Commissione Tributaria Regionale del Lazio sezione 3 sentenza n. 1621 depositata il 13 marzo 2018
ASSOCIAZIONE PROFESSIONALE – COSTI – LOCAZIONE IMMOBILE – SERVIZI – DEDUZIONE SPESE – NON SUSSISTE
FATTO
La presente controversia ha come oggetto avvisi di accertamento emessi nei confronti dell’Associazione professionale L., nonché nei confronti dei sig.ri L.F. (associato per il 40%), S.E. (40%) e G.P.M. (20%).
La L. e Associati, a seguito dell’invito dell’Ufficio provvedeva a fornire la documentazione relativa ai costi dedotti per l’anno d’imposta 2008, e indicati al rigo RE 19 del Mod. Unico SP/2009 per l’importo di € 167.945,73, con particolare riferimento alle 20 fatture emesse dalla R. S.r.l. per € 146.666,73 e presentavano, a detta dell’Ufficio, descrizione del tutto generica.
L’associazione forniva nel contraddittorio del 17 aprile 2013 i chiarimenti richiesti in merito ai rapporti intercorrenti con la R. S.r.l. e depositava la scrittura privata stipulata tra le parti il 22 gennaio 2007, ma non registrata, relativa alla concessione, per lo svolgimento dell’attività professionale degli associati, dell’immobile sito a Roma in Via (omissis) insieme a tutta una serie di servizi accessori.
A seguito di un controllo incrociato sulla R. Srl, l’Ufficio accertava non solo che questa aveva sostenuto costi per un importo complessivo di € 92.048,04 (di cui € 45.339,79 per la locazione dell’immobile in via (omissis) ma anche che l’immobile in questione e i servizi erano stati concessi oltre alla L. e Associati anche ad altri soggetti.
L’Ufficio, imputando a questi ultimi una percentuale dei costi di circa il 15%, provvedeva a recuperare la parte dei costi dedotti dall’associazione, ma in realtà non ribaltati dalla R. s.r.l., in quanto da questa non sostenuti, notificando per l’anno di imposta 2008.
Ed emetteva avviso di accertamento ai fini Irap e Iva nei confronti dell’Associazione e avvisi di accertamento ai fini Irpef nei confronti degli associati.
Tra le parti era intervenuto anche un tentativo di reclamo/mediazione, ma senza esito positivo.
La Commissione tributaria provinciale di Roma, con sentenza n. 2084/41/16, riuniti i ricorsi, rigettava il ricorso condannando in solido i ricorrenti al pagamento delle spese di lite liquidate in € 3.500,00.
Avverso detta sentenza propongono appello i contribuenti per chiederne la riforma, sostenendo di aver fornito concrete prove sull’esistenza e l’inerenza dei costi dedotti.
Si costituisce in giudizio l’Agenzia delle entrate DP I di Roma, per chiedere, con le proprie controdeduzioni, il rigetto del gravame.
La causa viene trattata in pubblica udienza, essendo stata presentata regolare istanza in tal senso.
All’udienza odierna sono presenti il difensore del contribuente e il rappresentante dell’Ufficio.
DIRITTO
Questa Commissione ritiene che l’appello dei contribuenti sia infondato vada, pertanto, respinto.
La sentenza pronunciata dai primi giudici appare adeguatamente motivata, del tutto aderente alle risultanze processuali e in linea con la normativa che regola la materia, di guisa che non merita alcuna critica e/o censura.
La Commissione tributaria provinciale, infatti, dà perfettamente conto dell’iter logico che ha determinato l’accoglimento dei ricorsi introduttivi, formando un’enucleazione esaustiva degli assunti di entrambe le parti in causa, spiegando, poi, esattamente i motivi che hanno determinato il rigetto della tesi dei contribuenti.
Tanto premesso, il Collegio è dell’avviso che l’Ufficio abbia legittimamente recuperato, in quanto indebitamente dedotti nell’anno 2009, i costi sostenuti nell’anno 2008, per spese sostenute e fatturate in modo assolutamente generico dalla società R. S.r.l., e non documentate, comprendenti costi non inerenti l’attività esercitata o non fiscalmente documentati.
