CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 07 settembre 2018, n. 21824
Tributi – Imposte sui redditi – Operazioni di acquisto e successiva incorporazione societaria – Disavanzo di fusione iscritto in bilancio – Deducibilità
Fatti di causa
L’Agenzia delle Entrate notificava alla IW C. P. S.r.l. distinti avvisi di accertamento relativi ai periodi di imposta 1.12.1999-30/11/2000, 1.12.00-30.11.2001, 1.12.2001-30.11.2002, 1.12.02-30.11.2003, 1.12.2003-30.11.2004, 1.12.2004-30.11.2005, 1.12.2005-30.11.2006 ed alla IW Italy H. s.r.l., società consolidante del Gruppo IW, avviso di accertamento relativo al periodo d’imposta 2004-2005, tutti scaturenti dalla medesima verifica fiscale, conclusasi con la redazione del processo verbale di constatazione del 5.10.2005, con il quale si contestava:
a) la elusività, ai sensi dell’art. 37-bis del d.P.R. 600/73, delle operazioni di acquisto e di successiva incorporazione da parte di IW CP (all’epoca denominata N. L. F. S.r.l.) delle società E. s.r.l. e E. 2 s.r.l. e quindi la indeducibilità delle quote di ammortamento inerenti al disavanzo di fusione iscritto a bilancio nella voce “avviamento”;
b) la omessa contabilizzazione di royalties infragruppo conseguenti alla concessione in uso gratuito di marchi alla società capogruppo statunitense;
c) la indebita deduzione (per alcuni anni d’imposta) di spese di rappresentanza.
In particolare, i verificatori avevano accertato che nel 1998 il Gruppo IW (facente capo alla società statunitense IW I. T. W. Inc.) aveva acquistato, tramite la IW F. I. s.p.a., due società, la E. s.r.l. e la “E. 2 s.r.l.” e che nel 2000 la F. I. s.p.a. aveva trasferito la proprietà delle società acquistate ad altra società del Gruppo, la N. L. F. s.r.l. – che era stata costituita nel maggio 2007 ed era rimasta inattiva fino al 2000 – la quale, nello stesso anno, aveva incorporato le medesime società e, a seguito della fusione, aveva variato denominazione in “IW C. P. Italy s.r.l.”.
Nel processo verbale di constatazione si evidenziava che “la fusione era avvenuta con annullamento, senza sostituzione, di tutte le quote costituenti l’intero capitale delle società incorporate, in quanto la incorporante N. L. F. s.r.l., alla data di stipula dell’atto, controllava direttamente il 100% della E. s.r.l., la quale controllava direttamente il 100% della E. 2 s.r.l….”, e che la IW C. P. Italy s.r.l. (già N. L. F. s.r.l.), risultante dalla fusione, per effetto dell’annullamento del valore delle partecipazioni, aveva allocato il disavanzo di fusione, pari a complessive lire 41.335.220.840, alla voce “avviamento”, procedendo, ai fini fiscali, alla deduzione dell’importo dell’intero disavanzo di fusione in dieci quote costanti a titolo di ammortamento.
L’Ufficio, ritenendo insussistenti valide ragioni economiche a fondamento della scelta che aveva portato ad effettuare le operazioni di riorganizzazione societaria conclusesi con la fusione, contestava che l’operazione di riorganizzazione societaria realizzata era volta unicamente all’ottenimento di un vantaggio fiscale.
Con autonomi ricorsi gli avvisi venivano impugnati dinanzi alla Commissione tributaria provinciale, la quale, con distinte sentenze, li accoglieva relativamente ai rilievi concernenti il recupero a tassazione delle quote di ammortamento e dei componenti positivi di reddito derivanti dalla concessione in uso di marchi, respingendoli con riguardo alle spese di rappresentanza.
In esito agli appelli, la Agenzia delle Entrate ha proposto cinque distinti ricorsi per cassazione avverso le sentenze di secondo grado limitatamente alle statuizioni ad essa sfavorevoli.
Motivi della decisione
1. In via preliminare va disposta la riunione al ricorso iscritto al n. 22492/2011 R.G. di quelli recanti nn. 23116/2011 R.G., 23186/2011 R.G., 22321/14 R.G. e 2826/15 R.G., per evidente connessione oggettiva e soggettiva, trattandosi di ricorsi che – sebbene relativi a cinque diverse decisioni di merito – scaturiscono dalla medesima verifica fiscale e presuppongono, per quanto si dirà, l’applicazione dei medesimi principi di diritto in una medesima fattispecie impositiva.
2. Ricorso n. 22492/2011 R.G. La Agenzia delle Entrate propone quattro motivi per la cassazione della sentenza n. 40 del 29 marzo 2011 con la quale la Commissione tributaria regionale del Veneto, a conferma della decisione di primo grado, richiamando i principi enunciati da questa Corte con la sentenza n. 1372 del 21/1/2011, ha ritenuto illegittimi gli avvisi di accertamento relativi al periodo d’imposta 1/12/2003-30/11/2004 ed inapplicabili alla fattispecie in esame le disposizioni di cui all’art. 37-bis del d.P.R. 600/1973.
In particolare, i giudici di appello hanno motivato che non possa contestarsi alla società ricorrente una scelta imprenditoriale che, pur rispondendo a ragioni economiche reali, comporta un minor carico fiscale ed hanno ritenuto priva di riscontro probatorio la contestata cessione gratuita dei marchi e deducibili, quali spese di rappresentanza, i costi sostenuti per l’acquisto di orologi, telefonini e giubbotti destinati ai clienti della società.
Resiste la contribuente con controricorso, illustrato con memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
2.1. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate censura la sentenza impugnata per insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo, costituito dalla mancanza di valide ragioni economiche a fondamento della operazione di fusione, da cui è stato originato il disavanzo di fusione.
