CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 21 giugno 2018, n. 16443
Licenziamento disciplinare – Procedura di amministrazione straordinaria – Insolvenza – Tutela reintegratoria e risarcitoria
Fatto
Con sentenza in data 15 luglio 2016, la Corte d’appello di Bari, sez,. dist. di Taranto dichiarava l’improseguibilità delle domande proposte da C.A. di impugnazione del licenziamento disciplinare intimatogli in data 8 ottobre 2014 e di conseguenti condanne reintegratoria e risarcitoria nei confronti di U. s.p.a., per effetto della dichiarazione del suo stato d’insolvenza, con sentenza 30 gennaio 2015 del Tribunale di Milano, a seguito dell’ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria con decreto del Ministero dello Sviluppo Economico del 21 gennaio 2015, ai sensi dell’art. 2 d.l. 347/2003 conv. con mod. in I. 39/2004.
Essa riteneva che per tale ragione sussistesse “in via esclusiva e senza deroga alcuna la competenza della predetta Autorità Giudiziaria all’accertamento di qualsiasi pretesa avente contenuto patrimoniale vantata nei confronti dell’I. s.p.a.: … indubitabile essendo la funzione meramente propedeutica e strumentale dell’accertamento di illegittimità del licenziamento dell’A. alla domanda di pagamento delle indennità e dei danni reclamati”.
Avverso la sentenza, con atto notificato il 9 gennaio 2017, il lavoratore ricorreva per cassazione con due motivi, cui la procedura resisteva con controricorso; entrambe le parti comunicavano memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 112 c.p.c. e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, per violazione del principio di corrispondenza del chiesto al pronunciato, per essere il petitum della domanda, diversamente da quanto erroneamente ritenuto dalla Corte territoriale, non già una pretesa di contenuto patrimoniale cui strumentalmente accedente l’accertamento di illegittimità del licenziamento, ma proprio la reintegrazione nel posto di lavoro, con la conseguente condanna risarcitoria: nella cognizione del giudice del lavoro anche in caso di soggezione della società datrice a procedura concorsuale.
2. Con il secondo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 4 d.lg. 347/2003, come mod. dal d.l. 1/18 conv. in I. 20/2015, 3 d.l. 191/15 conv. in I. 13/2016, del d.l. 98/2016 conv. in I. 151/2016 e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, per la cognizione del giudice del lavoro, attesa la natura non liquidatoria dei provvedimenti denunciati di violazione, riguardanti I. s.p.a. in a.s., che anzi consentono agli amministratori la gestione dello stabilimento siderurgico di Taranto e pertanto la prosecuzione dell’attività di impresa, in funzione di tutela dei lavoratori in vista del trasferimento d’azienda, con la possibilità certa della reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro, confermato anche dall’eccezione della procedura di inammissibilità della sola domanda risarcitoria.
3. I due motivi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono fondati.
4. Preliminarmente ribadita l’esatta impostazione della questione in termini, non già di eventuale competenza del foro fallimentare, in funzione della sua vis attractiva ai sensi dell’art. 24 l. fall. (non derivando l’azione dal fallimento), ma piuttosto di rito, a norma degli artt. 52, 92 ss. I. fall. (Cass. 18 ottobre 2005, n. 20131; Cass. 29 marzo 2011, n. 7129; Cass. 16 ottobre 2017, n. 24363), giova in via di premessa avvertire altresì come l’odierna controversia tra le parti implichi la soluzione della delicata individuazione del giudice della cognizione della domanda, non tanto di illegittimità del licenziamento e di tutela reintegratoria da tempo affrontate con soluzioni sostanzialmente consolidate, quanto piuttosto di tutela risarcitoria: in particolare, questa per la prima volta nel regime introdotto dal testo dell’art. 18 l. 300/1970, come novellato dall’art. 1, comma 42 I. 92/2012 (cd. “legge Fornero”).
5. Per un’ordinata trattazione delle questioni, pare opportuno avviare l’esame ribadendo la chiara distinzione tra le due cognizioni specialistiche del giudice del lavoro e del giudice fallimentare: per ricercarvi una soluzione con essa coerente, auspicabilmente corretta.
6. Occorre allora richiamare il discrimen tra le sfere di cognizione del giudice del lavoro e del giudice fallimentare nell’individuazione delle rispettive speciali prerogative: del primo, quale giudice del rapporto e del secondo, quale giudice del concorso (da ultimo: Cass. 16 ottobre 2017, n. 24363; Cass. 30 marzo 2018, n. 7990).
