CORTE di CASSAZIONE sentenza n. 10224 depositata il 18 maggio 2016
SUCCESSIONE – VALUTAZIONE DEGLI IMMOBILI PROVENIENTE DALL’UTE
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
S.A. ed An. propongono tre motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 23/02/2010 del 23 marzo 2010 con la quale la commissione tributaria regionale di Roma, a conferma della prima decisione, ha ritenuto legittimo l’avviso di rettifica e liquidazione loro notificato dall’agenzia delle entrate di Civitavecchia con riguardo alla dichiarazione di successione di S.L. (deceduta il (OMISSIS)). La commissione tributaria regionale, in particolare, ha ritenuto l’effettiva apprensione alla massa ereditaria di due terreni acquistati dal marito della de cujus con riservato dominio; nonchè la presuntiva correttezza della valutazione degli altri immobili, in quanto proveniente dall’UTE. Resiste l’agenzia delle entrate con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso si deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5 – omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa l’attribuzione al patrimonio della de cujus di due terreni in (OMISSIS); nonchè violazione o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e artt. 1523 e 922 cod. civ. Tali terreni, ancorchè erroneamente indicati nella dichiarazione di successione, non facevano parte dell’asse ereditario, in quanto acquistati il 3 febbraio 1976 dal marito della de cujus, N.E.M., con patto di riservato dominio e riscatto in proprietà dopo il pagamento di 30 annualità (doc. 2 del fascicolo di primo grado); riscatto poi non effettuato, stante l’avvenuto decesso del N. (4 gennaio 1988) prima del decorso del trentennio. Nè rilevava che i beni in questione risultassero in catasto attribuiti alla de cujus, avendo le risultanze catastali funzione meramente indicativa e non costitutiva della proprietà.
Il motivo è fondato.
Sul punto, la CTR ha ritenuto l’inclusione dei beni in oggetto nell’asse ereditario con la seguente motivazione: “invero, la de cujus era subentrata, alla morte del marito, nel rapporto di assegnazione dei terreni di cui ai punti 1 e 2 e quindi giustamente andavano denunciati in successione”.
Si tratta di una affermazione del tutto apodittica ed integrante una motivazione meramente apparente, perchè slegata dalla concretezza della fattispecie e dalla disamina delle specifiche risultanze probatorie sul punto.
L’onere motivazionale doveva, nella specie, essere tanto più rigoroso in considerazione del fatto che, in linea di principio, nè l’indicazione dei due beni nella dichiarazione di successione (suscettibile di essere emendata anche in pendenza di giudizio, sebbene con onere della prova a carico del contribuente: Cass.SSUU 14088/04; Cass. nn. 10494/03; 11192/13; 2229/15 ed altre), nè le risultanze catastali (non costitutive del diritto di proprietà, ma nemmeno facenti piena prova del medesimo: v. Cass. 5257/11 ed altre, nonchè Cass. 14420/10 la quale, pur affermando che l’ente impositore possa provare presuntivamente la proprietà del bene mediante le annotazioni catastali, ammette tuttavia il contribuente a superare, mediante prova contraria, la presunzione così formatasi) erano di per sè tali da comprovare nella specie l’effettiva acquisizione dei cespiti al patrimonio della de cujus (e, prima di questo, a quello del marito e dante causa N.).
Sicchè si imponeva l’accertamento della prova circa l’avvenuto riscatto dei beni (da parte del N. o della stessa de cujus) in epoca antecedente al decorso del trentennio di cui al riservato dominio. Tale accertamento è completamente mancato, nè la corte territoriale ha in alcun modo esplicitato da che cosa abbia tratto il proprio convincimento circa il fatto che la de cujus fosse “subentrata, alla morte del marito, nel rapporto di assegnazione dei terreni”. Nemmeno viene esplicitato a che titolo i cespiti in oggetto – quand’anche ricompresi nell’asse ereditario in forza del solo rapporto di assegnazione ancora in corso, e dunque indipendentemente dalla loro avvenuta acquisizione in proprietà da parte della S.L. – dovessero trovare considerazione e criterio di stima.
La stessa amministrazione finanziaria, nel replicare alla presente censura, si è sentita in dovere di riferire la prova dell’acquisto in proprietà al riscontro di passaggi traslativi e, in particolare, alla “visura telematica dell’agenzia del territorio all’attualità”, asseritamente attestante la voltura dei beni in capo alla S. L. dal 10 aprile 95; con ciò rimarcando ulteriormente la necessità di un accertamento di fatto (con onere probatorio a carico dei contribuenti) che, da un lato, è totalmente mancato nel giudizio di merito e che, dall’altro, risulta incompatibile con la natura del presente giudizio di legittimità.
2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in ordine ai criteri adottati per la valutazione degli Immobili: – n. 3 dell’avviso di rettifica (terreno in (OMISSIS)); – da n. (OMISSIS) (garages e posti auto); nonchè violazione o falsa applicazione degli artt. 115 c.p.c. e D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 34.