Lamenta che la operazione complessiva di fusione è stata ritenuta dai giudici di appello rispondente a “ragioni economiche reali”, sebbene il risultato conseguito abbia comportato una notevole riduzione del carico fiscale, e che le argomentazioni dei giudici regionali non tengono conto del contesto fattuale delineato dall’Amministrazione, né degli elementi su cui si fonda l’ipotesi elusiva descritta nell’atto impositivo.
Ritrascrivendo uno stralcio dell’avviso impugnato, l’Agenzia delle Entrate ha nuovamente ribadito che:
a) l’acquisto della partecipazione totalitaria nelle E. s.r.l. da parte della N. L. F. s.r.l. nel marzo 2000 non era supportata da valide esigenze economiche, atteso che al momento della compravendita la società acquirente era priva di mezzi finanziari per il sostenimento del costo di acquisto, tanto che l’acquisto della partecipazione aveva determinato la insorgenza di un rilevante debito per effetto del quale la società aveva dovuto sostenere i relativi interessi passivi;
b) l’acquisto della partecipazione non era necessario per l’ottenimento del nuovo assetto organizzativo del gruppo, in quanto il medesimo risultato si sarebbe potuto ottenere trasferendo la partecipazione totalitaria nella E. s.r.l. dalla IW Fastex Italia s.p.a. direttamente alla Cofiva s.r.l. (società che aveva incorporato la N. L. F. s.r.l.) e operando contemporaneamente o in un momento successivo la fusione tra E. s.r.l. ed E. 2 s.r.l.;
c) l’inclusione della N. L. F. s.r.l. nell’operazione di fusione tra le società E. s.r.l. ed E. 2 s.r.l. non era giustificata dalla necessità di ridurre il numero delle società esistenti nell’ambito del gruppo;
d) la N. L. F. s.r.l., essendo inattiva, avrebbe potuto essere posta in liquidazione;
e) la necessità di ridurre il numero delle società all’interno del gruppo, evidenziata nel verbale del consiglio di amministrazione della E. s.r.l. del 5/5/2000, contrastava con quanto avvenuto nello stesso anno, atteso che in data 18/10/2000 era stata costituita una nuova società, denominata IW Automotive Italia s.r.l., controllata al 100% dalla IW Italy H. s.r.l..
Ad avviso della ricorrente, pertanto, i giudici di appello hanno operato una ricostruzione dell’operazione che valorizza le esigenze di riduzione di costi e di recupero di efficienza fatte valere dalla contribuente, tralasciando di valutare circostanze molto più significative evidenziate nell’atto impositivo e richiamate con i motivi di appello, rendendo in tal modo una motivazione incompleta ed inadeguata.
2.2. Con il secondo motivo la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 6 del d.lgs. 358/97, applicabile ratione temporis, nella parte in cui i giudici di secondo grado hanno dato rilevanza alla circostanza che “i soci delle due società E. hanno corrisposto l’imposta sostitutiva sulle plusvalenze”, senza tenere conto che la contribuente non poteva beneficiare della previsione, dettata dal citato art. 6, di opponibilità ai fini fiscali dei maggiori valori iscritti in bilancio per effetto della imputazione del disavanzo derivante da fusione, essendo pacifico in causa che ad avvalersi del pagamento dell’imposta sostitutiva non era stata la contribuente IW CP, bensì gli originari soci della E. s.r.l. e la Fastex, ossia distinti soggetti.
2.3. Con il terzo motivo la ricorrente – deducendo omissione di pronuncia per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione al n. 4 dell’art. 360, primo comma, cod. proc. civ. – evidenzia che la C.T.R. non si è pronunciata sul motivo di gravame, formulato dall’Ufficio avverso la sentenza di primo grado, con il quale era stato dedotto che l’affrancamento del disavanzo di fusione previsto dal d.l. 358/97 non precludeva l’applicazione dell’art. 37-bis del d.P.R. 600/73.
2.4. Con il quarto motivo l’Agenzia delle Entrate deduce insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo con riferimento al secondo dei recuperi contestati con gli avvisi di accertamento.
Premettendo che all’esito della verifica fiscale l’Amministrazione aveva rilevato che la IW CP riconosceva mensilmente alla IW Italy H. s.r.l., controllante indiretta, royalties, ossia canoni per l’utilizzo di beni immateriali, sulla base di un contratto di sublicenza, avente decorrenza dal 1° febbraio 2001, denominato “sublicense agreement” (contratto di sublicenza) ed intercorrente tra la società verificata (sublicenziataria) e la IW Italy H. s.r.l. (concedente in sublicenza), concernente la concessione in uso di marchi di proprietà della stessa IW CP, sostiene che dai controlli effettuati è emerso che, in dipendenza di tale contratto, la sub-licenziataria ha concesso gratuitamente in licenza marchi di sua proprietà alla capogruppo statunitense Illinois Works, omettendo di rilevare componenti positivi di reddito, secondo quanto disposto dall’art. 110, comma 7, del tu.i.r., e di fatturare le prestazioni ritenute imponibili ai sensi dell’art. 3, comma 3, del d.P.R. 633/1972.
I giudici di merito, secondo la prospettazione della ricorrente, hanno erroneamente ritenuto la mancanza di prova della cessione dei marchi da parte della società contribuente, fondando il proprio convincimento esclusivamente sulla terminologia usata nel contratto di sub-licenza e sulla interpretazione del paragrafo 9.1. del medesimo contratto, con la conseguenza che la pronuncia sarebbe viziata da carente motivazione, poiché non avrebbe preso in esame l’aspetto centrale della questione di fatto, ossia la coincidenza, in capo ad uno stesso soggetto (ossia la contribuente), della qualità di titolare dei marchi e di avente diritto, a titolo oneroso, al loro utilizzo.
3. Ricorso n. 23116/2011 R.G. Con questo ricorso la Agenzia delle Entrate propone due motivi per la cassazione della sentenza n. 46 del 28 giugno 2010, con la quale la Commissione tributaria regionale del Veneto, ritenendo fondata l’eccezione di nullità dell’avviso di accertamento relativo all’anno d’imposta 1/12/1999-30/11/2000, sollevata dalla contribuente ai sensi dell’art. 37-bis, comma 5, del d.P.R. n. 600/73, ha respinto l’appello dell’Ufficio, dichiarando illegittimo l’avviso di accertamento.