Con riguardo ai costi ritenuti non inerenti all’attività, va precisato che, secondo i principi generali in tema di onere della prova, la documentazione delle spese ne dimostra solo l’esistenza, non necessariamente l’inerenza, che è requisito ulteriore perché diventi un costo deducibile.
Spetta, comunque, al contribuente dimostrare che il costo sostenuto è relativo all’attività svolta.
È pur vero che, in sede di contraddittorio, l’associazione professionale L. e Associati ha fornito le spiegazioni di tali costi, con il richiamo della scrittura privata del 22/01/2007 (non registrata) con la società R. S.r.l., riguardante la concessione in locazione di un immobile sito a Roma in via (omissis) insieme a tutti i servizi accessori utili per l’esercizio dell’attività professionale, ma l’Ufficio ha potuto evidenziare, da un incrocio dati sulla R. S.r.l., che i costi dalla stessa sostenuti, e che poi venivano ribaltati all’associazione, erano di € 92.048,04 e quindi per un importo di gran lunga inferiore a quello da quest’ultima dedotto per € 146.666,73.
A ciò si aggiunga anche il fatto che l’immobile e i servizi della R. S.r.l. erano stati concessi in locazione, oltre alla L., anche a un commercialista con i suoi collaboratori e a un avvocato.
In sostanza i costi dedotti dall’associazione professionale erano di fatto relativi a prestazioni di servizi inesistenti in quanto riguardanti costi ribaltati dalla R. S.r.l. ma dalla stessa mai sostenuti. L’Associazione Professionale si è dedotta, quali costi, beni e prestazioni ricevute dalla R. S.r.l. che in realtà quest’ultima non ha mai sostenuto.
A tutto questo si aggiunga che le 20 fatture della R. S.r.l. contengono una descrizione delle prestazioni rese del tutto generica.
Per quanto detto, risulta assolutamente legittimo l’operato dell’Ufficio che, a fronte della mancata prova da parte del contribuente dell’esistenza e dell’inerenza dei costi dedotti, indicati in modo molto generico in fattura, ha provveduto a recuperali a tassazione.
In conclusione l’appello dei contribuenti deve essere respinto, in quanto i motivi addotti non riescono a confutare la pretesa erariale, essendo privi sia dal punto di vista giuridico che probatorio di quelle ragioni e di quei requisiti in grado di dimostrare che le imposte recuperate non sono conformi alla normativa vigente.
Infine, in ordine all’istanza cautelare di sospensione dell’esecuzione deve osservarsi che parte appellante non ha fornito alcun valido elemento di prova in ordine alla sussistenza dei presupposti di legge al fine di un’eventuale sospensione, quantomeno sotto il profilo del periculum in mora, con la conseguenza che detta istanza deve essere rigettata.
E, infatti, il mero disagio economico (asserito) o le difficoltà finanziarie per pagare una somma di denaro, non sono sufficiente a integrare il danno grave e irreparabile richiesto dalla norma per sospendere l’esecuzione.
Non si rinviene, nella fattispecie, quel requisito della gravità e della irreparabilità del danno, necessario per la concessione del provvedimento di sospensione.
In particolare, il requisito della gravità del danno va valutato in termini oggettivi e ricorre quando vi sia una notevole sproporzione tra il vantaggio ed il pregiudizio che derivano dalla esecuzione della sentenza.
Il concetto di irreparabilità va invece inteso come l’irreversibilità del pregiudizio che si produce nella sfera giuridica dell’istante e, dunque, un pregiudizio insuscettibile di reintegrazione per equivalente.
Le spese di lite, in applicazione del principio della soccombenza, vanno poste a carico degli appellanti e vanno liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Commissione tributaria regionale del Lazio – Sezione terza, definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe, così dispone:
“Respinge l’appello dei contribuenti. Condanna i contribuenti al pagamento in solido delle spese legali in favore dell’Ufficio, liquidate in euro 2.000,00 (duemila/00), oltre oneri dovuti”.
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