CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 luglio 2018, n. 18436
Agevolazioni trbutarie – Accertamento – Credito d’imposta – Dividendi – Convenzione Italia-Francia contro le doppie imposizioni
Fatti di causa
Rilevato che la società BMW Holding BV, con sede legale a L’Aia (Olanda), proponeva appello avverso la decisione della Commissione Tributaria Provinciale di Pescara che aveva rigettato il suo ricorso avverso il silenzio-rifiuto frapposto dall’Amministrazione Finanziaria all’istanza di rimborso dell’importo di euro 10.687.500,00 pari alla metà del credito d’imposta sui dividendi distribuiti dalla controllata BMW Italia s.p.a. nel 2003 per un importo di 38 miliardi di lire (ossia oltre 19 milioni di euro);
che con il ricorso introduttivo la società ricorrente aveva sostenuto l’istanza di rimborso sul rilievo che la materia concernente l’attribuzione del credito di imposta sui dividendi è disciplinata dal d.P.R. n. 917 del 1986 e che le disposizioni della Convenzione Italia-Francia contro le doppie imposizioni, ratificata con legge 7 gennaio 1992, n. 20, applicabili nella fattispecie, prevedono espressamente il diritto al rimborso della metà del credito d’imposta relativo ai dividendi;
che la Commissione Tributaria Provinciale di Pescara aveva ritenuto applicabile non la Convenzione Italia-Francia ma quella Italia-Olanda, ritenendo che la stessa materia fosse disciplinata da una norma (l’art. 24 della legge n. 305 del 1993) in base alla quale non può riconoscersi alla ricorrente società olandese l’invocato beneficio della restituzione;
che, inoltre, la società ricorrente aveva fornito la prova della mancata fruizione della deduzione dell’imposta versata in Olanda di quanto già assoggettato ad imposta in Italia; che la Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo rigettava l’appello; che la suddetta Commissione rammentava che la società ricorrente (cd. società-madre) aveva sede in Olanda e chiedeva il rimborso del credito d’imposta relativamente ai dividendi ad essa distribuiti dalla BMW italia (cd. società figlia, avente sede in Italia), di cui deteneva il 100% del capitale sociale;
che – ripercorrendo quanto deciso da Cass. 23 settembre 2004, n. 19152 in un caso analogo – l’art. 5, comma 1, della direttiva CEE 90/435 sancisce il principio in base al quale gli utili distribuiti dalla società figlia alla società madre sono esenti dalla ritenuta alla fonte;
che, tuttavia, il successivo art. 7, comma 2, della stessa Direttiva prevede una deroga (cd. clausola di riserva) a tale affermato principio, stabilendo che resta impregiudicata l’applicazione di disposizioni nazionali o convenzionali dirette a sopprimere o ad attenuare la doppia imposizione sui dividendi;
che l’art. 10, par. 2, della Convenzione Italia-Olanda contro le doppie imposizioni, ratificata con legge 26 luglio 1993, n. 305, stabilisce che i dividendi imponibili nello Stato del percipiente siano imponibili anche nello Stato del soggetto erogatore dei dividendi ed in conformità alla legislazione di detto Stato, prevedendo, tuttavia, che l’imposta così erogata non possa superare il 5% dell’ammontare lordo dei dividendi nel caso in cui beneficiario effettivo sia una società che ha detenuto oltre il 50% delle azioni con diritto di voto della società distributrice durante un periodo di 12 mesi precedenti la data di delibera di distribuzione dei dividendi medesimi; mancando tali requisiti è previsto un ulteriore prelievo del 15%;
che l’art. 24, par. 3, della stessa Convenzione prevede che l’Olanda, sul reddito corrispondente ai dividendi “in entrata” (distribuiti cioè dalla società figlia residente in Italia), applichi una deduzione d’imposta pari a quella pagata in Italia;
che secondo la Corte di Giustizia CE 4 ottobre 2001, causa C-294/99, punto 32, i diritti attribuiti agli operatori economici dall’art. 5, comma 1, della Direttiva 90/435/CEE sono assoluti e uno Stato membro non può far dipendere la loro osservanza da una Convenzione conclusa con un altro Stato membro;
che, tuttavia, secondo l’art. 1, par. 1 e 2, della medesima Direttiva CEE, lascia impregiudicata la possibilità di disposizioni convenzionali o statali per evitare frodi o abusi;