La contribuente resiste con controricorso, illustrato con memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
3.1. Con il primo motivo di ricorso la Agenzia delle Entrate censura la sentenza impugnata, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione degli artt. 57, 24 e 32 del d.lgs. n. 546/92 e dell’art. 112 cod. proc. civ., per avere la C.T.R. annullato l’avviso di accertamento impugnato, ravvisando violazione del comma 5 dell’art. 37-bis del d.P.R. n. 600/73, secondo il quale “fermo restando quanto disposto dall’art. 42, l’avviso di accertamento deve essere specificamente motivato, a pena di nullità, in relazione alle giustificazioni fornite dal contribuente e le imposte o le maggiori imposte devono essere calcolate tenendo conto di quanto previsto al comma 2”.
Nel precisare che la controricorrente con il ricorso originario si è limitata a lamentare la emissione dell’avviso di accertamento prima del decorso del termine dilatorio di sessanta giorni che l’Amministrazione avrebbe dovuto attendere prima di adottare l’atto impositivo e che il vizio di difetto di motivazione dell’avviso di accertamento, che è requisito diverso da quello formale del rispetto del termine di emissione dell’avviso, è stato sollevato solo con la successiva memoria illustrativa, deduce che il giudice di appello ha violato la norma richiamata in rubrica, dando ingresso, nel giudizio di secondo grado, ad una eccezione non rilevabile d’ufficio, estranea ai motivi del ricorso originario.
3.2. Con il secondo motivo censura la sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione dell’art. 37-bis, comma 5, del d.P.R. n. 600/73, perché la C.T.R., decidendo sulla base di una interpretazione meramente formalistica della norma, ha ritenuto illegittimo l’avviso di accertamento impugnato senza verificare gli effetti prodotti dalla omessa motivazione e non tenendo conto peraltro del contenuto dei chiarimenti offerti dalla società contribuente, al fine di accertare se il diritto di difesa di quest’ultima avesse subito una lesione per effetto della omessa motivazione.
4. Ricorso n. 23186/2011 R.G. L’Agenzia delle Entrate propone un unico motivo per la cassazione della sentenza n. 47 del 28 giugno 2010, con la quale la Commissione tributaria regionale del Veneto, riformando la sentenza di primo grado, con riguardo agli avvisi di accertamento relativi ai periodi d’imposta compresi tra il 1/12/2000 ed il 30/11/2003 ai fini Irpeg, Irap ed Iva, accoglieva l’appello dell’Ufficio limitatamente ai rilievi riguardanti il recupero a tassazione delle quote di ammortamento e delle spese di rappresentanza, rigettandolo nel resto, e respingeva l’appello incidentale proposto dalla contribuente.
In particolare, i giudici di appello ritenevano che l’intervento della N. L. F. s.r.l. nell’operazione di fusione con il preventivo acquisto della partecipazione totalitaria in E. s.r.l. fosse volto ad aggirare la disposizione di cui all’art. 66, comma 1 ter, del t.u.i.r. (ora art. 101, comma 3) e che la dichiarata necessità di riduzione delle società del gruppo risultava smentita dalla creazione di una nuova società, la IW Automotive Italia s.r.l., e dal mantenimento in vita della N. L. F. s.r.l., dal momento che, essendo la IW CP sotto il controllo diretto e totale di Cofiva s.r.l., il nuovo assetto organizzativo si sarebbe potuto ottenere trasferendo le partecipazioni delle società E. s.r.l. alla Cofiva, totalmente partecipata da IW Italy H. s.r.l., e liquidando la N. L. F. s.r.l., che non era attiva ed operante.
Ritenevano, invece, infondato il secondo motivo di appello, concernente la omessa contabilizzazione di royalties ritenute derivanti da canoni per la concessione in uso dei marchi E., Formula E e Fix Generation, osservando che la tesi dell’Ufficio poggiava principalmente sulla interpretazione dell’art. 9.1. del contratto di sublicenza intercorso tra la IW CP e la subconcedente IW Italy H., di per sé non idonea, in assenza di altri elementi, a smentire l’affermazione della società, secondo cui i marchi della IW CP non erano stati mai ceduti; accoglievano, infine, il terzo motivo di appello, affermando che i costi dedotti dovevano essere considerati spese di rappresentanza.
La contribuente ha depositato controricorso ed ha proposto ricorso incidentale affidato a due motivi, illustrati con memoria ex art. 378 cod. proc.
4.1. Con l’unico motivo l’Agenzia delle Entrate deduce insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo con riguardo al secondo dei recuperi in contestazione, evidenziando che non si era limitata a fondare la pretesa impositiva sul contenuto letterale del contratto intercorso tra la IW CP e la IW Italy H. s.r.l., ma, prendendo le mosse dalla lettura dell’art. 9.1. del contratto, aveva posto a sostegno della propria tesi difensiva altre circostanze rilevanti, che non erano state esaminate dalla Commissione regionale.
Sostiene, in particolare, che aveva posto in evidenza: a) la eccessività dei canoni pattuiti (4,2% del fatturato), che era del tutto incongrua se si considerava che solo una scarsa percentuale delle vendite riguardava prodotti tutelati dai marchi o dai brevetti oggetto di “agreement” e che le royalties venivano corrisposte sulla base del fatturato complessivo e non erano commisurate alle vendite connesse con i diritti di proprietà industriale che formavano oggetto deH'”agreement” b) il contenuto dell’art. 9.2. del contratto, in forza del quale risultava che la contribuente non poteva “utilizzare marchi di fabbrica diversi dai Marchi di fabbrica concessi ai sensi del presente contratto, neppure i propri…”, mentre la IW CP faceva uso di tali marchi per circa il 50-60% del suo fatturato c) l’utilizzo, da parte della società collegata statunitense, di marchi di proprietà della contribuente.
