CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 05 luglio 2018, n. 17619
Tributi – Accertamento – Registrazioni contabili – Fatture fittizie – Condono – PVC – Contenzioso tributario – divieto di doppia presunzione
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 145/14/10 del 14/04/2010 la CTR del Lazio rigettava l’appello proposto dalla B.I. s.r.l. (d’ora in poi solo B.), società operante nel settore dell’edilizia, avverso la sentenza n. 100/39/09 della CTP di Roma, che aveva rigettato i ricorsi riuniti della società contribuente avverso tre avvisi di accertamento per IVA, IRPEG ed IRAP relativi agli anni d’imposta 2002, 2003 e 2004.
1.1. Il giudice di appello premetteva che: a) gli accertamenti traevano origine da una verifica fiscale effettuata nei confronti della E.T.P. Appalti s.r.l. (d’ora in poi solo E.T.), la quale avrebbe emesso fatture fittizie nei confronti della B., fatture da quest’ultima utilizzate; b) la CTP rigettava i ricorsi riuniti proposti dalla B.; c) la sentenza della CTP era impugnata dalla società contribuente.
1.2. Su queste premesse, la CTR motivava il rigetto dell’appello evidenziando che: a) le sentenze di proscioglimento o di assoluzione in sede penale «non possono avere pregio né in questo contenzioso in particolare, né nel processo tributario, in generale»; b) il condono cd. tombale ex art. 9, comma 1, della I. 27 dicembre 2002, n. 289 proposto dalla B. con riferimento all’anno 2002 non era valido in quanto i ricavi dichiarati per l’anno 1999 non erano stati adeguati agli studi di settore; c) gli elementi indiziari forniti dall’Ufficio (la E.T. non disponeva di adeguata struttura organizzativa; mancava di esperienza nel settore; non disponeva di adeguati beni strumentali; non aveva effettuato acquisti di merci o materiali, pur indicando nelle fatture la dettagliata cessione di beni che non erano nella disponibilità della società; aveva un costo del personale sproporzionato rispetto ai ricavi dichiarati; non vi erano contratti di appalto scritti pur in presenza di commesse per rilevanti importi) erano idonei a dimostrare che la B. aveva utilizzato fatture per operazioni oggettivamente inesistenti emesse dalla E.T.; d) a fronte dei menzionati elementi indiziari la società contribuente non aveva fornito «elementi idonei comprovanti l’avvenuta realizzazione delle opere e dei servizi descritti nelle fatture, né tantomeno il possesso delle capacità umane e di strutture tecnicooperative in grado di giustificare i servizi resi», oltretutto in presenza di contratti verbali stipulati tra le due società.
2. La B. impugnava la sentenza della CTR con tempestivo ricorso per cassazione, affidato a sette motivi, e depositava memoria ex art. 380 bis.1 cod. proc. civ.
3. L’Agenzia delle entrate resisteva con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso la B. denuncia violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., evidenziando che la CTR non si sarebbe pronunciata con riferimento a due censure mosse in appello alla sentenza di primo grado e riguardanti: a) l’illegittimità degli avvisi di accertamento per carenza di motivazione, non essendo stati allegati agli stessi gli atti espressamente richiamati, in violazione dell’art. 7 della I. 27 luglio 2000, n. 212; b) la nullità degli avvisi di accertamento per violazione del principio del contraddittorio preventivo, non avendo potuto la società contribuente presentare le proprie osservazioni all’esito della verifica prima dell’emissione degli avvisi di accertamento, in violazione dell’art. 12, comma 7, della I. n. 212 del 2000.
2. Il motivo è infondato per le considerazioni che seguono.
2.1. Risulta dal ricorso in appello, per come trascritto dalla ricorrente nel contesto del ricorso per cassazione, che effettivamente la B. aveva proposto le sopra riassunte censure alla sentenza di primo grado, censure sulle quali la sentenza della CTR non si è effettivamente pronunciata.
2.3. Tuttavia, è noto che «nel giudizio di legittimità, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c., una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione può evitare la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito sempre che si tratti di questione di diritto che non richiede ulteriori accertamenti di fatto» (così Cass. n. 21968 del 28/10/2015; conf. Cass. 16171 del 28/06/2017; Cass. n. 21257 del 08/10/2014).
2.4. Ciò premesso, con riferimento alla censura sub a), la B. si duole del fatto che gli avvisi di accertamento sarebbero stati motivati per relationem con riferimento ad un processo verbale di constatazione allegato solo per stralcio e con riferimento a dichiarazioni rese dall’amministratore della società E.T. i cui verbali non sono stati allegati.
