R.L. & C., come in atti rappresentate, nonchè XX, XX, XX, XX, XX, in proprio ed in qualità di soci delle predette società, ricorrono, con quattro motivi, contro l’Agenzia delle Entrate, che resiste con controricorso, avverso la sentenza in epigrafe con la quale la C.t.r. del Veneto ha accolto l’appello proposto dall’Ufficio avverso la sentenza della C.t.p. di Vicenza che aveva accolto il ricorso avverso gli avvisi accertamento relativi alle imposte Irpef ed Irap per l’anno 2006.

2. Gli avvisi di accertamento seguivano ad una verifica fiscale con la quale l’Ufficio aveva accertato che la società immobiliare il C. s.a.s., costituita nel 2005, e partecipata dagli altri ricorrenti, aveva acquistato, nel medesimo anno, un unico immobile, noto come «il C. di C.», il quale, nel 2007, in sede di trasformazione della società in società semplice, era stato assegnato ai soci; che l’immobile era stato considerato dalla società come bene merce, dunque destinato a produrre ricavi, ed inserito in bilancio tra le rimanenze; che, ciononostante, era stato sempre destinato ad uso personale dei soci. Per l’effetto, l’Ufficio, valutata la notevole sproporzione tra i costi sostenuti ed i ricavi inesistenti, concludeva per l’indeducibilità dei costi perché non inerenti l’attività aziendale ai sensi dell’art. 109 d.P.R. n. 917 del 1986.

Venivano, di conseguenza, emessi gli avvisi di accertamento impugnati con cui si azzerava la perdita dichiarata dalla società il C. s.a.s., relativa a costi indebitamente dedotti, si accertava un reddito imponibile della società pari a zero; di conseguenza, veniva rettificato il reddito ai fini irpef ed irap.

3. La C.t.p. accoglieva i ricorsi, ravvisando la violazione dell’art. 12, comma 7, legge 27 luglio 2000, n. 212.

4. La C.t.r., in accoglimento dell’appello frapposto dall’Agenzia delle Entrate, concludeva per la legittimità dell’accertamento, per quanto qui rileva, rigettando l’eccezione di illegittimità del medesimo per mancanza del pvc, per violazione del contraddittorio e per mancanza di motivazione ed escludendo la natura imprenditoriale dell’operazione che, invece, veniva complessivamente valutata nei termini di un mero acquisto di immobile assegnato ai soci.

Considerato che:

1. Con il primo motivo i ricorrenti denunziano, in relazione all’art.360, primo comma, n.3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma 7, legge 27 luglio 2000 212, dell’art. 42, secondo e terzo comma, d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, del combinato disposto di cui all’artt. 25 d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 e all’ art. 42, secondo e terzo comma, d.P.R.  600 del 1973, dell’art. 56, primo e quinto comma, d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, dell’art. 24 legge 07 gennaio 1929 n. 4, degli artt. 3, 24, 97, Cost.

In particolare, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso il vizio dell’atto impositivo, nonostante la mancata previa redazione del processo verbale di constatazione.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunziano, in relazione all’art.360, primo comma, n.3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 109, comma 5, P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 e dell’art. 4 d.P.R. n. 633 del 1972.

In particolare i ricorrenti censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto giuridicamente impossibile qualificare come commerciali i cosiddetti atti preparatori di impresa ed ha negato l’inerenza dei relativi costi in ragione del successivo mancato esercizio.

3. Con il terzo motivo i ricorrenti denunziano, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 42, d.P.R. n. 600 del 1973, del combinato disposto di cui all’artt. 25 lgs. n. 446 del 1997 e all’art. 42 d.P.R. 600 del 1973, dell’art. 56, primo e quinto comma, d.P.R. n. 633 del 1972, dell’art. 24 Cost; in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., l’omessa pronuncia.

In particolare, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per aver omesso di pronunciarsi su tutte le domande dei contribuenti, ritenendo sufficiente il rilievo dell’Ufficio in ordine al il mancato esercizio di una successiva attività imprenditoriale.

4. Con il quarto motivo i ricorrenti denunziano, in relazione all’art. 360, primo comma, n.4 cod. proc. civ. la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 proc. civ., degli artt. 10 e 11 d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, dell’art. 8, comma 24, d.l. 2 marzo 2012 n. 16 conv. in legge 26 aprile 2012 n. 44.

In particolare i ricorrente censurano la sentenza impugnata per omessa pronuncia sull’eccezione di inammissibilità dell’appello sollevata in quanto sottoscritto da soggetto diverso dal Direttore Provinciale dell’Agenzia delle Entrate.

5. I ricorrenti, in data 23/04/2022, depositavano memorie.

6. Il quarto motivo, avente natura preliminare, in quanto relativo all’ammissibilità dell’appello, accolto con la sentenza impugnata, è in parte inammissibile ed in parte infondato.