6.1. Che il giudice del lavoro sia giudice del rapporto sta a significare che ad esso spetti la cognizione di ogni controversia avente ad oggetto lo status del lavoratore, essenzialmente radicato nei principi affermati dagli artt. 4, 35, 36 e 37 Cost., in riferimento al diritto ad una legittima e regolare instaurazione, vigenza e cessazione del rapporto e alla sua corretta qualificazione e qualità. E ciò per effetto dell’esercizio di azioni sia di accertamento mero, come in particolare di esistenza del rapporto di lavoro (Cass. 30 marzo 1994, n. 3151; Cass. 18 agosto 1999, n. 8708; Cass. 18 giugno 2004, n. 11439) o di riconoscimento della qualifica della prestazione (Cass. 20 agosto 2009, n. 18557; Cass. 6 ottobre 2017, n. 23418), ovvero di azioni costitutive, principalmente di impugnazione del licenziamento (Cass. 2 febbraio 2010, n. 2411), anche quando comprensive della domanda di condanna alla reintegrazione nel posto di lavoro (Cass. 3 marzo 2003, n. 3129; Cass. 27 febbraio 2004, n. 4051; Cass. 25 febbraio 2009, n. 4547; Cass. 29 settembre 2016, n. 19308), pure qualora conseguente all’accertamento di nullità, invalidità o inefficacia di atti di cessione di ramo d’azienda, in funzione del ripristino del rapporto di lavoro con la parte cedente, in caso di fallimento della cessionaria (Cass. 23 gennaio 2018, n. 1646).
6.2. Al giudice fallimentare, che è invece giudice del concorso, è invece riservato l’accertamento, con la relativa qualificazione, dei diritti di credito dipendenti dal rapporto di lavoro, in funzione della partecipazione al concorso.
È noto, oltre che indiscusso, come l’unico titolo idoneo per l’ammissione allo stato passivo e per il riconoscimento di eventuali diritti di prelazione sia costituito dall’accertamento del giudice fallimentare (Cass. 30 marzo 1994, n. 3151; Cass. 14 settembre 2007, n. 19248; Cass. 13 settembre 2017, n. 21204), anche eventualmente in conseguenza di domande di accertamento o costitutive in funzione strumentale (Cass. 20 agosto 2013, n. 19271).
Tale riserva di cognizione deriva dal principio di esclusività del giudizio di verifica dello stato passivo, secondo il quale, per effetto dell’apertura del concorso dei creditori sul patrimonio del fallito a seguito del fallimento (art. 52, primo comma I. fall.), ogni credito, anche se munito di prelazione o maturato in via di prededuzione, deve essere accertato in base alle previsioni degli artt. 92 ss. I. fall. (art. 52, primo comma e 111 bis, primo comma I. fall.). Pari esclusività di accertamento concorsuale vige, con gli opportuni adattamenti, per la liquidazione coatta amministrativa (in virtù del richiamo degli artt. 207 – 209 I. fall.) ed appunto per l’amministrazione straordinaria (per richiamo dell’art. 53 d.lg. 270/1999, cui a propria volta rimanda l’art. 4 ter d.l. 347/2003, conv. con mod. n I. 39/2004: procedura speciale di amministrazione straordinaria applicata ad U. s.p.a. in liquidazione).
E’ bene però avere chiaro il limite di efficacia esclusivamente endoconcorsuale dell’accertamento di stato passivo fallimentare, a norma dell’art. 96, ult. comma I. fall., che, nel testo novellato dall’art. 81 d.lg. 5/2006, è stato esplicitamente esteso anche ai giudizi di impugnazione previsti dall’art. 98 e regolati nel procedimento dall’art. 99 I. fall.: ossia di opposizione allo stato passivo, di impugnazione o revocazione dei crediti ammessi. Sicché, il solo limitato effetto extrafallimentare di efficacia del decreto di esecutività o della sentenza di ammissione del credito allo stato passivo è di costituire prova scritta, per gli effetti stabiliti dall’art. 634 c.p.c. (art. 120, ult. comma I. fall.), ossia ai fini dell’ottenimento di una pronuncia di ingiunzione per decreto motivato (art. 641 c.p.c.).
