Corte di Cassazione sentenza n. 3540 del 13 febbraio 2013
PREVIDENZA – CONTROVERSIE – RICORSO AMMINISTRATIVO – PRESTAZIONE PREVIDENZIALE DI INVALIDITA’ – PROVVEDIMENTO AMMINISTRATIVO RICOGNITIVO DEL DIRITTO FATTO VALERE DALL’ASSICURATO – MANCATO RICONOSCIMENTO DELLA PRESTAZIONE – CONSEGUENTE GIUDIZIO PROPOSTO DALL’INTERESSATO
massima
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Con riferimento alla disciplina dei ricorsi amministrativi nei confronti dei provvedimenti dell’Inps in materia di prestazioni, l’art. 46, comma 9, della L. 88/1989 – che fissa in 90 giorni il termine entro cui il comitato amministratore competente per materia deve decidere in via definitiva per l’esecuzione o l’annullamento della decisione adottata dal comitato provinciale in merito al ricorso dell’interessato, nell’ipotesi in cui il direttore della sede competente si sia avvalso della facoltà di sospendere l’esecuzione di detta decisione, per ipotizzata sua illegittimità – va interpretato nel senso che entro il termine di legge deve essere eseguita anche la comunicazione della decisione dell’avente diritto, con la conseguenza che, in difetto, trova applicazione la disposizione secondo cui, scaduto inutilmente il termine, la decisione sospesa diventa esecutiva (silenzio-assenso). Tuttavia la acquisita esecutività del provvedimento favorevole all’istante non comporta automaticamente il riconoscimento nella sede giurisdizionale di un corrispondente diritto a favore del medesimo, trovando applicazione l’art. 5 della L. n. 2248/1865, all. E, secondo cui gli atti amministrativi possono trovare applicazione nel giudizio solo in quanto conformi alle leggi.
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di Appello di Messina, con sentenza del 22.11-7.12.2007, accogliendo il gravame proposto dall’Inps e previa rinnovazione della CTU medico legale, rigettò le domande svolte da T.M. dirette al riconoscimento del diritto all’assegno di invalidità. A sostegno del decisum la Corte territoriale osservò che, sulla base delle risultanze della CTU esperita in sede di appello, tutte le patologie diagnosticate erano di modesta entità e non riducevano a meno di un terzo la capacità lavorativa dell’invalida; inoltre non erano state proposte deduzioni da parte dell’appellata, cosicché non vi erano elementi per valutare diversamente la situazione di fatto evidenziata nell’accertamento tecnico e per disattenderne le conclusioni.
Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, T.M. ha proposto ricorso per cassazione fondato su tre motivi.
L’intimato Inps ha resistito con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la ricorrente, denuncia violazione dell’art. 100 c.p.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., assumendo che avrebbe dovuto essere dichiarata la cessazione della materia del contendere per sopravvenuta carenza di interesse all’impugnazione, ovvero l’improcedibilità dell’impugnazione stessa, per avere l’Inps, dopo la proposizione dell’appello, dapprima riconosciuto nel settembre 2005 e poi ulteriormente confermato nel dicembre 2006 lo stato di invalidità di essa ricorrente, conformemente a quanto ritenuto dal primo Giudice.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia vizio di motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui, aderendo alle conclusioni del CTU, aveva riformato la pronuncia di prime cure; sostiene al riguardo la ricorrente che la CTU e la sentenza impugnata avevano omesso qualsivoglia valutazione in ordine a talune patologie (vertigini, cefalee, sindrome ansioso depressiva, deficit visivo) pur diagnosticate dall’ausiliario, che, se adeguatamente valutate nel concorso con le altre, avrebbero comportato il superamento della soglia minima di indennizzabilità; il mancato deposito di note difensive critiche dell’elaborato peritale era inoltre da ricollegarsi alla circostanza che l’Istituto aveva già riconosciuto in sede amministrativa uno stato di invalidità pensionabile.
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 1 legge n. 222/84, dolendosi che la sentenza impugnata, aderendo alle conclusioni del CTU, non abbia operato una valutazione globale delle patologie da cui essa ricorrente era affetta.
2. In ordine al primo motivo, deve rilevarsi che la giurisprudenza di questa Corte ha già avuto modo di precisare che gli atti degli enti previdenziali diretti all’accertamento dell’esistenza o inesistenza del diritto a prestazioni previdenziali o assistenziali non hanno natura di provvedimenti costitutivi o estintivi del diritto, ma di mera certazione dei presupposti di legge, onde, negata o revocata dall’ente la prestazione, l’azione dell’assicurato tendente ad ottenere la suddetta prestazione o il ripristino di essa non coinvolge la verifica della legittimità del provvedimento di diniego o di revoca, ma ha ad oggetto la fondatezza della pretesa dell’assicurato (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 5725/1999; 5784/2003).