6.1 In primo luogo, va evidenziato che la questione della mancanza agli atti della delega, pure sollevata in ricorso, non risulta ritualmente dedotta nel giudizio di appello, né i ricorrenti hanno localizzato la proposizione della relativa eccezione. Al contrario, dalla stessa riproduzione in ricorso dell’eccezione sollevata dai contribuenti nel giudizio di secondo grado risulta che l’oggetto della contestazione non era l’esistenza della delega ma la spettanza del potere di rappresentanza a soggetto diverso dal Direttore provinciale. Sotto tale profilo, pertanto, il motivo è inammissibile in quanto nuovo.

6.2 Su detta ultima questione, invece, la decisione è conforme alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui, in tema di legittimazione processuale dell’Amministrazione finanziaria e di sottoscrizione dell’atto di appello, la relativa sottoscrizione deve ritenersi validamente apposta quando proviene dal funzionario preposto al reparto competente, poiché la delega da parte del titolare dell’Ufficio può essere legittimamente conferita in via generale mediante la preposizione del funzionario ad un settore dell’Ufficio con competenze specifiche (Cass., 19/07/2021 n. 20599, Cass., 28/05/2008, n. 13908).

6.3 Non influisce sulla questione la sopravvenuta sentenza n. 37 del 2015 della Corte Costituzionale citata dai ricorrenti. La decisione non può incidere sulla validità degli atti tributari perché diverso è il suo oggetto. La sentenza riguarda il solo aspetto attinente all’art. 8, comma 24, del l. n. 16 del 2012, convertito con modificazioni nella legge. n. 44 del 2012, dichiarato illegittimo per il fatto di consentire alle amministrazioni finanziarie l’attribuzione di incarichi dirigenziali a propri funzionari fino all’espletamento delle procedure concorsuali, da completare entro il 31 dicembre 2013, con salvezza degli incarichi già conferiti; norma che (unitamente alle disposizioni di proroga) è stata ritenuta in violazione degli artt. 3, 51 e 97 Cost., per aver contribuito all’indefinito protrarsi nel tempo di assegnazioni asseritamente temporanee di mansioni superiori, senza copertura dei posti dirigenziali vacanti da parte dei vincitori di una procedura concorsuale aperta e pubblica.

La richiamata pronuncia riguarda il profilo dell’attribuzione degli incarichi dirigenziali senza concorso. La stessa, pertanto, non supera, sul piano effettuale, i confini del rapporto interno (di impiego o di servizio) tra l’Amministrazione e il personale direttivo, e non attinge la sorte degli atti, rispetto ai quali rileva in modo autosufficiente (solo) l’art. 42 d.P.R. n. 600 del 1973, in rapporto alla disciplina del quale si deve stabilire se la volontà dell’ente sia stata validamente manifestata dal soggetto che, indipendentemente dalla qualifica dirigenziale, legittimamente rivestiva la funzione da esso articolo considerata. (Cass. 09/11/ 2015 n. 22810).

7. Il primo motivo è infondato.

7.1 L’art. 52, sesto comma, d.P.R. 29 settembre 1972, n. 633 dettato in materia di «Accessi, ispezioni e verifiche» e richiamato dall’art. 33, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, recante la medesima rubrica, stabilisce che «di ogni accesso deve essere redatto processo verbale da cui risultino le ispezioni e le rilevazioni eseguite, le richieste fatte al contribuente o a chi lo rappresenta e le risposte ricevute. Il verbale deve essere sottoscritto dal contribuente o da chi fo rappresenta ovvero indicare il motivo della mancata sottoscrizione. Il contribuente ha diritto di averne copia». A tale disposizione si correla l’art. 12, comma 7, legge 21 luglio 2000, n. 212, il quale prevede che l’avviso di accertamento non possa essere emanato prima della scadenza del termine di sessanta giorni dal rilascio al contribuente di copia del processo verbale di chiusura delle operazioni ispettive, salvo casi di particolare e motivata urgenza.

Tali disposizioni sono state interpretate da questa Corte nel senso che l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio  endoprocedimentale,  la  cui  violazione comporta l’invalidità dell’atto, purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi «armonizzati»; mentre, per quelli «non armonizzati», non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito (Cass. Sez. U, 09/12/2015 n. 24823).

Per giurisprudenza consolidata di questa Corte, pertanto, in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, non sussiste per l’Amministrazione finanziaria alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti ai fini Irpeg ed Irap, assoggettati esclusivamente alla normativa nazionale, vertendosi in ambito di indagini così dette «a tavolino» (Cass., Sez. U., 09/12/2015, n. 24823, Cass. 27/07/2018, n. 20036, Cass. 14/03/2018 n. 6219)

7.2 Ciò comporta che, non essendo stato dedotto che l’accertamento sia stato svolto mediante accesso, e tanto non risultando dagli atti, la censura sulla obbligatorietà della previa emissione del processo verbale di constatazione, in quanto funzionale a garantire il contraddittorio, è priva di fondamento.