che, inoltre, non sussiste incompatibilità della fonte convenzionale con la fonte comunitaria stante l’espressa previsione della clausola di riserva contenuta nell’art. 7, comma 2, cit., norma che secondo la sentenza della Cassazione citata va interpretata nel senso che la normativa comunitaria non si applica se già la normativa interna o convenzionale contengono norme che realizzano la finalità di sopprimere o attenuare la doppia imposizione economica, con la conseguenza che tale norma rafforza il divieto di doppia imposizione attraverso una disposizione che salda le norme convenzionali con quelle comunitarie, facendone un corpo unico;
che dunque la citata Direttiva CEE non ha determinato il superamento generalizzato delle Convenzioni fra Stati membri e in particolare quella Italia- Olanda, che correttamente il giudice di primo grado ha ritenuto applicabile al caso di specie;
che pertanto, al caso di specie va applicata la Convenzione Italia-Olanda, la quale non prevede che lo Stato italiano riconosca un credito d’imposta ad una società residente in Olanda beneficiaria di dividendi distribuiti da una società partecipata residente in Italia;
che la contribuente proponeva ricorso affidato ad un unico motivo e ad una richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia di Lussemburgo e l’Agenzia delle entrate ne chiedeva il rigetto costituendosi con controricorso;
che in prossimità dell’udienza la società ricorrente depositava memoria insistendo per l’accoglimento del ricorso e ritenendo non condivisibili le conclusioni raggiunte dalla Cassazione con la sentenza 28 dicembre 2016, n. 27111, in un caso pressoché identico;
Ragioni della decisione
Considerato che con l’unico motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., la società contribuente denuncia violazione e falsa applicazione degli, articoli 43, 48 e 12 del Trattato che istituisce la Comunità Europea (ora, nell’ordine, articoli 49, 54 e 18 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea), in relazione all’art. 10, comma 4, lett. b) della convenzione tra l’Italia e la Francia per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio e per prevenire l’evasione e la frode fiscali del 5 ottobre 1989, ratificata con legge n. 20 del 7 gennaio 1992, nonché insufficiente e/o contraddittoria motivazione sul fatto controverso e decisivo per il giudizio;
che la questione controversa verte sullo stabilire, se lo Stato italiano – nel riconoscere ad una società socia francese (ai sensi del citato art. 10, comma 4, lett. b) citato il pagamento di un importo pari al 50% del credito d’imposta relativo a dividendi distribuiti dalla società figlia italiana, e negando invece tale diritto al pagamento ad una società dei Paesi Bassi che riceve i dividendi dalla propria figlia italiana (come la società scrivente) – stia ponendo in essere una pratica discriminatoria che viola il divieto di disparità di trattamento in base alla nazionalità (artt. 12 e 48 TCE), nonché la libertà di stabilimento di cui all’art. 43 TCE e, pertanto, se detta pratica sia idonea al dissuadere le società non residenti, diverse da quelle francesi, dal costituire società controllate in Italia;
che, poiché la situazione di un socio dei Paesi Bassi sarebbe identica a quella di un socio francese, con riguardo ai dividendi distribuiti da una società italiana, il mancato riconoscimento ad un socio olandese del medesimo trattamento riservato ad un socio francese (pagamento di metà del credito d’imposta) costituirebbe una pratica discriminatoria che viola gli articoli 43,48 e 12 del TCE;
che sulla base delle argomentazioni sopra esposte, una società madre residente nei Paesi Bassi ed una società madre residente in Francia si troverebbero nella stessa identica situazione relativamente ai dividendi percepiti da una società distributrice residente in Italia;
che ne deriverebbe che, in linea con quanto stabilito dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 12/12/2006, causa C-374/04, Class IV ACT Group Litigation, ai fini di non violare il principio di non discriminazione stabilito dagli articoli 43, 48 e 12 del TCE, lo Stato italiano deve trattare in modo eguale, con riferimento al pagamento del credito d’imposta, una società beneficiaria dei Paesi Bassi e una società beneficiaria francese;
