Corte di Cassazione sentenza 22 dicembre 2016, n. 26778
Tutti i fornitori di servizi postali all’attualità possono certamente eseguire “invii postali”, cioè curare la trasmissione della corrispondenza – fatta eccezione per gli atti giudiziari -, ma l’eventuale timbro datario apposto sul plico consegnato dal mittente non può valere a rendere certa la data di ricezione, trattandosi qui di una attività d’impresa resa da un soggetto privato, il cui personale dipendente non risulta munito di poteri pubblicistici di certificazione della data di ricezione della corrispondenza trattata.
Nella vicenda all’esame secondo la Corte correttamente il Tribunale ha ritenuto che il timbro datario apposto su talune lettere da una società privata, che aveva curato l’inoltro della corrispondenza fra il ricorrente ed un terzo, fosse inidoneo a dimostrare, ai sensi del primo comma dell’art. 2704 c.c., la certezza della data di formazioni di tali atti nei confronti del curatore fallimentare, non trattandosi di un fatto equipollente a quelli richiamati in via esemplificativa dalla cennata norma, cioè di una circostanza oggettiva, esterna alle parti, idonea a stabilire “in modo egualmente certo” quando fosse stato formato il documento.
Svolgimento del processo
Assicurazioni Generali s.p.a. impugna il decreto del Tribunale di Catania depositato il giorno 8 aprile 2009, che respinse la sua opposizione allo stato passivo del fallimento della Trasporti Malatino s.r.l., dal quale era stato escluso un suo credito di circa 100 mila euro, vantato in ragione di una polizza fideiussoria sottoscritta dalla società poi fallita.
Secondo il tribunale tutta la documentazione prodotta dall’opponente era priva di data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento, non soccorrendo come prova il timbro apposto dal gestore di un servizio di posta privata su alcune lettere scambiate tra il terzo garantito e la società assicuratrice.
Il ricorso è affidato ad un unico motivo.
Motivi della decisione
1. – Con l’unico motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 2704 c.c. e del d.lgs. 22.7.1999, n. 261, avendo il tribunale erroneamente ritenuto che il timbro apposto dal gestore di un servizio di posta privata non fosse idoneo a conferire data certa alle missive sulle quali risultava apposto.
2. – Il motivo è infondato.
Trova applicazione nella vicenda in esame il primo comma dell’art. 2704 c.c., che consente nei confronti dei terzi la prova della data della scrittura privata – che non sia stata autenticata, né registrata, né riprodotta in atti pubblici – dal giorno in cui si sia verificata la morte o la sopravvenuta impossibilità fisica di chi l’ha sottoscritta, ovvero un fatto che stabilisca “in modo egualmente certo” l’anteriorità della formazione del documento.
Ora, secondo il risalente orientamento di questa Corte, formatosi quando il servizio postale era espletato in via esclusiva dallo Stato tramite sue aziende (artt. 1 e 3 d.p.r. 29.3.1973, n. 156-Codice Postale) e le persone addette ai servizi postali erano considerate pubblici ufficiali ovvero incaricati di pubblico servizio, secondo le funzioni loro affidate (art. 12 Codice postale), se la scrittura privata non autenticata forma un unico corpo con il foglio sul quale è stato impresso un timbro postale, la data risultante da quest’ultimo deve ritenersi come data certa della scrittura, perché la timbratura eseguita in un pubblico ufficio deve considerarsi equivalente ad un’attestazione autentica che il documento è stato inviato nel medesimo giorno in cui essa è stata eseguita (Cass. 1 ottobre 1999, n. 10873; Cass. 23 aprile 2003, n. 6472; Cass. 14 giugno 2007, n. 13912; Cass. 28 maggio 2012, n. 8438).
Com’è noto, peraltro, oggi il d.lgs. 22 luglio 1999, n. 261, emanato in attuazione della direttiva 97/67/CE che ha liberalizzato i servizi postali, da un lato, consente alle imprese private che abbiano ottenuto apposita licenza dall’Amministrazione (art. 5, comma 1, d.lgs. cit.), di svolgere l’attività di “fornitore di un servizio postale” e, dall’altro, ha previsto che per esigenze di ordine pubblico siano affidati in via esclusiva al “fornitore del servizio universale”, id est all’organismo che fornisce l’intero servizio postale su tutto il territorio nazionale – oggi Poste Italiane s.p.a. – soltanto i servizi inerenti le notificazioni o le comunicazioni di atti a mezzo posta, connesse con la notificazione di atti giudiziari di cui alla legge 20 novembre 1982, n. 890, e successive modificazioni (art. 4, lett. a), d.lgs. cit.).
Ne consegue che tutti i fornitori di servizi postali all’attualità possono certamente eseguire “invii postali”, cioè curare la trasmissione della corrispondenza – fatta eccezione per gli atti giudiziari -, ma l’eventuale timbro datario apposto sul plico consegnato dal mittente non può valere a rendere certa la data di ricezione, trattandosi qui di una attività d’impresa resa da un soggetto privato, il cui personale dipendente non risulta munito di poteri pubblicistici di certificazione della data di ricezione della corrispondenza trattata.
Nella vicenda all’esame di questa Corte, allora, correttamente il Tribunale etneo ha ritenuto che il timbro datario apposto su talune lettere da una società privata, che aveva curato l’inoltro della corrispondenza fra l’odierno ricorrente e un terzo, fosse inidoneo a dimostrare, ai sensi del primo comma dell’art. 2704 c.c., la certezza della data di formazioni di tali atti nei confronti del curatore fallimentare, non trattandosi di un fatto equipollente a quelli richiamati in via esemplificativa dalla cennata norma, cioè di una circostanza oggettiva, esterna alle parti, idonea a stabilire “in modo egualmente certo” quando fosse stato formato il documento.
3.- Nulla sulle spese.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso.
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