2.5. Orbene, costituisce principio pacifico della Suprema Corte quello per il quale «nel regime introdotto dall’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche “per relationem”, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, che siano collegati all’atto notificato, quando lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, cioè l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, la cui indicazione consente al contribuente – ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono le parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento» (Cass. n. 1906 del 29/01/2008; Cass. n. 28058 del 30/12/2009; Cass. n. 6914 del 25/03/2011; Cass. n. 13110 del 25/07/2012; Cass. n. 9032 del 15/04/2013; Cass. n. 9323 del 11/04/2017).
2.6. Ciò significa che l’avviso di accertamento è legittimamente motivato per relationem quando i documenti a cui si fa riferimento siano sufficienti per supportare le ragioni giustificative della ripresa fiscale, senza che tali documenti debbano essere altresì sufficienti anche ai fini della prova in giudizio della menzionata ripresa. «Il contribuente ha, infatti, diritto di conoscere tutti gli atti il cui contenuto viene richiamato per integrare tale motivazione, ma non il diritto di conoscere il contenuto di tutti quegli atti, cui si faccia rinvio nell’atto impositivo e sol perché ad essi si operi un riferimento, ove la motivazione sia già sufficiente (e il richiamo ad altri atti abbia, pertanto, mero valore “narrativo”), oppure se, comunque, il contenuto di tali ulteriori atti (almeno nella parte rilevante ai fini della motivazione dell’atto impositivo) sia già riportato nell’atto noto» (così Cass. n. 26683 del 18/12/2009; conf. Cass. n. 22118 del 29/10/2010; Cass. n. 7654 del 16/05/2012; Cass. n. 2614 del 10/02/2016).
2.7. Nel caso di specie, gli avvisi di accertamento fanno riferimento allo stralcio del processo verbale di constatazione nei confronti della E.T., contenente le dichiarazioni rese dall’amministratore di quest’ultima, nei limiti utili ad integrare la motivazione del predetto avviso, sicché non può dirsi che lo stesso sia carente di motivazione per il solo fatto che non siano stati allegati la copia integrale del processo verbale di constatazione nei confronti della E.T. e i verbali di interrogatorio nei confronti del suo amministratore.
2.8. Con riferimento alla censura sub b), va evidenziato che con un recente arresto in materia di contraddittorio endoprocedimentale, le Sezioni Unite della S.C. hanno stabilito che «l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito» (Cass. S.U. n. 24823 del 09/12/2015).
Più dettagliatamente, si legge nel principio di diritto enunciato dalla sentenza delle Sezioni Unite appena richiamata che «in tema di tributi “armonizzati”, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purché, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto».
2.9. Un’attenta lettura dei principi enunciati dalla S.C. consente, pertanto, di affermare che: a) non sussiste un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale in materia di tributi “non armonizzati”, ma il contraddittorio è necessario solo laddove è specificamente previsto dalla legge; b) il contraddittorio endoprocedimentale è, invece, necessario in materia di tributi “armonizzati”, salva la necessità del contribuente di indicare specificamente le ragioni che avrebbe potuto fare valere in quella sede.
2.10. Nel caso di specie l’accertamento verte sia in ipotesi di tributi “non armonizzati” che di tributi “armonizzati”, essendo l’IVA annoverata tra questi ultimi. E basterà evidenziare che, in assenza di una previsione espressa di legge che preveda la necessità del contraddittorio endoprocedimentale (in quanto non risulta che ci sia stata una verifica presso la sede della società), la B. si è limitata ad evidenziare la mancata instaurazione, da parte dell’Amministrazione finanziaria, del contraddittorio a seguito della chiusura della verifica e prima dell’emissione dell’avviso di accertamento, senza indicare le specifiche ragioni che avrebbe potuto fare valere in sede di contraddittorio.
Ne consegue che il contraddittorio preventivo endoprocedimentale non era necessario né ai fini dei tributi “non armonizzati”, né ai fini dei tributi “armonizzati”.
3. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia l’insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., evidenziandosi, con riferimento all’anno d’imposta 2002, che, diversamente da quanto erroneamente ritenuto dalla CTR, la B. ha adeguato i propri ricavi allo studio di settore con riferimento all’anno 1999 oltre che versato l’importo richiesto, come dimostrato dalla documentazione prodotta, per cui non è comprensibile l’esclusione dall’applicazione dal condono cd. tombale ex art. 9, comma 1, della I. n. 289 del 2002.