Ne consegue che, nel giudizio promosso dall’interessato per ottenere dall’ente previdenziale una prestazione collegata allo stato di invalidità, il giudice deve sempre accertare l’esistenza dei requisiti necessari per l’erogazione della prestazione, anche nel caso in cui, in sede amministrativa, sia stato già emanato un provvedimento ricognitivo del diritto fatto valere dall’assicurato (cfr, Cass., n. 5744/2001); ed invero, vertendosi in tema di prestazioni sottratte alla disponibilità delle parti, nemmeno l’acquisita esecutività di un provvedimento amministrativo ricognitivo del diritto dell’assicurato comporta, nella sede giurisdizionale adita, l’automatico riconoscimento di un corrispondente diritto nei confronti del medesimo (cfr, Cass. n. 10729/1995).
Alla stregua di tali principi deve dunque convenirsi che l’avvenuto riconoscimento della prestazione in sede amministrativa, successivo alla proposizione dell’impugnazione da parte dell’lnps avverso una sentenza favorevole all’istante, non fa venir meno l’interesse dell’Istituto ad ottenere, in sede giurisdizionale, l’accertamento dell’insussistenza dei presupposti di legge richiesti per la concessione del beneficio.
Tanto meno, avendo mantenuto l’Istituto la propria posizione processuale formalizzata con la proposizione del gravame, avrebbero potuto ravvisarsi le condizioni per la declaratoria di cessazione della materia del contendere, ciò presupponendo che risulti ritualmente acquisita o concordemente ammessa una situazione dalla quale emerga che è venuta meno ogni ragione di contrasto tra le parti (cfr, ex plurimis, Cass., n. 271/2006). Il motivo all’esame non può dunque essere accolto.
3. Il secondo e il terzo motivo, tra loro connessi, vanno esaminati congiuntamente.
Stante la già evidenziata sostanziale irrilevanza, ai fini del decidere, del riconoscimento della prestazione in sede amministrativa, deve ritenersi che tale circostanza non esimeva l’odierna ricorrente dallo svolgere, ove ne avesse ritenuto la carenza, specifiche critiche alle risultanze peritali.
Ciò non essendo avvenuto, trova applicazione il principio, reiteratamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui il giudice del merito non è tenuto a giustificare diffusamente le ragioni della propria adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, ove manchino contrarie argomentazioni delle parti o esse non siano specifiche, potendo, in tal caso, limitarsi a riconoscere quelle conclusioni come giustificate dalle indagini svolte dall’esperto e dalle spiegazioni contenute nella relativa relazione (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 3492/2002; 10668/2005; 26694/2006; 18688/2007).
Con la conseguenza che, laddove la sentenza abbia recepito le conclusioni e i passi salienti di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui dichiari di condividere il merito, per infirmare, sotto il profilo dell’insufficienza argomentativa, tale motivazione è necessario che la parte alleghi le critiche mosse alla consulenza tecnica d’ufficio già dinanzi al giudice a quo, la loro rilevanza ai fini della decisione e l’omesso esame delle stesse in sede di decisione, nel mentre, al contrario, una mera disamina, corredata da notazioni critiche, dei vari passaggi dell’elaborato peritale richiamato in sentenza, si risolve nella prospettazione di un sindacato di merito, inammissibile in sede di legittimità (cfr, ex plurimis, Cass., n. 10222/2009). Nel caso di specie, per completezza di motivazione, deve peraltro osservarsi che la sentenza impugnata, pur soffermandosi maggiormente su talune delle malattie riscontrate, ha espressamente evidenziato – seguendo la CTU e secondo quanto già esposto nello storico di lite – che le patologie diagnosticate erano “tutte di modesta entità” e non riducevano a meno di un terzo la capacità lavorativa della periziata, con ciò dimostrando di avere tenuto in debita considerazione, proprio in una valutazione globale del quadro patologico, il complesso delle infermità accertate nell’elaborato tecnico.
Anche i motivi all’esame non possono quindi essere accolti.
4. In definitiva il ricorso va dunque rigettato.
Non è luogo a provvedere sulle spese, non essendo applicabile ratione temporis (il ricorso di primo grado risalendo al 2001) il nuovo testo dell’art. 152 disp. att. c.p.c., contenuto nell’art. 42, comma 11, D.L. n. 269/03, convertito in legge n. 326/03.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; nulla per le spese.
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