4.2. Con il ricorso incidentale la IW C. P. Italy s.r.l. chiede la riforma della sentenza impugnata nella parte in cui i giudici di secondo grado hanno ritenuto che le operazioni finanziarie da essa poste in essere comportino l’aggiramento di obblighi o divieti previsti dall’ordinamento e censura la sentenza impugnata per falsa applicazione dell’art. 37-bis del d.P.R. 600/73 e dell’art. 66 comma 1 ter (ora art. 101, comma 3) del d.P.R. 917/86, nonché per violazione dell’art. 6 del d.lgs. 358/97, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc civ., deducendo che l’ottenimento della riduzione d’imposta non giustifica di per sé l’applicazione della clausola antielusiva, occorrendo a tal fine l’aggiramento di obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario e l’assenza di valide ragioni economiche e che l’operazione di fusione e la conseguente applicazione dell’art. 6 del d.lgs. 358/97 ai maggiori valori iscritti in bilancio non comportano, diversamente da quanto sostenuto dall’Agenzia delle Entrate, l’aggiramento del divieto di cui all’art. 66, comma 1-terdel d.P.R. 917/86.
Ha, in particolare, posto in rilievo che il ricorso, da parte del gruppo IW, allo schema della acquisizione mediante indebitamento con successiva fusione della società acquirente con la società acquisita ha consentito al gruppo di conseguire l’effetto tipico di questa operazione, ossia la collocazione del debito presso la società operativa, in modo da riconnettere la sua restituzione ed il pagamento dei relativi interessi direttamente ai flussi di cassa generati dall’attività acquisita; qualora la stessa acquisizione fosse stata compiuta da Cofiva s.r.l., come previsto nello schema assunto a modello dall’Ufficio, al fine di ottenere il medesimo risultato, quest’ultima avrebbe dovuto incorporare la società acquisita e comunque generare lo stesso disavanzo da annullamento derivato dalla fusione in contestazione; in altri termini, senza la incorporazione della società acquisita, il rimborso del debito e il pagamento dei relativi interessi avrebbe dovuto essere effettuato da Cofiva s.r.l. con risorse proprie, ovvero con dividendi eventualmente erogati dalla controllata.
4.3. Con il secondo motivo la contribuente denuncia insufficiente motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo ai fini del giudizio, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., per avere la C.T.R. recepito acriticamente la tesi dell’Ufficio senza fornire una minima indicazione delle ragioni per cui le deduzioni difensive da essa fatte valere non fossero meritevoli di apprezzamento.
Precisa, al riguardo, che nel corso del giudizio di merito aveva fornito ampie giustificazioni in merito alla operazione, segnalando come la cessione di E. s.r.l. ed E. 2 s.r.l. da parte di Fastex Italia s.p.a. fosse divenuta necessaria a seguito della riorganizzazione della struttura italiana e come il coinvolgimento di N. L. F. s.r.l. dovesse essere inquadrato nello schema utilizzato dal gruppo per la riorganizzazione, riconducibile nella ipotesi del “merger leverage buy-out”, di cui all’art. 2501 -bis cod. civ., che prevede la costituzione di una nuova società, destinata ad operare come società “veicolo” (ruolo rivestito dalla N. L. F. s.r.l.), la quale ottiene dal mercato finanziario i mezzi per l’acquisizione della società operativa, o società “target” (nel caso di specie E. s.r.l. ed E. 2 s.r.l.), dai cui flussi di utile sono attinte, previa fusione della società “veicolo” con la società “target”, le risorse per sostenere gli oneri connessi al finanziamento ed a rimborsare il relativo capitale.
5. Ricorso n. 22321/2014 R.G. L’Agenzia delle Entrate ricorre per cassazione, affidandosi a sei motivi, avverso la sentenza n. 256 depositata in data 11 febbraio 2014, con la quale la Commissione tributaria regionale del Veneto, accogliendo la eccezione di violazione dei commi 4 e 5 dell’art. 37- bis del d.P.R. 600/1973 fatta valere dalla contribuente, ha dichiarato la nullità degli avvisi di accertamento emessi per il recupero a tassazione di Ires e Irap relative all’anno d’imposta 2006 e per il recupero a tassazione di Irap relativa all’anno 2005, e, nel merito, ha confermato la sentenza impugnata, ribadendo che la scelta imprenditoriale operata dalla contribuente, rispondendo a reali ragioni economiche, non poteva ritenersi elusiva per il solo fatto che comportava un minor carico fiscale.
Resiste con controricorso la contribuente che ha depositato memoria illustrativa ex art. 378 cod. proc. civ.
5.1. Con il primo motivo la ricorrente censura la sentenza, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., per violazione o falsa applicazione dell’art. 37-bis, comma 4, del d.P.R, n. 600/73, deducendo che l’atto impugnato era stato preceduto dalla richiesta di chiarimenti, sia pure riferita alle annualità di imposta dal 2001 al 2005, e che dalla mancanza di preventivo contraddittorio con il contribuente non può farsi discendere la invalidità dell’accertamento fiscale, considerato che la sanzione di nullità prevista dalla norma richiamata in rubrica risulta superata dall’applicazione del principio della rilevabilità d’ufficio dell’abuso di diritto nell’ambito tributario.
5.2. Con il secondo motivo – deducendo violazione o falsa applicazione del comma 4 dell’art. 37-bis del d.P.R. 600/73 – ribadisce che la fattispecie elusiva contestata è unica, anche se i suoi effetti sono destinati ad incidere su diversi anni d’imposta, e che risulta pacifico che alla conclusione della verifica fiscale sono stati richiesti chiarimenti alla contribuente.
5.3. Con il terzo motivo, censurando la sentenza per violazione e falsa applicazione del comma 5 dell’art. 37-bis del d.P.R. n. 600/73, nella parte in cui la C.T.R. ha rilevato che “comunque nessuna motivazione è contenuta negli impugnati atti con riguardo alle osservazioni prospettate dalla società per gli altri anni”, sostiene che l’atto impositivo non è privo di motivazione e che, in ogni caso, l’eventuale assenza di motivazione non può comportare la nullità dell’atto, poiché per giungere a tale conclusione i giudici di appello avrebbero dovuto esaminare il contenuto dei chiarimenti forniti dalla contribuente e spiegare quali ulteriori profili la motivazione dell’avviso avrebbe dovuto affrontare, al fine di conformarsi alla prescrizione normativa.
