CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 ottobre 2018, n. 27732
Tributi – Accertamento – Accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività – Mancato rispetto del termine dilatorio per l’emissione dell’avviso di accertamento – Nullità dell’atto impositivo
Ritenuto che
L’Agenzia delle Entrate ricorre per la cassazione della sentenza della CTR dell’Emilia Romagna, n. 1419/1/2017 dep. 28.4.2017, che in controversia su impugnazione di avviso di accertamento per Irpef, Iva, Irap, anno 2005, per maggior reddito da lavoro autonomo accertato nei confronti di P.S. (geometra), a seguito di accesso, controlli generali e incontri con il contribuente, ha accolto l’appello del contribuente, ritenendo sussistente la dedotta violazione dell’art. 12 L. 212/2000, trattandosi di accertamento notificato prima del decorso dei sessanta giorni dalla chiusura delle operazioni di verifica, in assenza di specifiche ragioni di urgenza.
Il contribuente si costituisce con controricorso e deposita memoria.
Considerato che
1. Vanno preliminarmente esaminate le eccezioni pregiudiziali del contribuente, che sono infondate, con riferimento: a) all’assenza di uno specifico incarico all’Avvocatura di stato da parte dell’Agenzia delle entrate, in quanto, sebbene l’Avvocatura dello Stato, per proporre ricorso per cassazione in rappresentanza dell’Agenzia delle entrate, deve avere ricevuto da quest’ultima il relativo incarico, di esso non deve fare specifica menzione (Cass. n. 22434/2016; n. 14785/2011); b) alla mancata allegazione della copia autentica della sentenza impugnata, presente in atti; c) al processo verbale di constatazione, anch’esso presente in atti a conclusione dell’accesso presso i locali del contribuente, datato 7 luglio 2009, e da questi firmato.
2. Con l’unico motivo del ricorso si deduce violazione dell’art. 12 comma 7 I. 212/2000, riferendosi l’accertamento impugnato ad attività di controllo interno o d’ufficio meramente funzionali all’acquisizione di documenti, e risultando l’avviso tempestivo in ordine all’unico accesso volto all’acquisizione della documentazione contabile.
Il motivo è fondato.
Va premesso che la L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, dispone, al comma 7, che: “Nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza”. Le SS.UU. n. 18184 del 29.7.2013, seguite da numerose sentenze delle sezioni semplici (n. 16336 del 2014, n. 22786 del 2015), hanno statuito che la norma citata deve essere interpretata nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso “ante tempus”. La sanzione di invalidità dell’atto tributario, in quanto emanato in difformità dal modello legale ed inficiato da vizio di legittimità “di particolare gravità, in considerazione della funzione, di diretta derivazione da principi costituzionali, cui la norma stessa assolve”, viene individuata nella duplice esigenza di garanzia del contribuente (posto in grado di partecipare al procedimento formulando le proprie osservazioni e gli opportuni chiarimenti) e di efficienza dell’azione amministrativa (impedendo alla PA di formulare, inutilmente, rilievi e pretese che attraverso la mera collaborazione del contribuente vengono a risultare del tutto infondati).
Quanto alla ratio della norma citata, le S.U. (n. 24823/2015) hanno confermato che il detto termine dilatorio tende a tutelare il contraddittorio a fronte degli elementi raccolti in sede di accesso, con ciò direttamente correlando al principio del contraddittorio la previsione del termine, che trova la sua giustificazione nella possibilità di interlocuzione fra il Fisco e il contribuente, al fine di consentire a quest’ultimo di opporre le sue ragioni e produrre documentazione per evitare l’emissione dell’atto accertativo e/o diminuire la eventuale pretesa tributaria.
Tale interesse non può ritenersi sussistente nell’ipotesi, come quella in esame, nella quale l’Ufficio, dopo l’accesso presso i locali del contribuente, conclusosi – in data 7 luglio 2009 – con la redazione del pvc, firmato da quest’ultimo, aveva proceduto ad ulteriori verifiche sulla base di una istruttoria interna, quale aggiuntiva ed autonoma attività rispetto all’accesso. Non assumono quindi rilevanza, ai fini della tutela del contribuente approntata dall’art. 12 comma
7 I. 212/2000, le successive attività svoltesi presso l’Ufficio e presso terzi (come le indagini finanziarie, sulle quali sono state chieste giustificazioni al contribuente, che le ha fornite).
La sentenza impugnata va conseguentemente cassata, risultando in contrasto con i suindicati principi, con rinvio alla CTR dell’Emilia Romagna, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla CTR dell’Emilia Romagna, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.
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