4. Il motivo è parzialmente fondato, nei limiti di quanto appresso si dirà.
4.1. Va preliminarmente evidenziato che l’accertamento per cui è processo verte anche in tema di IVA ed è noto che, con riferimento a tale tributo, il condono previsto dall’art. 9 della I. n. 289 del 2002 va disapplicato perché in contrasto con la sentenza 17 luglio 2008, causa C-132/06 della Corte di Giustizia, avuto riguardo agli artt. 2 e 22 della cd. Sesta Direttiva IVA e 10 Trattato CE, non consentendo, lo stesso, la reale emersione dell’evasione, e risolvendosi in una definitiva rinuncia all’accertamento ed alla riscossione dell’imposta (ex multis, Cass. n. 2915 del 07/02/2013).
4.2. Ne consegue che il condono cd. tombale presentato dalla società contribuente non può, in ogni caso, riguardare l’IVA.
4.3. Con riferimento ai restanti tributi, la motivazione con la quale la CTR ha affermato che per l’adesione al condono cd. tombale deve sussistere la condizione per la quale «i ricavi dichiarati devono essere adeguati agli studi di settore» e che «nel caso in esame, quest’ultima condizione non è stata osservata in relazione all’anno d’imposta 1999», non tiene palesemente conto della documentazione prodotta dalla società contribuente, che ha dimostrato di avere adeguato spontaneamente, nel modello unico 2000, relativo all’anno d’imposta 1999, i propri ricavi agli studi di settore (cfr. rigo RF9).
4.4. Tenuto, altresì, conto che è incontestata l’adesione della B. al condono ex art. 9, comma 1, della I. n. 289 del 2002 con il pagamento dell’importo di euro 700,00, la sentenza va cassata con riferimento a IRPEG ed IRAP.
5. Con il terzo motivo di ricorso la B. lamenta la violazione degli artt. 2727 e 2729 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., evidenziando che la CTR aveva ritenuto provato che la società contribuente avesse fatto uso di fatture per operazioni inesistenti sulla base di una serie concatenata di presunzioni semplici, partendo dall’unico fatto noto costituito dall’inidoneità della struttura organizzativa della E.T., e ciò in palese divieto di praesumptio de praesunto.
6. Il motivo è infondato.
6.1. Va evidenziato che l’Amministrazione finanziaria ha ritenuto, sulla base di quanto accertato dalla Guardia di finanza, che la E.T. non disponesse di una struttura amministrativa né di beni strumentali adeguati all’esecuzione delle opere indicate nelle fatture contestate. Da tali elementi, noti in quanto accertati, ha presunto l’emissione di fatture per operazioni inesistenti da parte della E.T. e, conseguentemente, l’indeducibilità dei costi da parte della B. perché non effettivamente sopportati.
Non può, pertanto, correttamente parlarsi in ipotesi del divieto di doppia presunzione, che attiene «alla correlazione tra una presunzione semplice con altra presunzione semplice, e non può quindi ritenersi violato nel caso in cui da un fatto noto si risalga ad un fatto ignorato» (cfr. Cass. n. 1023 del 18/01/2008; Cass. n. n. 10157 del 28/04/2010; Cass. n. 245 del 09/01/2014).
7. Con il quarto motivo di ricorso la B. contesta la violazione dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., evidenziando che la CTR ha sovvertito le regole sull’onere della prova, spettando all’Ufficio, in caso di operazioni oggettivamente inesistenti, fornire la prova della mancata effettuazione dei lavori appaltati dalla società contribuente alla E.T..
8. Con il quinto motivo di ricorso si lamenta insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., evidenziandosi che la CTR non avrebbe tenuto conto dei molteplici elementi probatori forniti dalla B. (processo verbale di constatazione della Guardia di finanza di Tivoli, attestazione di denuncia contributiva rilasciata dall’INPS, assoluzione in sede penale sia del legale rappresentante della B. che del sig. T., ritenuto il vero e proprio dominus della società) dai quali può evincersi che la E.T. non è una società fantasma, ma una società operativa.
9. Con il sesto motivo di ricorso la B. si duole della insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., evidenziando che la CTR non avrebbe tenuto conto della corposa documentazione prodotta in giudizio dalla quale si evince l’effettività delle opere e dei servizi descritti nelle fatture rilasciate dalla E.T..