5.4. Con il quarto motivo – deducendo, in relazione al n. 4 dell’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 26, comma 2, n. 4 del d.lgs. n. 546/92 – la ricorrente sostiene che i giudici di appello, senza tenere conto delle indicazioni inserite dall’Ufficio nell’atto impositivo, si sono limitati ad esprimere un giudizio di insufficienza della motivazione contenuta nell’avviso di accertamento, omettendo di esplicitare il ragionamento logicogiuridico che li aveva fatti pervenire a tale conclusione.
5.5. Con il quinto motivo censura la sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 37-bis del d.P.R. n. 600/73, sottolineando che il convolgimento della N. L. F. s.r.l. nella operazione di fusione era esclusivamente preordinata al conseguimento di un indebito vantaggio fiscale mediante la creazione di un doppio disavanzo per complessivi euro 21.131.840,09, in alternativa all’unico e modesto disavanzo che si sarebbe realizzato qualora, anziché far intervenire la N. L. F. s.r.l. nella ristrutturazione aziendale, si fosse dato luogo alla fusione tra E. s.r.l. ed E. 2 s.r.l., previo trasferimento della quota del 40% della E. 2 s.r.l., detenuta dalla IW Fastex Italia s.p.a., ad E. s.r.l. ed al conseguente trasferimento da parte di IW Fastex Italia s.p.a. della partecipazione totalitaria in E. s.r.l. a Cofiva s.r.l.
5.6. Con il sesto motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 6 del d.lgs. n. 358/1997, nella formulazione applicabile ratione temporis, nella parte in cui la sentenza impugnata valorizza la circostanza che “i soci delle due E. hanno comunque corrisposto l’imposta sostitutiva sulle plusvalenze”, poiché, vertendosi in tema di redditi imputabili a società, l’assoggettamento ad imposta sostitutiva deve riguardare i medesimi soggetti che hanno iscritto in bilancio i maggiori valori cui la previsione si riferisce, mentre nel caso in esame risultava pacifico che ad avvalersi del pagamento dell’imposta sostitutiva non era stata la società contribuente, ma gli originari soci della E. s.r.l. e di Fastex Italia s.p.a., ossia soggetti diversi.
6. Ricorso n. 2826/2015 R.G. L’Agenzia delle Entrate ricorre, con quattro motivi, per la cassazione della sentenza n. 1283 depositata il 6 novembre 2014, con la quale la Commissione tributaria regionale del Piemonte, a fronte della eccezione sollevata dall’Ufficio, secondo cui in assenza di impugnazione si era ormai formato giudicato in merito all’avviso di accertamento cd. “di primo livello”, che era stato notificato alla consolidante IW Italy H. s.r.l. ed alla consolidata IW C. P. s.r.l., ha rigettato l’appello dell’Agenzia delle Entrate, affermando la illegittimità degli avvisi di accertamento notificati, con i quali si rettificava il reddito complessivo relativo al periodo d’imposta 1/12/2004- 30/11/2005, con conseguente maggior imponibile ai fini Ires.
In particolare, i giudici di secondo grado, dopo avere sottolineato che l’avviso di accertamento in capo alla “consolidata” (cd. “di primo livello”) si limitava a determinare la maggiore imposta “teorica” Ires a carico della singola partecipata ai fini della quantificazione della imposta complessiva del consolidato fiscale, che veniva poi effettivamente liquidata solo a mezzo dell’avviso di accertamento in capo alla società consolidante (cd. “di secondo
livello”), osservava che la consolidante e la consolidata erano litisconsorti necessari, sicché i procedimenti concernenti gli avvisi di accertamento dovevano essere giudicati congiuntamente, e rilevava altresì che la C.T.R. del Veneto, sui medesimi fatti ed in relazione al medesimo periodo d’imposta, aveva emesso la sentenza n. 256/29/14, favorevole alla contribuente ai fini dell’Irap ed ormai passata in giudicato, sicché siffatto giudicato spiegava efficacia vincolante anche in relazione all’Ires, senza che potesse assumere valenza preclusiva la omessa impugnazione dell’accertamento cd. “di primo livello”.
Affrontando il merito della controversia, affermavano che nella fattispecie in esame la riorganizzazione del gruppo IW trovava giustificazione nella esigenza di accorpare le unità produttive aventi caratteristiche analoghe e di ridurre i costi, per cui la obiezione sollevata dall’Ufficio, secondo cui lo stesso risultato si sarebbe potuto raggiungere mediante operazioni diverse, appariva in contrasto con l’orientamento della Corte di Cassazione, che aveva sancito il principio per il quale “l’esercizio di libertà e di diritti fondamentali riconosciuti dalla Costituzione non poteva essere limitato per ragioni fiscali” e che, in ogni caso, le plusvalenze generate dalle operazioni poste in essere erano state sottoposte a tassazione, sia da parte delle società coinvolte sia a carico dei cedenti le società acquistate.
Le contribuenti IW Italy H. s.r.l. e IW C. P. Italy s.r.l. resistono mediante controricorso e propongono ricorso incidentale condizionato, affidato a due motivi, illustrati con memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
6.1. Con il primo motivo del ricorso principale l’Agenzia dell’Entrate censura la sentenza impugnata, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione degli artt. 324 cod. proc. civ. e 38, comma 2, d.lgs. n. 546/92.