che, nell’insistere per l’accoglimento di tali censure, la società si rimette, ai sensi del comma 3 dell’art. 234 del Trattato della Comunità Europea, alla Cassazione per il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE della questione interpretativa, perché la questione dell’asserita discriminazione tra società madri operanti in Paesi membri contraenti di differenti Convenzioni bilaterali con l’Italia sulla doppia imposizione non sarebbe stata mai esaminata o giudicata dalla Corte di Giustizia;
che secondo l’Agenzia delle entrate, invece, conformemente a quanto stabilito nell’impugnata sentenza, la giurisprudenza, in modo assolutamente univoco, avrebbe affermato il principio di alternatività tra i benefici richiesti;
che, in particolare, la Corte di Giustizia CE, con sentenza n. 58/2003, ha chiarito che “la ritenuta alla fonte di cui trattasi nella causa principale può essere considerata come rientrante in un insieme di disposizioni convenzionali relative al pagamento di crediti di imposta ai beneficiari di dividendi e diretta per ciò stesso ad attenuare la doppia imposizione”, ragion per cui “l’art. 7.2 della Direttiva va interpretato nel senso che consente un’imposizione come il prelievo del 5% previsto dalla Convenzione sulla doppia imposizione”;
che il principio è stato fatto proprio dalla Cassazione, con sentenza n. 19152 del 23/09/2004 e n. 5943 del 12/03/2009, concordi nel chiarire che “le stesse norme valgono ad impedire sommatorie di benefici, quali quelli rappresentati, nella specie, nel riconoscimento di un credito di imposta in favore della Società madre, che ottenga anche il rimborso della ritenuta alla fonte operata sui dividendi dallo stesso stato che eroga il credito di imposta”;
che le medesime sentenze, inoltre, hanno escluso l’applicabilità di “quanto disposto dalle Convenzioni tra Italia e Francia e tra Italia e Regno Unito in materia di crediti di imposta sui dividendi, sussistendo, nella Convenzione tra Italia e Paesi Bassi, una disposizione analoga a quelle invocate dalla ricorrente”;
che occorre inoltre tenere presente il rilievo contenuto nelle sentenze richiamate in forza del quale il diritto al rimborso va negato “in assenza, oltretutto, di una qualsiasi prova da parte della ricorrente della non deduzione dalle imposte già versate in Italia”;
ritenuto che il motivo di ricorso è infondato;
considerato infatti che Cass. 28 dicembre 2016, n. 27111, a cui principi si ritiene di aderire, ha così statuito in un caso analogo (riguardante però una società madre tedesca):
“In tema d’imposte sui dividendi azionari, la direttiva del Consiglio CEE n. 435 del 1990, recepita nell’ordinamento italiano con l’art. 27-bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e con il d.lgs. n. 136 del 1993, non comporta, come si desume dall’art. 7, alcun effetto abrogativo delle precedenti convenzioni bilaterali (nella specie, di quella ita lo-francese), determinando con queste ultime una disciplina complessiva e complementare di contrasto della doppia imposizione dei dividendi, corrisposti dalla società figlia italiana a quella madre di altro Stato dell’Unione europea, secondo un regime opzionale di alternatività, sicché è precluso alla società madre dello Stato contraente o di altro Stato dell’Unione europea, la quale invochi lo stesso trattamento in virtù del principio di non discriminazione (nella specie, società tedesca), cumulare sia il credito d’imposta previsto dalla convenzione sia il rimborso della ritenuta diretta sui dividendi o l’esenzione di cui all’art. 27-bis del d.P.R. n. 600 del 1973”)
che, in particolare, in motivazione si afferma: che la direttiva 90/435 (c.d. madre-figlia) e la convenzione Itaiia-Francia, pur perseguendo lo stesso obiettivo non sono perfettamente sovrapponibili, atteso che esse muovono da presupposti soggettivi e soglie rilevanti di partecipazione diversi e prevedono diverse modalità e strumenti di eliminazione, o quantomeno attenuazione, della doppia imposizione in senso giuridico ed economico;
che appare conforme all’ordinamento che l’eliminazione o attenuazione della doppia imposizione non possa mai determinare, in concreto, la distorsione rappresentata da un indebito duplice beneficio, ovvero da una duplice nonimposizione.