10. Con il settimo motivo di ricorso si lamenta la violazione dell’art. 109, quarto comma, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 e dell’art. 14, comma 4 bis, della I. 24 dicembre 1993, n. 537, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., evidenziandosi il diritto della B., anche in presenza di eventuale inesistenza soggettiva delle fatture, a dedurre i relativi costi in ragione dell’esecuzione delle opere.
11. I quattro motivi possono essere complessivamente esaminati.
11.1. La sentenza della CTR ha ritenuto, sulla base degli avvisi di accertamento impugnati, che le fatture rilasciate dalla E.T. alla B. riguardassero operazioni oggettivamente inesistenti e, dunque, non solo che le opere e i servizi indicati nelle fatture e subappaltati dalla B. alla E.T. non fossero stati posti in essere da quest’ultima società, ma che addirittura non fossero stati mai posti in essere da alcuno.
11.2. Orbene poiché la fattura, di regola, costituisce titolo per il contribuente ai fini del diritto alla detrazione dell’IVA e alla deducibilità dei costi, spetta all’Ufficio dimostrare il difetto delle condizioni per l’insorgenza di tale diritto. La dimostrazione può ben consistere in presunzioni semplici, poiché la prova presuntiva non è collocata su un piano gerarchicamente subordinato rispetto alle altre fonti di prova e costituisce una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza anche in via esclusiva ai fini della formazione del proprio convincimento (Cass. n. 9108 del 06/06/2012).
11.3. Nel caso, come quello in esame, in cui l’Ufficio ritenga che la fattura concerna operazioni oggettivamente inesistenti, cioè sia una mera espressione cartolare di operazioni commerciali mai poste in essere da alcuno, e quindi contesti l’indebita detrazione dell’IVA e/o deduzione dei costi, ha l’onere di fornire elementi probatori del fatto che l’operazione fatturata non è stata effettuata (ad esempio, provando che la società emittente la fattura è una “cartiera” o una società “fantasma”) e a quel punto passerà sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate (cfr. Cass. n. 24426 del 30/10/2013); quest’ultima prova non potrà consistere, però, nella esibizione della fattura, né nella sola dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, i quali vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (tra le altre, Cass. n. 15228 del 03/12/2001; Cass. n. 12802 del 10/06/2011).
11.4. Nella specie l’Ufficio ha fornito alla CTR una serie di elementi indiziari dai quali poteva evincersi che la E.T. fosse una società “fantasma”, elementi che sono riassumibili nella assenza di una struttura organizzativa adeguata, nella mancanza di esperienza nel settore, nella mancanza di beni strumentali adeguati, nel mancato acquisto di materiali o merci necessari all’esecuzione delle opere, in un costo del personale sproporzionato rispetto ai ricavi dichiarati, nell’assenza di contratti di appalto scritti e nei particolari rapporti intrattenuti con la B..
Non è dubitabile che la congerie di elementi indicata dall’Ufficio a supporto della propria tesi legittima la presunzione che le operazioni poste in essere dalla E.T. non siano state in realtà realizzate e che quest’ultima sia una società fittizia, ragion per cui viene a gravare sulla B. la prova sia dell’esecuzione delle opere che dell’effettiva esistenza della E.T.. In questo senso, ritiene il Collegio che non ci sia stata alcuna violazione dei principi in materia di onere probatorio da parte della CTR e che, pertanto, il quarto motivo sia infondato.
11.5. Peraltro, la CTR non ha affatto valutato la documentazione probatoria offerta dalla B. in adempimento dell’onere probatorio che la legge pone a suo carico, così restando la motivazione del giudice di merito insufficiente sia con riguardo alla reale esistenza della E.T., sia con riguardo alla effettiva esecuzione delle opere indicate nelle fatture rilasciate da quest’ultima società, con conseguente fondatezza del quinto e del sesto motivo di ricorso.
11.6. Sotto il primo profilo, la CTR non ha tenuto conto, nella sua motivazione: a) del processo verbale di constatazione della Guardia di finanza di Tivoli, dal quale emerge che, con riferimento al periodo 2005-2007, la E.T. aveva regolarmente seguito lavori per conto della B. presso diverse caserme della Polizia di Stato; b) dell’attestazione dell’INPS dalla quale emerge che nel gennaio 2003 la E.T. impiegava ben tredici dipendenti; c) dei rapporti intrattenuti dalla E.T. con altri soggetti giuridici sempre con riguardo all’esecuzione di lavori in subappalto; d) delle risultanze dei procedimenti penali, che hanno escluso qualsiasi responsabilità in capo ai titolari della B. per i medesimi fatti.