La ricorrente, nel rilevare che i giudici di appello hanno affermato che la sentenza n. 256/29/14, pronunciata dalla C.T.R. del Veneto nei confronti della IW C. P. Italy s.r.l. e della IW Italy H. s.r.l., è ormai passata in giudicato, sostiene in primo luogo che dalla documentazione prodotta dalla contribuente, al fine di attestare il passaggio in giudicato, non è dato evincere con sicurezza che il documento contenuto nella lettera raccomandata spedita dal difensore fosse effettivamente la sentenza in questione e, in secondo luogo, che le modalità della notifica non sono idonee a far decorrere il termine breve, poiché, pur avendo il difensore della contribuente notificato a mezzo posta la sentenza, manca la relazione di notificazione, che è pur sempre richiesta, come si evince dall’art. 16 del decreto legge n. 40/2010.
6.2. Con il secondo motivo l’Agenzia delle Entrate insorge verso la sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione degli artt. 2909 cod. civ. e 21 del d.lgs. n. 546/1992, sostenendo che la sentenza n. 256/29/14 della C.T.R. del Veneto si è pronunciata sull’avviso di accertamento relativo all’Irap del 2005 della consolidata IW C. P. Italy s.r.l. e sull’avviso di accertamento relativo all’Ires del 2006, mentre nel presente giudizio è in contestazione l’Ires relativa all’anno 2005.
Ad avviso della ricorrente, il “giudicato” formatosi sull’avviso di accertamento cd. “di primo livello”, emesso nei confronti della consolidata e notificato anche alla società consolidante, per effetto della mancata impugnazione, determina acquiescenza rispetto alla pretesa impositiva e preclude la impugnazione dell’accertamento cd. “di secondo livello”, di cui il primo costituisce presupposto imprescindibile.
6.3. Con il terzo ed il quarto motivo censura la sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione dell’art. 37-bis del d.P.R. 600/73 e degli artt. 1 e 6 del d.lgs. n. 358/97, sottolineando che la C.T.R. ha omesso di valutare le ragioni che avevano indotto il gruppo societario a coinvolgere nell’operazione anche la società non operativa N. L. F. s.r.l., limitandosi a dare rilevanza alla circostanza che i cedenti delle operazioni avevano corrisposto l’imposta sulle plusvalenze.
6.4. Con il primo motivo del ricorso incidentale le controricorrenti deducono violazione o falsa applicazione degli artt. 2909 cod. civ., 324 cod. proc. civ. e 57 d.lgs. n. 546/92, per avere i giudici di appello esaminato la eccezione di “giudicato” sollevata dall’Ufficio, fondata sulla mancata impugnazione dell’avviso di accertamento di cd. “primo livello”, pur trattandosi di eccezione nuova, tardivamente introdotta in appello, e come tale inammissibile.
6.5. Con il secondo motivo del ricorso incidentale le controricorrenti, ribadendo che nell’impugnare gli atti impositivi avevano anche contestato le sanzioni irrogate, evidenziano che i giudici di appello, avendo annullato la rettifica del reddito di gruppo operata con l’avviso di accertamento, non si sono espressi in relazione alla applicazione delle sanzioni, e chiedono, in caso di accoglimento del ricorso principale, che la questione sia rinviata per l’esame al giudice di merito.
7. Va, preliminarmente, rigettato, nel ricorso n. 2826/15 R.G., il primo motivo del ricorso principale e va accolta, nel ricorso n. 22321/2014 R.G., la eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione, sollevata dalla IW C. P. Italy s.r.l., per tardività della notifica del ricorso per cassazione, intervenuta dopo il decorso del termine di sessanta giorni dalla notifica della sentenza oggetto di impugnazione.
7.1. Dalla copia della sentenza n. 256 del 2014, pronunciata dalla C.T.R. del Veneto tra le parti, oggetto di impugnazione con il ricorso n. 22321/14 R.G., risulta che questa è stata legittimamente spedita all’Agenzia delle Entrate presso la sede di Padova (Cass. n. 8507 del 2010) in data 14.3.2014, come emerge dalla data del timbro postale ivi apposto, con le modalità indicate nell’art. 38 del d.lgs. n. 546/1992, come modificato dal d.l. n. 40/2010.
Alla copia della sentenza d’appello, inserita nel fascicolo della controricorrente, è allegato l’avviso di ricevimento recante la data di consegna del plico alla controparte del 18 marzo 2014.
7.2. Nell’iniziale formulazione del citato art. 38, per la decorrenza del termine breve d’impugnazione, la sentenza d’appello doveva essere necessariamente notificata con l’intermediazione dell’ufficiale giudiziario nei modi previsti dagli artt. 137 e seguenti del cod. proc. civ.; per effetto del d.l. n. 40/10, art. 3, comma 1, lett. a), il legislatore, intervenendo sull’art. 38 citato, ha sostituito il rinvio agli artt. 137 e ss. cod. proc. civ. con il rinvio all’art. 16 del d.lgs. n. 546/92.
A partire dall’entrata in vigore della nuova disposizione (26 marzo 2010), sono idonee a far decorrere il termine breve di cui all’art. 51 d.lgs. n. 546/92 la consegna della sentenza direttamente all’ufficio finanziario o all’ente locale ovvero la spedizione di essa, a cura della parte o del suo procuratore, effettuata mediante il servizio postale, in plico raccomandato, senza busta e con avviso di ricevimento.
Si è in tal modo voluto semplificare la modalità di notificazione al fine di agevolare sia il Fisco sia il contribuente, analogamente a quanto avviene per il ricorso introduttivo.
7.3. Nel caso di specie la notifica della sentenza di secondo grado è avvenuta a mezzo servizio postale ed agli atti del fascicolo d’ufficio risulta depositata sia la lettera raccomandata recante il timbro postale attestante la data di spedizione sia l’avviso di ricevimento sul quale risulta parimenti apposto il timbro di spedizione ed il timbro attestante la ricezione del plico da parte dell’Agenzia delle Entrate; ne consegue che la notificazione della sentenza d’appello n. 256/29/14, avvenuta in data 18.3.14, risulta rituale.
7.4. L’Agenzia delle Entrate ha notificato il ricorso per cassazione solo in data 26.9.2014, e, quindi, oltre il termine di sessanta giorni dalla notificazione della sentenza, previsto dall’art. 325, secondo comma, cod. proc. civ. e, dunque, quando era ormai decaduta dal potere di impugnare.