che tale fine può essere perseguito proprio in forza del regime di alternatività ovvero di opzione (a seconda della disciplina più favorevole per il contribuente) tra le modalità previste, rispettivamente, dalla convenzione bilaterale (riconoscimento del credito d’imposta) e dalla direttiva (esenzione dalla ritenuta);
che non è precluso dalla direttiva madre-figlia che la società-madre, sussistendone tutti i presupposti, opti per il regime convenzionale del credito d’imposta in luogo di quello della piena detassazione.
che invece è precluso – perché avulso ed eccedente rispetto alla finalità di evitare la doppia imposizione – che essa si avvalga sia del credito d’imposta previsto dalla convenzione, sia del rimborso della ritenuta sui dividendi o dell’esenzione diretta D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 27 bis, cit..
che non si ravvisano i presupposti del sollecitato rinvio pregiudiziale sulla questione interpretativa posta dalla società ricorrente in quanto la soluzione proposta trova avallo in principi di ampia portata desumibili da quanto già stabilito in altre vertenze decise in materia dalla Corte di giustizia (12 dicembre 2006 in Causa C-374/04)
considerato che ai sensi dell’art. 7, par. 2, della Direttiva madre-figlia “La presente direttiva lascia impregiudicata l’applicazione di disposizioni nazionali o convenzionali intese a sopprimere o ad attenuare la doppia imposizione economica dei dividendi, in particolare delle disposizioni relative al pagamento di crediti d’imposta ai beneficiari dei dividendi”;
ritenuto dunque che al caso di specie, avente ad oggetto il rapporto tra una società madre olandese ed una società figli italiana, sia applicabile la convenzione Italia-Olanda (legge 26 luglio 1993, n. 305), in quanto normativa più specifica rispetto alla citata Direttiva;
considerato che ai sensi dell’art. 10 (Dividendi) della legge 26 luglio 1993, n. 305 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione tra la Repubblica italiana ed il Regno dei Paesi Bassi per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio e per prevenire le evasioni fiscali, con protocollo aggiuntivo, fatta a L’Aja 1*8 maggio 1990):
1. I dividendi pagati da una società residente di uno degli Stati ad un residente dell’altro Stato sono imponibili in detto altro Stato.
2. Tuttavia, tali dividendi sono imponibili anche nello Stato di cui la società che paga i dividendi è residente, ed in conformità della legislazione di detto Stato, ma, se la persona che riceve i dividendi ne è l’effettivo beneficiario, l’imposta così applicata non può eccedere:
a) i) il 5 per cento dell’ammontare lordo dei dividendi se il beneficiario effettivo è una società che ha detenuto oltre il 50 per cento delle azioni con diritto di voto della società che paga i dividendi durante un periodo di 12 mesi precedenti la data della delibera di distribuzione dei dividendi, e ii) il 10 per cento dell’ammontare lordo dei dividendi se il beneficiario effettivo è una società che non ha diritto al trattamento previsto al punto precedente i) ma che ha detenuto il 10 per cento o più delle azioni con diritto di voto della società che paga i dividendi durante un periodo di 12 mesi precedenti la data della delibera di distribuzione dei dividendi; e
b) il 15 per cento, in tutti gli altri casi.
Le disposizioni del presente paragrafo non riguardano l’imposizione della società per gli utili con i quali sono pagati i dividendi.
3. Una persona residente dei Paesi Bassi che riceve dividendi distribuiti da una società residente dell’Italia ha diritto al rimborso dell’ammontare corrispondente alla «maggiorazione di conguaglio» afferente tali dividendi, se dovuta da detta società, previa deduzione dell’imposta prevista al paragrafo 2.