La ragione è quella, nitidamente illustrata da un’autorevole dottrina, dell’avere il procedimento di verifica endofallimentare ad oggetto, non già l’accertamento del credito, ma piuttosto la verifica del diritto di (credito per la) partecipazione al concorso: che è situazione giuridica soggettiva diversa dal diritto di credito.
La peculiarità dell’accertamento in parola è coerente con la natura del concorso, aperto a norma dell’art. 52, primo comma cit., nel quale si realizza un conflitto fra creditori anteriori e posteriori: per la riserva ai primi del patrimonio del fallito ai sensi dell’art. 44 I. fall. E da qui discende la qualità di terzo del curatore fallimentare, che spiega il regime di inopponibilità documentale vigente in sede di accertamento del passivo (Cass. s.u. 28 agosto 1990, n. 8879; Cass. s.u. 20 febbraio 2013, n. 4213; Cass. 20 ottobre 2015, n. 21273; Cass. 12 agosto 2016, n. 17080), addirittura rilevabile d’ufficio, in quanto eccezione in senso lato, siccome elemento impeditivo e non costitutivo della pretesa creditoria (Cass. s.u. 20.2.2013, n. 4213; Cass. 3 maggio 2017, n. 20115; Cass. 22 marzo 2018, n. 7207).
7. Se questo è allora il rispettivo ambito cognitorio del giudice del lavoro e del giudice fallimentare, appare chiara la diversità di causa petendi e di petitum tra le domande riguardanti il rapporto, di spettanza del primo e di ammissione al passivo, di spettanza invece del secondo (Cass. 3 marzo 2003, n. 3129).
Ed infatti, sotto il primo profilo (di causa petendi), nelle prime rileva un interesse del lavoratore alla tutela della propria posizione all’interno dell’impresa, sia in funzione di una possibile ripresa dell’attività, sia per la coesistenza di diritti non patrimoniali e previdenziali, estranei alla realizzazione della par condicio (Cass. 29 marzo 2011, n. 7129; Cass. 29 settembre 2016, n. 19308; Cass. 3 febbraio 2017, n. 2975; Cass. 16 ottobre 2017, n. 24363); nelle seconde rileva invece solo la strumentalità dell’accertamento di diritti patrimoniali alla partecipazione al concorso sul patrimonio del fallito.
Sotto il secondo profilo (di petitum), la distinzione è posta tra domande del lavoratore miranti a pronunce di mero accertamento oppure costitutive (come più sopra illustrato), nella cognizione del giudice del lavoro o piuttosto dirette alla realizzazione di diritti di credito a contenuto patrimoniale, anche se accompagnate da domande di accertamento o costitutive aventi funzione strumentale, nella cognizione del giudice fallimentare (Cass. 20 agosto 2013, n. 19271; Cass. 16 ottobre 2017, n. 24363).
8. Alla luce dei principi di diritto suenunciati, appare allora coerente ritenere, nell’odierna controversia, la cognizione del giudice del lavoro, sia in riferimento all’impugnazione del licenziamento disciplinare, sia alla domanda di condanna di reintegrazione nel posto di lavoro. Neppure quest’ultima, infatti, può essere intesa in funzione strumentale di tutela di diritti patrimoniali da far valere sul patrimonio del fallito: fondandosi, al contrario, proprio sull’interesse del lavoratore alla garanzia della posizione all’interno dell’impresa in procedura concorsuale, per la concreta prospettiva di ripresa dell’attività lavorativa tramite la gestione commissariale dello stabilimento siderurgico di Taranto, in funzione di tutela dei lavoratori in vista del programmato trasferimento d’azienda (oltre che per la tutela dei connessi diritti non patrimoniali e dei diritti previdenziali, pure estranei all’esigenza della par condicio creditorum).
D’altro canto, l’operata ripartizione di ambiti cognitori specializzati, nella loro ritenuta distinzione, corrisponde pure al criterio processuale di individuazione del giudice “competente” in quello titolare della cognizione di accertamento incidentale con efficacia di giudicato in ordine a questione pregiudiziale, ai sensi dell’art. 34 c.p.c., sul presupposto della dimostrazione dall’istante di un interesse effettivo che trascenda quello relativo al giudizio in corso, rispondente ad un’esigenza eccedente quella immediata alla sua soluzione della causa promossa (Cass. 16 gennaio 1993, n. 530; Cass. 3 aprile 2013, n. 8093): ciò che si verifica ogni qual volta il lavoratore manifesti l’interesse, come appunto qui, ad ottenere una pronuncia che “faccia stato” sul suo rapporto di lavoro, piuttosto che un accertamento, in via meramente incidentale, al solo fine di ammissione del suo credito, dipendente dal rapporto di lavoro, allo stato passivo del fallimento (o comunque di una procedura concorsuale).