La sentenza è dunque passata in giudicato ed il ricorso per cassazione, in quanto tardivamente notificato, va dichiarato inammissibile.
La inammissibilità del ricorso preclude l’esame delle censure formulate dalla Agenzia delle Entrate con il ricorso iscritto al n. 22321/14 R.G..
8. Ciò posto, con le memorie ex art. 378 cod. proc. civ. la IW C. P. Italy s.r.l., ribadendo che la sentenza n. 256 del 2014 resa tra le parti dalla C.T.R. del Veneto è ormai divenuta definitiva, ha eccepito che il giudicato preclude l’esame nel merito della natura elusiva o meno dell’acquisto e della successiva incorporazione, da parte di IW CP (all’epoca N. L. F. s.r.l.), di E. s.r.l. ed E. 2 s.r.l., e quindi della deducibilità o meno delle quote di ammortamento dell’avviamento iscritto in bilancio da IW CP per effetto di detta incorporazione.
8.1. Si ripropone, dunque, in questa sede la questione dei limiti in cui è configurabile nel processo tributario l’istituto del giudicato esterno e la sua efficacia espansiva.
Secondo i principi enunciati dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 13916 del 2006, << qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo >>; e << tale principio non trova deroga in caso di situazioni giuridiche di durata, giacché anche in tal caso l’oggetto del giudicato è un unico rapporto e non gli effetti verificatisi nel corso del suo svolgimento, e conseguentemente neppure il riferimento al principio dell’autonomia dei periodi di imposta può consentire un’ulteriore disamina tra le medesime parti della qualificazione giuridica del rapporto stesso contenuta in una decisione della commissione tributaria passata in giudicato >>.
Le Sezioni Unite hanno pure precisato che:
a) il processo tributario non è giudizio sull’atto (da annullare), ma ha, invece, ad oggetto la tutela di un diritto soggettivo del contribuente ed è quindi un giudizio che inevitabilmente si estende al merito e, dunque, all’accertamento del rapporto;
b) si deve pertanto escludere che il giudicato esaurisca i propri effetti nel limitato perimetro del giudizio in esito al quale si è formato e deve ammettersi la sua potenziale capacità espansiva in altro giudizio tra le stesse parti, secondo regole non dissimili – nei limiti della << specificità tributaria>> – da quelle che disciplinano l’efficacia del giudicato esterno nel processo civile;
c) anche se l’autonomia dei periodi d’imposta comporta l’indifferenza della fattispecie costitutiva dell’obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori del periodo considerato, siffatta indifferenza può trovare giustificazione solo in relazione ai quei fatti che non abbiano caratteristiche di durata e che sono variabili da periodo a periodo, essendo ben possibile che vi siano elementi costitutivi della fattispecie a carattere tendenzialmente permanente, che entrano a comporre la fattispecie medesima per una pluralità di periodi di imposta;
d) va, quindi, escluso che il giudicato relativo ad un singolo periodo di imposta sia idoneo a “fare stato” per i successivi periodi in via generalizzata ed aspecifica, bensì solo in relazione a quelle statuizioni che siano relative a qualificazioni giuridiche o ad altri eventuali elementi preliminari rispetto ai quali possa dirsi sussistere un interesse protetto avente il carattere della durevolezza nel tempo.
8.2. In applicazione dei suddetti principi, questa Corte, pur avendo pacificamente escluso la configurabilità del giudicato esterno in relazione a controversie relative a rapporti giuridici diversi e relative ad imposte diverse (Cass. n. 5943 del 14/3/2007; n. 235 del 9/1/2014), con pronunce successive a quella delle Sezioni Unite ha ribadito che il giudicato si forma sul rapporto d’imposta, come configurato dalla pretesa fatta valere dall’Amministrazione con l’atto impositivo, nonché sull’applicazione ed interpretazione di una norma in relazione ad una specifica fattispecie accertata dal giudice, e non sull’affermazione di un principio astratto avulso da un caso concreto.
Si è quindi puntualizzato che << l’effetto vincolante del giudicato esterno, in relazione alle imposte periodiche (quali le imposte sui redditi, Iva, vari tributi locali), è limitato ai soli casi in cui vengano in esame fatti aventi, per legge, efficacia permanente o pluriennale, fatti, cioè, che, pur essendo unici, producono, per previsione legislativa, effetti per un arco di tempo che comprende più periodi di imposta ed in cui l’elemento della pluriennalità, come affermato dalle Sezioni Unite nella citata sentenza, costituisce un elemento caratterizzante della fattispecie normativa, che unifica più annualità in una sorta di “maxiperiodo”: gli esempi tipici sono quelli delle esenzioni o agevolazioni pluriennali o della “spalmatura” in più anni dell’ammortamento di un bene o, in generale, della deducibilità di una spesa ; al di fuori di queste ipotesi, va esclusa l’efficacia estensiva del giudicato e ciò anche per quelle fattispecie che le Sezioni Unite definiscono “tendenzialmente” permanenti, ma che, proprio per essere tali, ben possono variare di anno in anno e delle quali, quindi, per ciascun anno va accertata la persistenza…>> (Cass. 4832 del 11/3/2015).
8.3. Venendo al caso di specie, deve ritenersi che il passaggio in giudicato della sentenza n. 256/29/14, pronunciata dalla Commissione regionale del Veneto tra le stesse parti, che ha ritenuto sorretta da valide ragioni economiche la operazione di riorganizzazione del gruppo IW, spieghi effetti preclusivi e vincolanti anche nei giudizi relativi agli accertamenti emessi per gli altri anni di imposta.