Considerato che, ai sensi dell’art. 24 (Disposizioni per eliminare le doppie imposizioni) della stessa legge:
-1. I Paesi Bassi, nel prelevare le imposte a carico dei loro residenti, potranno includere nella base cui l’imposta è commisurata, gli elementi di reddito o del patrimonio che, conformemente alle disposizioni della presente Convenzione, sono imponibili in Italia.
2. Tuttavia, se un residente dei Paesi Bassi riceve elementi di reddito o possiede elementi di patrimonio che, in virtù degli articoli 6, 7, 10 paragrafo 6, 11 paragrafo 6, 12 paragrafo 4, 13 paragrafi 1 e 2, 14, 15 paragrafo 1, 16, 19, 22 paragrafo 2 e 23 paragrafi 1 e 2, della presente Convenzione, sono imponibili in Italia e che sono inclusi nella base prevista al paragrafo 1, i Paesi Bassi esenteranno tali elementi accordando una riduzione della loro imposta.
Considerato che, diversamente da quanto previsto dalla Convenzione Italia- Olanda, secondo l’art. 24, n. 2, lett. a) della Convenzione Italo – Francese (legge 7 gennaio 1992, n. 20) l’imposta italiana non è deducibile ai fini del calcolo del reddito imponibile in Francia (sul punto Cass. 15 aprile 2011, n. 8621; Cass. 6 ottobre 2017, n. 23367);
considerato che, secondo questa Corte, in tema di misure per evitare le doppie imposizioni fiscali, sia la Convenzione tra la Repubblica italiana ed il Regno dei Paesi Bassi per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e sul patrimonio e per prevenire le evasioni fiscali, fatta all’Aja ì8 maggio 1990, ratificata e resa esecutiva in Italia con la legge 26 luglio 1993, n. 305, sia la Direttiva CEE n. 90/435, relativa al regime fiscale applicabile alle società madri e figlie di Stati membri della Comunità economica europea, attuata nell’ordinamento interno con il D.Lgs. 6 marzo 1993, n. 136, in conflitto solo apparente tra loro, sono entrambi atti che fanno salva la regola della <deduzione> a favore della società madre di quanto sia stato pagato nello Stato della società figlia. Ne consegue che il riconoscimento del <diritto al rimborso>, ai sensi dell’art. 27-bis, comma primo, d.P.R. n. 600 del 1973 (aggiunto dall’art. 2 D. Lgs. n. 136 del 1993, in attuazione della Direttiva CEE n. 90/435) in favore di una società madre di diritto olandese, in ordine all’ammontare della ritenuta alla fonte, operata nella misura del 5 per cento (peraltro compatibile con la disposizione di cui all’art. 5. 1 della Direttiva) sui dividendi distribuiti in suo favore da una società figlia di diritto italiano, più che porre rimedio ad un fenomeno di doppia imposizione, ove applicata indiscriminatamente, e cioè senza la dimostrazione di non essersi avvalsi (o di non potersi avvalere) del diritto alla deduzione, comporterebbe la realizzazione di un doppio beneficio (rimborso più deduzione: in applicazione di tale principio, la Corte ha accolto il ricorso per Cassazione proposto dall’Amministrazione finanziaria ed ha cassato la sentenza di merito con la quale era stato riconosciuto alla società madre, fiscalmente residente in Olanda, il diritto al rimborso della ritenuta alla fonte, operata sui dividendi percepiti dalla società figlia, fiscalmente residente in Italia, sul presupposto errato della sua incompatibilità con la Direttiva Comunitaria n. 90/435: Cass. 23 settembre 2004, n. 19152; in senso analogo, con specifico riferimento alla Convenzione Italia-Gran Bretagna, Cass. 12 marzo 2009, n. 5943);
ritenuto dunque che il riconoscimento del credito d’imposta in favore della società ricorrente, lungi dal porre rimedio ad un fenomeno di doppia imposizione, porterebbe alla realizzazione di un doppio beneficio (credito d’imposta più deduzione);
che, infatti, in presenza della normativa convenzionale suddetta che regola i rapporti Italia-Olanda, la società madre, avendo diritto alla deduzione in Olanda, è comunque garantita contro eventuali doppie imposizioni;
che la società ricorrente ha comparato situazioni diverse (quelle di società madri aventi sede una in Francia e l’altra in Olanda) dal punto di vista dei rimedi esperiti per evitare il divieto di doppia imposizione (in quanto per l’Olanda è prevista la deduzione e per la Francia il credito d’imposta) e pretenderebbe, invocando il principio di non discriminazione, di ottenere per la società olandese lo stesso rimedio della società francese (credito d’imposta), omettendo però di considerare la possibilità per la società olandese di ottenere la deduzione;