9. Tanto accertato, occorre ora esaminare a quale dei due giudici (del lavoro o fallimentare) spetti la cognizione della domanda risarcitoria, pure proposta da C.A., siccome consequenziale a quelle di accertamento di illegittimità del licenziamento e reintegratoria nel posto di lavoro: questione, come più sopra anticipato, delicata e da affrontare in base al nuovo regime di tutele introdotto dall’art. 1, comma 42 I. 92/2012 (cd. “legge Fornero”), che ha novellato il testo dell’art. 18 I. 300/1970.
9.1. Ebbene, per effetto di tale legge è stata operata, come noto, una netta distinzione di rilevanza, nel giudizio davanti al giudice del lavoro, delle due diverse fasi di qualificazione della fattispecie (di accertamento di legittimità o illegittimità del licenziamento intimato e della sua natura) e di scelta della sanzione applicabile (reintegratoria ovvero risarcitoria).
9.1.1. In ordine alla prima fase, si pone una classificazione secondo le varie ipotesi di: a) nullità del licenziamento perché discriminatorio a norma dell’art. 3 I. 108/1990, ovvero intimato in concomitanza con il matrimonio ai sensi dell’art. 35 d.lg. 198/2006 o in violazione dei divieti di licenziamento previsti dall’art. 54, primo, sesto, settimo e nono comma d.lg. 151/2001 e succ. mod., ovvero perché riconducibile ad altri casi di nullità previsti dalla legge o determinato da un motivo illecito determinante ai sensi dell’art. 1345 c.c. e inefficacia del licenziamento orale (art. 18, primo comma I. cit.); b) annullamento in assenza degli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa per insussistenza del fatto contestato ovvero perché rientrante tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili (art. 18, quarto comma I. cit.); c) risoluzione del rapporto di lavoro nelle altre ipotesi in cui sia accertato che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa (art. 18, quinto comma I. cit.); d ) inefficacia del licenziamento per violazione del requisito di motivazione stabilito dall’art. 2, secondo comma I. 604/1966 e succ. mod. e delle procedure previste dall’art. 7 I. 300/1970 o dall’art. 7 I. 604/1966 (art. 18, sesto comma I. cit.); e) accertamento del difetto di giustificazione per motivo oggettivo consistente in una disabilità fisica o psichica, anche ai sensi degli artt. 4, quarto comma e 10, terzo comma I. 68/1999 (dipendenti da infortunio, malattia o inabilità a causa di inadempimento del datore di lavoro alle norme sulla sicurezza e l’igiene del lavoro) ovvero di violazione del periodo di comporto (art. 2110, secondo comma c.c.) o della manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo (art. 18, settimo comma I. cit.).
9.1.2. Il secondo momento del giudizio, di selezione della sanzione applicabile, prevede: a) la reintegratoria (sempre obbligatoria, salvo che nell’ipotesi di manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo sub e, in cui è facoltativa), accompagnata da quella risarcitoria (commisurata sull’ultima retribuzione globale di fatto maturata) diversamente modulata, a seconda delle ipotesi sopra illustrate, in piena, ossia pari ad un’indennità della suddetta misura dal giorno del licenziamento a quello di effettiva reintegrazione, detratto l’aliunde perceptum e comunque non inferiore a cinque mensilità (ipotesi sub a), o attenuata, in quanto pari a un’indennità della suddetta misura dal giorno del licenziamento a quello di effettiva reintegrazione, detratto l’aliunde perceptum e comunque non superiore a dodici mensilità (ipotesi sub b, e); b’) la risarcitoria, modulata in forte, ossia non inferiore a dodici né superiore a ventiquattro mensilità (ipotesi sub c ) ovvero dimidiata, perché inferiore a sei né superiore a dodici mensilità (ipotesi sub d).
