La Corte di Cassazione, sezione civile, con la sentenza n. 28667 depositata il 27 dicembre 2013 intervenendo in tema di procedure concorsuali ha statuito che nella nozione “ricavi lordi”, indicata dall’art. 1, secondo comma, lett. b), legge fall., quale limite alla fallibilità dell’imprenditore, i quali non devono superare l’importo di euro duecentomila annui nei tre esercizi precedenti al deposito dell’istanza di fallimento, vanno ricomprese le voci di cui all’art. 2425, lettera A, nn. 1 e 5 cod. civ., mentre devono esserne escluse le voci di cui ai nn. da 2 a 4, ed in particolare le variazioni delle rimanenze.
La vicenda ha riguardato una società di persona dichiarata fallita con sentenza del Tribunale che veniva impugnata da uno dei soci con ricorso alla Corte di Appello. I giudici territoriali hanno rilevato in merito al requisito di non fallibilità sub art. 1, lett.b) l.f., premesso che il bilancio al 28/3/2008 non recava alcuna indicazione alla voce “ricavi” e che era stato prodotto in parte il libro inventari, ha ritenuto dì dovere considerare per l’anno 2008 non già quanto indicato come ricavi dalle vendite di merci (euro 101. 959,97), ma l’ambito della macroarea di cui all’art. 2425 lett.a) c.c., relativa al valore della produzione, che comprende oltre ai ricavi per vendite e prestazioni, anche le variazioni delle rimanenze, da cui in concreto il superamento del limite di legge e la superfluità di ogni ulteriore valutazione.
Per la cassazione della decisione del giudice di seconde cure il socio, per il tramite del suo difensore, proponeva ricorso, basato su un unico motivo di censura, alla Corte Suprema.
Gli Ermellini accolgono il ricorso del socio e cassano la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello presso altra sezione. I giudici di legittimità non hanno condiviso la motivazione della Corte distrettuale.
I giudici della Corte Suprema hanno ritenuto che nel riferirsi ai “ricavi” non può che avere considerato gli stessi in senso tecnico,non potendosi ragionevolmente presumersi il contrario, deve ritenersi di piana evidenza il riferimento ai “ricavi delle vendite e delle prestazioni” sub n.1, ed altresì la ricomprensione della voce sub n.5, “altri ricavi e proventi”, per l’assimilazione della seconda voce alla prima, trattandosi di componenti positive, quali ricavi accessori, dividendi, royalties, canoni attivi, sempre generati dall’attività d’ impresa. Ed ancora si legge nelle motivazioni che Non possono invece sommarsi le voci sub n.2, “variazioni delle rimanenze di prodotti in corso di lavorazione, semilavorati e finiti”, e sub n.3, “variazioni dei lavori in corso su ordinazione”, che non possono essere considerate ricavi, nemmeno concettualmente assimilabili alla più ampia nozione di “proventi”, ma, come rilevato da attenta dottrina, rappresentano invece costi comuni a più esercizi, che vengono sospesi in conformità al principio di competenza economica, ex art. 2423 bis c.c., per essere rinviati ai successivi esercizi, in cui si conseguiranno i correlativi ricavi; e la variazione delle rimanenze determina la differenza dei costi sospesi alla fine dei due esercizi consecutivi.
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