che, infatti, si ha discriminazione sostanziale sia nel trattamento diverso di situazioni simili sla nello -stesso trattamento di situazioni diverse, mentre la disparità di trattamento fra situazioni non comparabili si risolve, per contro, in una discriminazione formale che non contrasta con il dettato comunitario (Corte di Giustizia CEE, 17 luglio 1963, causa C-13/63, Governo italiano c. Commissione CEE);
che tale principio del resto è conforme a quello di uguaglianza e ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost. e al suo corollario secondo cui occorre trattare in maniera adeguatamente diseguale situazioni diseguali (Corte cost. n. 219 del 2013);
considerato che la società olandese ha percepito per intero i dividendi dalla società controllata italiana, la quale non operò alcuna ritenuta alla fonte, con la conseguenza che il riconoscimento del rimborso del credito d’imposta alla società-madre creerebbe, anche per questo verso, un indebito vantaggio a favore di quest’ultima con effetto distorsivo delle regole UE in tema di non discriminazione e di concorrenza;
che, peraltro, la società madre non ha dimostrato di non essersi avvalsa (o di non potersi avvalere) del diritto alla deduzione;
ritenuto che non si rivela necessario il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE, non solo perché la soluzione qui proposta trova avallo in principi di ampia portata desumibili da quanto già stabilito in altre vertenze decise da detta Corte nella materia, ma anche – e soprattutto – perché le questioni proposte si palesano irrilevanti, stante la mancanza di discriminazione tra i regimi in concreto operanti, in applicazione delle due convenzioni bilaterali dalle quali emergerebbe – secondo la società ricorrente – il lamentato profilo discriminatorio;
che, infatti, secondo quanto stabilito dalla sentenza del 12 dicembre 2006 in Causa C-374/04 (domanda di pronuncia pregiudiziale: High Court of Justice of England and Wales), “Gli artt. 43 CE e 56 CE non ostano a che uno Stato membro, al momento di una distribuzione di dividendi da parte di una società residente nel detto Stato, conceda alle società beneficiarie dei detti dividendi che risiedono anch’esse nel detto Stato un credito d’imposta corrispondente alla frazione dell’imposta versata dalla società distributrice sugli utili distribuiti, ma non lo conceda alle società beneficiarie che risiedono in un altro Stato membro e che non sono assoggettate all’imposta in questo primo Stato a titolo di tali dividendi, (v. punto 74, dispositivo 1). – Gli artt. 43 CE e 56 CE non ostano al fatto che uno Stato membro non estenda il diritto ad un credito d’imposta, previsto in una convenzione volta ad evitare la doppia imposizione conclusa con un altro Stato membro per società residenti in quest’ultimo Stato che percepiscono dividendi da una società residente nel primo Stato, a società residenti in un terzo Stato membro con cui esso ha concluso una convenzione volta ad evitare la doppia imposizione, che non prevede un tale diritto per società residenti in questo terzo Stato. – Il fatto che i diritti e gli obblighi reciproci che derivano dalla prima convenzione si applichino soltanto a soggetti residenti in uno dei due Stati membri contraenti è una conseguenza inerente alle convenzioni bilaterali volte a prevenire la doppia imposizione” (v. punti 91, 94, dispositivo 2).
che da ciò si trae conferma tanto della conformità all’ordinamento UE della disciplina convenzionale, quanto della inesistenza nel medesimo ordinamento, pur dopo l’adozione della direttiva madre-figlia, di un principio che ne imponga l’estensione di efficacia a società madri residenti in Stati UE diversi dai contraenti;
ritenuto che pertanto il ricorso va respinto e che le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in euro 17.000, oltre a spese prenotate a debito.
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