Infatti, l’accertamento negativo, compiuto dai giudici di appello con riferimento all’annualità 2005-2006, circa l’applicabilità dell’art. 37-bis del d.P.R. 600/73 alla complessa operazione di fusione posta in essere dalla IW C. P. Italy s.r.l., da cui è scaturito il disavanzo di fusione disconosciuto dall’Amministrazione con gli atti impositivi impugnati, impone di escludere la natura elusiva dell’operazione anche per gli altri anni d’imposta, ivi compresi quelli tra questi periodi nei quali è stato applicato il regime del consolidato fiscale, in conseguenza della “spalmatura” in dieci annualità delle quote di ammortamento inerenti l’avviamento iscritto in bilancio; a tale conclusione si deve pervenire in quanto tutti gli atti impositivi oggetto di impugnazione sono stati emessi sulla base del medesimo presupposto, costituito proprio dalla natura elusiva delle operazioni di cessione delle società E. s.r.l. e E. 2 s.r.l. e della successiva fusione.
9. La fondatezza della eccezione di giudicato impone il rigetto del primo, del secondo e del terzo motivo del ricorso n. 22492/11 R.G., il rigetto del ricorso n. 23116/11 R.G., il rigetto del ricorso principale proposto dalla Agenzia delle Entrate con il ricorso n. 2826/15 R.G., nonché l’accoglimento del ricorso incidentale proposto dalla contribuente nel giudizio n. 23186/11 R.G., vertendo le censure fatte valere con detti mezzi di ricorso sulla questione della natura elusiva dell’operazione di riorganizzazione del gruppo societario e sulla deducibilità o meno delle quote di ammortamento derivanti dal disavanzo di fusione.
La infondatezza dei motivi di ricorso dedotti dalla Agenzia delle Entrate con il ricorso n. 2826/15 R.G. comporta l’assorbimento del ricorso incidentale proposto dalle contribuenti nell’ambito del medesimo ricorso.
10. Relativamente al rilievo concernente la omessa contabilizzazione, da parte della IW C. Italy s.r.l., di royalties con riferimento alla contestata concessione gratuita del diritto all’uso di alcuni marchi – questione non coperta dal giudicato formatosi sulla sentenza n. 256 del 2014 della C.T.R. del Veneto – meritano accoglimento il quarto motivo del ricorso n. 22492/11 R.G. e, quanto al ricorso n. 23186/11 R.G., il ricorso principale della Agenzia delle Entrate.
10.1. Con la sentenza oggetto di impugnazione con il ricorso n. 22492/11 R.G. la C.T.R. si è limitata ad affermare, con motivazione estremamente sintetica ed inidonea ad esplicitare il percorso logico-giuridico posto a fondamento della decisione, che la cessione gratuita dei marchi è rimasta priva di riscontro probatorio, dato che risulta sostenuta da << una semplice presunzione, mancante dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, fondata sulla lettura dell’art. 9.1 del contratto di sub-licenza fra la verificata e la sub concedente IW Italy H. ove si usa il termine sub licenza anziché quello di licenza >>.
10.2. Con la sentenza n. 47 del 28 giugno 2010, impugnata con il ricorso iscritto al n. 23186/2011 R.G., la C.T.R. si è limitata ad osservare che la tesi difensiva prospettata dall’Amministrazione si fonda principalmente sul tenore letterale dell’art. 9.1. del contratto di sublicenza intercorso tra la IW CP e la IW Italy H., << ove si legge che “il sublicenziatario riconosce che i marchi di fabbrica sono marchi di fabbrica appropriati e validi e sono di proprietà esclusiva del Concessore di licenza e concessi in sublicenza al Concessore di sublicenza >>, in forza del quale l’Ufficio ha dedotto che se il Concessore di licenza e proprietario dei marchi fosse stata la Illinois Tool Works Ine. si sarebbe dovuto leggere “…e concessi in licenza…” da quest’ultima (e non in sublicenza) al concessore di sublicenza, e che tale circostanza costituisce mero indizio, non supportato da altri validi elementi e, come tale, non << in grado di assurgere a rango di prova>> e, quindi, di smentire l’affermazione della società, secondo cui i marchi E., Formula E e Fix Generation non sono stati mai oggetto di cessione e sono, anzi, dalla stessa utilizzati in via esclusiva.
10.3. La C.T.R. in entrambe le decisioni ha, quindi, escluso il recupero a tassazione sulla scorta del mero richiamo all’art. 9.1 del contratto di sublicenza, ma non ha svolto un più compiuta valutazione di tutti gli elementi evidenziati dall’Agenzia delle Entrate ed emersi nel corso del giudizio di merito al fine di verificare se i canoni corrisposti si riferissero a marchi di proprietà della IW PC e, quindi, se effettivamente tra la contribuente e la controllante statunitense fosse intercorsa una cessione non dichiarata, con conseguente sottrazione a tassazione di componenti positivi di reddito.
Sussiste, pertanto, il dedotto vizio di motivazione.
10.4. Le sentenze impugnate vanno, pertanto, cassate in relazione ai motivi accolti e le cause vanno rinviate alla Commissione regionale del Veneto, in diversa composizione, per il riesame in relazione ai motivi dei ricorsi accolti, oltre che per la liquidazione delle spese dei giudizi di legittimità.
P.Q.M.
Riuniti al presente ricorso i ricorsi iscritti ai nn. 23116/11 R.G., 23186/11 R.G., 22321/14 R.G. e 2826/15 R.G., rigetta il primo, il secondo ed il terzo motivo ed accoglie il quarto motivo del ricorso n. 22492/11 R.G.; rigetta il ricorso n. 23116/11 R.G.; quanto al ricorso iscritto al n. 23186/11 R.G., accoglie il ricorso principale dell’Agenzia delle Entrate ed il ricorso incidentale; dichiara inammissibile il ricorso iscritto al n. 22321/14 R.G.; quanto al ricorso iscritto al n. 2826/15 R.G., rigetta il ricorso principale proposto dalla Agenzia delle Entrate e dichiara assorbito il ricorso incidentale; cassa le sentenze impugnate in relazione ai motivi dei ricorsi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Veneto, in diversa composizione, in relazione ai motivi dei ricorsi accolti, oltre che per la liquidazione delle spese dei giudizi di legittimità.
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