8. Il secondo motivo è inammissibile.

I ricorrenti censurano la sentenza impugnata assumendo che quest’ultima avrebbe, in violazione dell’art. 109 d.P.R. n. 917 del 1983, ritenuto l’assoluta impossibilità giuridica di qualificare come commerciali gli atti preparatori in caso di successivo mancato esercizio dell’impresa, così ingiustamente escludendo l’inerenza dei relativi costi.

Il motivo non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata.

8.1 La C.t.r. ha espressamente condiviso le valutazioni sottese all’atto di accertamento, come riportate nella premessa della sentenza.

L’Amministrazione, in particolare, aveva ritenuto che la società – costituita al solo scopo di amministrare un patrimonio personale dei soci, beneficiando di norme fiscali più favorevoli – aveva acquistato l’immobile e finanziato la riqualificazione e ristrutturazione del medesimo, al solo fine di renderlo fruibile ai soci, ai quali era destinato, e senza svolgere alcuna attività d’impresa. Per l’effetto, ha ritenuto che i costi non fossero deducibili in quanto non inerenti alla attività d’impresa.

La C.t.r., di seguito, facendo proprie dette considerazioni, ha espressamente valutato nel merito l’operazione immobiliare oggetto del contendere, evidenziando, in fatto, che la medesima si caratterizzava quale un’operazione di acquisto di un immobile al fine di assegnarlo, successivamente ristrutturato, ai soci, ed escludendone, per caratteristiche e per finalità, la natura imprenditoriale. Di qui la conclusione sulla non deducibilità dei costi.

8.2 La C.t.r. ha fatto corretta applicazione della normativa di riferimento. 

Questa Corte, infatti, ha costantemente affermato la stretta correlazione che deve sussistere tra la deducibilità dei costi ed il principio dell’inerenza, quale espressione della necessità di riferire i primi all’esercizio dell’impresa. Il principio dell’inerenza dei costi deducibili si ricava, dunque, dalla nozione di reddito, esprimendo la necessità di riferire i costi sostenuti all’esercizio dell’attività imprenditoriale, escludendo quelli che si collocano in una sfera estranea ad essa. L’applicazione di tale principio consente di tracciare la linea di confine tra gli oneri inerenti e quelli non inerenti, rientrando nella prima categoria ogni onere sostenuto con riferimento all’attività di impresa, ovvero all’attività da cui derivano i ricavi ed i proventi che concorrono a formare l’imponibile, in virtù della necessità di riferire i costi sostenuti all’esercizio dell’impresa secondo un giudizio che prescinde da valutazioni di tipo utilitaristico (Cass. 05/11/2021, n. 31930)

9. Il terzo motivo è infondato. 

Secondo i ricorrenti la C.t.r. avrebbe omesso di pronunciarsi sulla eccezione di mancanza di motivazione dell’avviso di accertamento il qual, a propria volta, non spiegava i presupposti di fatto e di diritto sottesi all’accertamento.

9.1 La sentenza impugnata, contiene espressa risposta alla censura di omessa motivazione dell’atto impositivo, evidenziando che occorreva distinguere tra l’esistenza della motivazione e gli elementi posti a sostegno dell’atto impositivo e che la motivazione era stata correttamente individuata nella violazione dell’art. 109 d.P.R. n. 917 del 1986. La stessa, a propria volta, argomenta adeguatamente sulle ragioni che portavano a ritenere l’operazione non inerente all’impresa.

9.2 Questa Corte ha costantemente affermato che non ricorre il vizio di omessa pronuncia su punto decisivo qualora la soluzione negativa di una richiesta di parte sia implicita nella costruzione logico- giuridica della sentenza, incompatibile con la detta domanda, ovvero quando a decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte comporti necessariamente il rigetto di quest’ultima, anche se manchi una specifica argomentazione in proposito. (Cass. 02/04/2020, n. 7662).

Al giudice di merito non può imputarsi di avere omesso l’esplicita confutazione delle tesi non accolte, o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi, giacché né l’una né l’altra gli sono richieste; l’esigenza di adeguata motivazione è soddisfatta allorché il raggiunto convincimento, come nella specie, risulti da un ‘esame logico e coerente, non già di tutte le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, bensì solo di quelle ritenute di per sé sole idonee e sufficienti a giustificarlo. In altri termini, non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata dell’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla, ovvero la carenza di esse (Cass. 9/3/2011, n. 5583).

10. il ricorso va, dunque, complessivamente rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, a corrispondere all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.600,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, in solido, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.