CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 29 agosto 2018, n. 21289
Tributi – Reddito d’impresa – Accertamento – PVC – Contenzioso tributario
Rilevato
che, con la sentenza depositata il 27.1.2009, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia ha confermato la pronuncia n. 195/03/2006 della Commissione Tributaria Provinciale di Varese con cui era stato rigettato il ricorso proposto da V.A., titolare della Ditta “I.G.”, nei confronti della quale era stato emesso avviso di accertamento con rettifica del reddito di impresa, dell’imponibile IRAP e del volume di affari, per l’anno 2002, ai sensi dell’art. 39 comma 1 lett. d) DPR n. 600/1973, originata da una analisi sui componenti positivi e negativi del reddito di impresa e sul riscontro della non congruità dei ricavi dichiarati: il tutto a seguito di un accesso eseguito in data 26.10.2005 ad opera del personale dell’Agenzia delle Entrate;
che, avverso tale decisione, ha proposto ricorso per cassazione V.A. affidato a sette motivi;
che l’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso; che il PG non ha formulato richieste; che la ricorrente ha depositato memoria.
Considerato
che, con il ricorso per cassazione, si censura:
1) la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 12 legge 27.7.2000 n. 212; l’omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, rappresentato dalla corretta applicazione ed interpretazione, nel caso di specie, dell’art. 12 legge 27.7.2000 n. 212; l’omesso e/o insufficiente esame degli atti (processo verbale di accesso e richiesta di documenti del 25.10.2005) posti a base della decisione, riflettendosi detto vizio anche in un vizio di motivazione (in termini di assenza, incongruità e/o illogicità della medesima) giacché la pronuncia gravata risulta affetta da evidente contrasto con le risultanze testuali ricavabili dai documenti agli atti, ai sensi dell’art. 360 n. 5 cpc;
2) la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cc; l’omessa e/o insufficiente motivazione adottata dalla sentenza impugnata in merito al concreto assetto degli oneri probatori nel presente giudizio, anche con riferimento alle eccezioni del contribuente relative al divieto di doppia presunzione ed alla inidoneità dell’uso delle percentuali di ricarico ad integrare una prova per presunzioni;
3) la violazione e falsa applicazione dell’art. 39 del DPR n. 600/1973; l’insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un altro punto decisivo della controversia costituito dai ricavi derivanti dalla vendita di quei prodotti di cui si lamentava la mancata contabilizzazione, ai fini della ricostruzione indiretta dei ricavi;
4) la mancanza di motivazione della sentenza in merito al processo cognitivo che aveva portato la CTR a condividere le ragioni dell’Ufficio e a disattendere quelle del contribuente;
5) l’omesso e/o insufficiente esame, sempre ai sensi dell’art. 360 n. 5 cpc, degli elementi probatori del primo grado di giudizio e posti a base della decisione, riflettendosi detto rinvio anche in un vizio di motivazione (in termini di assenza, incongruità e/o illogicità della medesima) giacché la pronuncia gravata risultava, complessivamente, affetta da evidente contrasto con le risultanze testuali ricavabili dalle prove documentali, con riguardo in particolare alla pregressa attività di somministrazione di alimenti e bevande svolta prima dell’attività di pizzeria al taglio;
6) l’omesso e/o insufficiente esame, ai sensi dell’art. 360 n. 5 cpc, degli elementi probatori del primo grado di giudizio e posti a base della decisione, riflettendosi detto vizio anche in un vizio di motivazione (in termini di assenza, incongruità e/o illogicità della medesima) giacché la pronuncia risultava, complessivamente, affetta da evidente contrasto con le risultanze testuali ricavabili alle prove documentali, con riguardo alla percentuale di ricarico applicata sui prodotti;
7) l’omesso e/o insufficiente esame degli elementi probatori del primo grado di giudizio e posti a base della decisione, riflettendosi detto vizio anche in un vizio di motivazione (in termini di assenza, incongruità e/o illogicità della medesima) giacché la pronuncia gravata risultava, complessivamente, affetta da evidente contrasto con le risultanze testuali ricavabili dalle prove documentali, sempre ai sensi dell’art. 360 n. 5 cpc: con riguardo, in particolare, all’utilizzo dell’esatto quantitativo di mozzarella per ogni pizza che avrebbe condotto a determinare ricavi conformi a quelli dichiarati;
che i motivi riguardanti le dedotte violazioni di legge, essendo la presente causa soggetta all’ambito applicativo dell’art. 366 bis cpc, (introdotto dall’art. 6 D.lgs 2.2.2006 n. 40 e successivamente abrogato dall’art. 47 della legge 18.6.2009 n. 68) in quanto la gravata sentenza è stata depositata il 27.1.2009, sono inammissibili per la mancata formulazione dei relativi quesiti di diritto i quali non possono risolversi nella generica richiesta rivolta alla Corte di stabilire se sia stata o meno violata una certa norma, nemmeno nel caso in cui il ricorrente intenda dolersi dell’omessa applicazione di tale norma da parte del giudice di merito, dovendo invece gli stessi investire la “ratio decidendi” della sentenza impugnata, proponendone una alternativa e di segno opposto (cfr. tra le altre Cass. 19.2.2009 n. 4044);
che il ricorso per cassazione mancante dell’indicazione esplicita del quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cpc non può essere successivamente integrato con la formulazione nella memoria ex art. 380 bis cpc, ancorché non sia scaduto il termine per impugnare, ostandovi il principio della consumazione dell’impugnazione con la presentazione del primo ricorso (cfr. in termini Cass. Sez. Un. 10.9.2009 n. 19444);
che i motivi riguardanti i vizi di motivazione si risolvono, invece, sostanzialmente nella richiesta di riesame dell’accertamento operato in fatto dalla Commissione territoriale e, quindi, di rivisitazione nel merito della vicenda processuale, come noto non deferibile al giudice di legittimità, cui spetta la sola facoltà di controllo della correttezza giuridica e della coerenza logica e formale delle argomentazioni del giudice di merito, non equivalendo il sindacato di logicità del giudizio di fatto a revisione del ragionamento decisorio (Cass. 16.12.2011 n. 27197; Cass. 19.3.2009 n. 6694; Cass. 5.3.2007 n. 5066), nel caso di specie assolutamente corretto ed esente da vizi logico-giuridici;
che, pertanto, alla stregua di quanto sopra rilevato il Collegio ritiene che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; che alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che, in considerazione della data di notifica e di iscrizione a ruolo del ricorso per cassazione (anteriore al 31.1.2013), non si applica il disposto di cui all’art. 13 comma 1 quater DPR n. 115/2002 nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
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