COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE per la Sicilia sez. 8 sentenza n. 2347 del 21 giugno 2017
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto depositato 1’8 marzo 2012 Caldara Isidoro, nella qualità di legale rappresentante della società CSC di Caldara s.r.1., ricorreva avverso l’avviso di accertamento n. TY303B500455 relativo alle imposte IRES e IRAP per l’anno 2007, con il quale l’Agenzia delle Entrate aveva rettificato i ricavi dichiarati ed accertato un maggior reddito, deducendo l’erronea valutazione delle rimanenze di magazzino e l’erronea e falsa applicazione dell’art. 53 comma 1 e 4 D.P.R. n. 633/72 e degli art. 3 e 4 del D.P.R. n. 441/97.
L’Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale di Palermo si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto del ricorso.
Con sentenza del 20 giugno 2012 n. 301/5/12 la Commissione Tributaria Provinciale di Palermo accoglieva il ricorso ed annullava l’atto impugnato, rilevando che il criterio adottato per determinare il valore delle rimanenze di magazzino è illegittimo ed in contrasto con l’art. 2426 c.c. secondo cui le rimanenze sono iscritte al costo di acquisto o di produzione, mentre la determinazione del costo partendo dal prezzo di vendita aveva determinato una plus valutazione della merce.
L’Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale di Palermo proponeva appello avverso la detta sentenza deducendo che il metodo accertativo induttivo utilizzato dall’Ufficio è legittimo poiché il ricorrente, durante il controllo del magazzino, non aveva esibito le distinte occorrenti per la valutazione delle giacenze finali di ogni anno e ciò consentiva, appunto, il ricorso alla ricostruzione induttiva nella specie operata con la quantificazione dei beni nella valutazione a costo unitario giacché era stata riscontrata una significativa differenza fra le giacenze fisiche e quelle contabili.
In particolare, partendo dal valore delle merci inventariate all’atto dell’accesso, si era proceduto alla quantificazione delle vendite effettuate risalendo quindi al valore dei costi il cui importo, raffrontato con quello delle giacenze fisiche, aveva evidenziato la differenza di magazzino indicata.
Caldara Isidoro, nella qualità sopra indicata, si costituiva in giudizio depositando controdeduzioni con le quali, innanzitutto, rilevava che gli analoghi avvisi di accertamento per gli anni 2005 e 2007 erano stati già impugnati ed annullati e che l’Ufficio finanziario, in realtà, aveva utilizzato per ricostruire il reddito, non già un metodo induttivo, ma un metodo analitico
non aveva effettuato alcun riscontro tra il prezzo di vendita indicato nei capi di abbigliamento con le fatture di acquisto.
Inoltre, l’appellato rilevava che, in ogni caso, poiché era stata rinvenuta in magazzino merce in esubero rispetto a quella dichiarata, l’Ufficio finanziario avrebbe dovuto applicare la presunzione di acquisto in evasione di imposta, con conseguente accertamento della sola maggiore IVA, e non già la presunzione di vendita in evasione di imposta.
All’udienza del 17 maggio 2017 la causa è stata posta in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il gravame proposto dalla Agenzia delle Entrate è fondato.
Ed invero, non è contestato che in occasione della verifica effettuata presso il magazzino la parte non è stata in grado di esibire ai verbalizzanti le distinte occorrenti per la valutazione delle giacenze finali di ogni anno.
Del tutto legittimo, pertanto, deve ritenersi il ricorso all’accertamento con il metodo analitico-induttivo (cioè con un metodo che muovendo, comunque, dalle risultanze della contabilità, opera, poi, una ricostruzione induttiva di singoli elementi, attivi o passivi, di cui risulti provata aliunde l’inesattezza o la mancanza).
Verificata, quindi, la legittimità del ricorso all’accertamento induttivo, l’Ufficio finanziario ha, nella sua autonomia decisionale, individuato un criterio di determinazione del valore della merce che è stato esplicitato attraverso adeguato ragionamento e che a questa Commissione appare rispondente a canoni di coerenza logica e di congruità, laddove si è fatto ricorso al criterio del ricarico medio.
La percentuale di ricarico medio determinata, infatti, appare coerente con la natura e con le caratteristiche dei beni venduti (capi di abbigliamento).
A fronte di tale ricostruzione analitico-induttiva e, soprattutto, della percentuale di ricarico medio applicata dall’Ufficio, l’odierno appellante oppone soltanto labialmente che non si è tenuto conto di sconti alla clientela e di vendite di fine stagione di cui, tuttavia, non ha fornito, avendone l’onere, alcuna prova idonea a contrastare il valore (si ripete, medio) di ricarica applicato dall’Ufficio finanziario.
Il gravame proposto dalla Agenzia delle Entrate deve essere, pertanto, accolto, essendo, altresì, infondata anche la subordinata difesa dell’appellato secondo cui, essendo stata rinvenuta in magazzino merce in esubero rispetto a quella dichiarata, l’Ufficio finanziario avrebbe dovuto a lithi–e” la presunzione di acquisto in evasione di imposta, con conseguente4904 én«) della sola maggiore IVA, e non già la presunzione di vendita in evasione di imposta: in realtà, nel caso in esame, ricorre la diversa ipotesi della determinazione del valore delle giacenze di magazzino.
Avuto riguardo ai contrastanti esiti degli analoghi giudizi di cui alle sentenze prodotte dall’appellato, sussistono giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese processuali anche del presente grado del giudizio.
P.Q.M.
la Commissione Tributaria Regionale di Palermo, Sez. 8, disattesa ogni contraria istanza ed eccezione, in parziale accoglimento dell’appello proposto dalla Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale di Palermo nei confronti di xxxx, nella qualità di legale rappresentante della società xxx s.r.l. avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Palermo n. 301/5/12 resa il 20 giugno 2012, rigetta il ricorso avverso l’avviso di accertamento n. TY303B500455 proposto da xxx e dichiara interamente compensate tra le parti le spese processuali di entrambi i gradi del giudizio.
Cosi deciso nella Camera di Consiglio il 17 maggio 2017
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