Ciò per avere la commissione tributaria regionale apoditticamente fondato il proprio convincimento di congruità del valore sostenuto dall’ufficio, in quanto basato sulla stima UTE; nonostante che: – (per l’immobile n. (OMISSIS)) la stima UTE facesse riferimento ad un diverso terreno senza indicazione dei caratteri di analogia con quello caduto in successione; e, inoltre, il valore attribuito dall’ufficio non trovasse alcuna giustificazione nel certificato di destinazione urbanistica del terreno (zona N2 – verde privato); – (per gli immobili da (OMISSIS)) il criterio della rendita catastale adottato dall’ufficio non desse conto del minor valore accertato dal CTU designato dal tribunale di Civitavecchia nel 2000, epoca coeva all’apertura della successione in oggetto, nel giudizio di divisione dell’eredità del N..
Sul punto, la CTR ha ritenuto non eccessiva la valutazione dell’ufficio, in quanto la stima redatta dall’UTE “essendo stata fatta da un ente pubblico, è sorretta da giusta presunzione”.
Tale passaggio motivazionale non può condividersi.
Va infatti considerato che dinanzi al giudice tributario l’amministrazione finanziaria si pone sullo stesso piano del contribuente, sicchè la relazione di stima di un immobile – redatta dall’Ufficio tecnico erariale o da altro organismo interno all’amministrazione stessa, e da quest’ultima prodotta in giudizio – costituisce una relazione tecnica di parte e non una perizia d’ufficio, nè altra risultanza dotata di efficacia probatoria preminente e privilegiata; ad essa, pertanto, deve essere attribuito il valore di atto pubblico soltanto per quel che concerne la sua provenienza, non anche per quel che riguarda il suo contenuto estimativo.
E’ vero che questa circostanza di certo non comporta che tale relazione di stima sia del tutto priva di idoneità probatoria – anche considerando l’ampia ammissibilità nel processo tributario delle prove cc.dd. atipiche – ben potendo essa costituire fonte di convincimento del giudice, che può elevarla a fondamento, anche esclusivo, della sua decisione; e tuttavia, occorre che il giudice spieghi le ragioni per le quali ritenga tale relazione (di parte) corretta e convincente: sia in sè, sia in rapporto a tutte le altre risultanze istruttorie comunque acquisite al giudizio (Cass nn 14418/14; 8890/07 ed altre).
Nel caso di specie, è mancata qualsivoglia motivazione atta a sostenere – alla luce di un ben più articolato quadro istruttorio – la prevalenza della relazione tecnica dell’amministrazione finanziaria sugli altri elementi istruttori dedotti in causa (tra quali la ctu resa nel giudizio di divisione in epoca sostanzialmente coeva con l’apertura della successione in oggetto). E’ dunque evidente che la commissione tributaria regionale si sia risolta ad acriticamente recepire la stima UTE proprio e soltanto in ragione del fatto che essa proveniva, appunto, dall’amministrazione finanziaria, così da concretare (come erroneamente indicato) una sorta di presunzione di legittimità estimativa.
Tutto ciò si è risolto anche nella violazione dei criteri legali di determinazione del valore ai fini dell’imposta di successione, non essendo stato operato alcun controllo circa l’osservanza di quanto stabilito dal D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 34, comma 3, in relazione ai beni immobili ed ai diritti reali immobiliari. Nè, per le indicate ragioni, tale controllo potrebbe essere reso nella presente sede di legittimità.
3. Con il terzo motivo di ricorso gli S. lamentano omessa motivazione circa l’erroneità della cartella di pagamentò loro notificata dall’ufficio nel maggio 2009 per il pagamento dell’intero importo della maggiore imposta contenuta nell’accertamento impugnato, senza tener conto dell’avvenuto versamento di un terzo di tale somma a seguito della sentenza di primo grado.
Si tratta di motivo per più versi inammissibile.
In primo luogo, esso deduce un vizio di omessa motivazione nonostante – secondo la ricostruzione operata dagli stessi ricorrenti – non di ciò si tratti ma, se mai, di omessa pronuncia; con conseguente rilevanza del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – e non n. 5 -.
Al di là dell’impropria individuazione del vizio censurato, è comunque dirimente osservare come la cartella di pagamento in questione dovesse essere separatamente impugnata quale autonomo atto impositivo e di riscossione frazionata.
Essa è stata infatti emessa (maggio 2009) in corso di causa e, segnatamente, dopo la sentenza di primo grado (CTP Roma n. 79/58/2008); di tal chè non venne pacificamente fatta oggetto dell’impugnativa introduttiva del presente giudizio, concernente il solo avviso di rettifica e liquidazione.
Ne discende che la mancata pronuncia da parte della commissione tributaria regionale deve ritenersi derivante proprio dalla mancanza di rituale impugnativa della cartella in oggetto; sicchè tale mancata pronuncia ha in realtà riguardato una domanda del tutto inammissibile, perchè proposta in appello, e contro un atto diverso da quello sul quale si incentrava il giudizio pendente.
Ne segue, in definitiva, l’accoglimento del 1^ e del 2^ motivo di ricorso; inammissibile il 3^. La sentenza impugnata viene quindi cassata nei limiti dei motivi accolti; con rinvio, anche per le spese, ad altra sezione della commissione tributaria regionale di Roma che procederà, sulla base dei principi indicati, ad una nuova e motivata valutazione.
P.Q.M.
LA CORTE accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso, inammissibile il terzo;
cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della commissione tributaria regionale di Roma.
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