11.7. Sotto quest’ultimo aspetto, la CTR ha decisamente escluso qualsiasi efficacia delle sentenze penali di proscioglimento nel processo tributario, mentre deve evidenziarsi che «nel processo tributario, l’efficacia vincolante del giudicato penale di assoluzione de/legale rappresentante della società contribuente per insussistenza del reato di esposizione di elementi passivi fittizi mediante utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, non opera automaticamente per i fatti relativi alla correlata azione di accertamento fiscale nei confronti della società, poiché in questo, da un lato, vigono limitazioni della prova (come il divieto di quella testimoniale ex art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992) e, dall’altro, possono valere anche presunzioni inidonee a fondare una pronuncia penale di condanna. Pertanto, stante l’evidenziata autonomia del giudizio tributario rispetto a quello penale, il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza penale definitiva in materia di reati fiscali, recependone acriticamente le conclusioni assolutorie ma, nell’esercizio dei propri poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 cod. proc. civ.), deve procedere ad un suo apprezzamento del contenuto della decisione, ponendolo a confronto con gli altri elementi di prova acquisiti nel giudizio» (Cass. n. 19786 del 27/09/2011; si veda, altresì, Cass. n. 2938 del 13/02/2015, per la quale la sentenza penale irrevocabile rappresenta un semplice elemento di prova, liberamente valutabile in rapporto alle ulteriori risultanze istruttorie, anche di natura presuntiva).
Naturalmente spetterà al giudice di merito in sede di rinvio ogni valutazione in ordine alla rilevanza delle menzionate sentenze, anche sotto il profilo dell’effettiva configurabilità del giudicato penale.
11.8. Sotto il profilo della effettiva esecuzione delle opere indicate nelle fatture rilasciate dalla E.T., la motivazione della CTR trascura completamente di tenere conto: a) della dichiarazione della Segreteria del Dipartimento della Pubblica sicurezza del Ministero dell’Interno, dalla quale si evince l’effettiva esecuzione di una serie di opere commissionate verbalmente, da parte della B., anche con l’utilizzo di ditte subappaltatrici, per gli anni 2002, 2003 e 2004; b) della relazione tecnica di parte dell’ing. F., dalla quale si evince che la B. aveva eseguito lavori presso caserme della Polizia di Stato e che non poteva eseguire da sola tali opere, con conseguente necessità di ricorrere a soggetti esterni; c) della circostanza che le fatture rilasciate dalla E.T. riguardavano proprio lavori compiuti presso caserme della Polizia di Stato.
Dalla documentazione prodotta è possibile evincere quanto meno che le opere indicate nelle fatture rilasciate dalla E.T. siano state effettivamente realizzate per conto della stazione appaltante, il che pone in discussione la qualificazione di oggettiva inesistenza delle stesse attribuitale dalla CTR sulla base dei soli elementi indiziari forniti dall’Amministrazione finanziaria. Spetterà al giudice di merito, dunque, effettuare una nuova valutazione del complessivo materiale probatorio acquisito agli atti di causa.
11.9. La valutazione del giudice di merito in ordine all’oggettiva esistenza delle operazioni sottostanti alle fatture condiziona inevitabilmente anche la valutazione sulla deducibilità dei costi ai fini delle imposte dirette, atteso che laddove si dovesse escludere l’oggettiva esistenza delle operazioni, anche indipendentemente dalla soggettiva inesistenza delle stesse, i costi sarebbero comunque deducibili, salvo che si tratti di costi che, a norma del T.U. delle imposte sui redditi approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, siano in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità e salvo che i beni acquistati non siano stati utilizzati direttamente per commettere un reato (cfr. Cass. n. 10167 del 20/06/2012; Cass. n. 24426 del 30/10/2013; Cass. n. 26461 del 17/12/2014; Cass. n. 25249 del 07/12/2016). Il settimo motivo resta, pertanto, assorbito.
12. In conclusione, il ricorso va accolto con riferimento al secondo (in parte qua), quinto e sesto motivo di ricorso, rigettati il primo, il terzo e il quarto e assorbito il settimo; la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti e rinviata alla CTR del Lazio, in diversa composizione, perché provveda anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il secondo, nei limiti di cui in motivazione, il quinto e il sesto motivo di ricorso, rigetta il primo, il terzo e il quarto e dichiara assorbito il settimo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione,’anche sulle spese del presente giudizio.
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