9.2. Appare evidente come l’appena illustrata novellazione dell’art. 18 I. 300/1970 abbia comportato il passaggio da un’automatica applicazione, nel vigore del precedente testo dell’art. 18 I. 300/1970 per ogni ipotesi di illegittimità del licenziamento, della tutela reintegratoria e risarcitoria in misura predeterminabile con certezza (pari al periodo di maturazione dalla data di licenziamento a quella di effettiva reintegrazione dell’ultima retribuzione globale di fatto) ad un’applicazione selettiva, in esito alla scansione delle due diverse fasi di qualificazione della fattispecie (di accertamento di legittimità o illegittimità del licenziamento intimato e della sua natura) e di scelta della sanzione applicabile (reintegratoria e risarcitoria ovvero soltanto risarcitoria), con sua diversa commisurazione (se in misura cd. “piena” o “forte”, ovvero “attenuata” o “debole”), assolutamente inedita.
Non meno rilevante è che una tale commisurazione si radichi su una valutazione calibrata di elementi interni al rapporto di lavoro (anzianità del dipendente, numero dei dipendenti occupati, dimensioni dell’attività economica, comportamento e condizioni delle parti, ai sensi dell’art. 18, quinto comma, richiamati dal settimo comma, con l’aggiunta del comportamento del lavoratore nella ricerca di una nuova occupazione e delle parti nell’ambito della procedura stabilita dall’art. 7 I. 604/1966 e succ. mod.), ovvero sulla gravità della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro (aggiunta dall’art. 18, sesto comma ai citati elementi del quinto comma): tutti dati apprezzabili, per palese cognizione, dal giudice del rapporto (idest: del lavoro).
9.3. Il radicale mutamento del regime selettivo e di commisurazione delle tutele illustrato non può non riverberare effetti anche sulla ripartizione cognitoria qui in esame. Sicché, per una coerente riconduzione anche del profilo risarcitorio da ultimo esaminato all’indiscussa premessa (ormai per giurisprudenza consolidata richiamata) di individuazione nel giudice del lavoro del giudice del rapporto e nel giudice fallimentare del giudice del concorso con le naturali conseguenze tratte, si deve affermare che anche l’accertamento (ed esso solo) dell’entità dell’indennità risarcitoria spetti al giudice del lavoro: tanto più nel caso di specie, in cui il lavoratore ha impugnato un licenziamento disciplinare, per il quale si profilano i delicati profili di selezione e di commisurazione della tutela (art. 18, quarto o quinto comma I. cit.) illustrati.
10. Al giudice del lavoro resta ovviamente inibita la pronuncia di condanna. E ciò in quanto, come più sopra argomentato, non si tratta di domanda di condanna ad un pagamento, bensì, per effetto dell’apertura della procedura concorsuale, di insinuazione allo stato passivo fallimentare, nella cognizione esclusiva del giudice fallimentare (artt. 52, 93 ss. I.fall.: richiamati dagli artt. 53 d.lg. 270/1999 e 4 ter d.l. 347/2003, conv. con mod. n I. 39/2004): non tanto di accertamento del credito, nella cognizione per le ragioni dette del giudice del lavoro, quanto di verifica del diritto di (credito per la) partecipazione al concorso, di cognizione sua propria.
E tale domanda di insinuazione del lavoratore ben potrebbe essere ammessa allo stato passivo della procedura concorsuale con riserva, alla stregua di credito condizionale a norma dell’art. 55, terzo comma I. fall., fino all’esito del giudizio davanti al giudice del lavoro, cui spettante la cognizione delle domande suddette: così da consentire al creditore la partecipazione al riparto mediante accantonamento (Cass. s.u. 16 maggio 2008, n. 12371; Cass. 31 luglio 2017, n. 19017).
11. Dalle superiori argomentazioni discende allora coerente l’accoglimento del ricorso, con la cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Corte d’appello di Bari, oltre che per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, per l’accertamento spettante alla sua cognizione, in conformità del seguente principio di diritto:
“Qualora risulti, come nel caso di specie, l’interesse del lavoratore all’accertamento del diritto di credito risarcitorio in via non meramente strumentale alla partecipazione al concorso nella procedura di amministrazione straordinaria, bensì effettivo alla tutela della propria posizione all’interno dell’impresa, spetta al giudice del lavoro la cognizione delle domande di impugnazione del licenziamento, di reintegrazione nel posto di lavoro e di accertamento, nel vigore del testo dell’art. 18 I. 300/1970 come novellato dall’art. 1, comma 42 I. 92/2012, della misura dell’indennità risarcitoria dovutagli”.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d’appello di Bari.
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