CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 08 novembre 2018, n. 28593
Lavoro – Trasferimento del ramo di azienda – Difetto del requisito di preesistenza ex art. 2112 cc – Prova
Fatti di causa
Con sentenza 31 ottobre 2014, la Corte d’appello di Napoli rigettava gli appelli proposti da T.I. s.p.a., E.S. s.p.a. e T. s.p.a. avverso la sentenza di primo grado, che aveva dichiarato la nullità della cessione del contratto di lavoro di R.D. dalla prima alla seconda e da questa alla terza società, nell’ambito del trasferimento del ramo di azienda “F.M.” (tra le prime due) e quindi “Centro Servizi D.M.” (tra la seconda e la terza), nonchè la prosecuzione del rapporto di lavoro tra il lavoratore e T.I. s.p.a.
A motivo della decisione, la Corte territoriale riteneva illegittimo il suddetto trasferimento del ramo d’azienda, in difetto del requisito di preesistenza, a norma dell’art. 2112 c.c. anche nel testo modificato dall’art. 32 dlg. 276/2003, applicabile ratione temporis, di un’articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata: risultando piuttosto, sulla base delle scrutinante risultanze istruttorie, una esternalizzazione di servizi risoltasi in una mera parcellizzazione di attività dell’originaria cedente, in assenza di alcuna effettiva consistenza aziendale, per qualità delle attività (gestione di corrispondenza in entrata e in uscita e della sua distribuzione, nonché degli archivi cartacei e del parco macchine fotocopiatrici) e per omessa documentazione delle relative dotazioni strumentali e di personale addetto.
Con distinti atti notificati in pari data 23 aprile 2015, T.I. s.p.a. ed E.S. s.p.a. ricorrevano per cassazione con unico motivo, cui resisteva il lavoratore con distinti controricorsi; non svolgeva invece difese l’intimata T. s.p.a.
Ragioni della decisione
1. Con unico motivo, ognuna delle due ricorrenti deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2112 c.c., 41 Cost., per un’erronea interpretazione della nozione di “preesistenza”, nell’irrilevanza della costituzione del ramo d’azienda ad hoc, non necessariamente indipendente da ogni prospettiva di cessione, pertanto additiva dell’art. 2112 c.c.; pure con la confusione dei due distinti piani dell’autonomia funzionale (consistente nella mera idoneità del ramo alla produzione di un servizio o di un bene) e dell’eterogeneità delle funzioni svolte in esso, senza necessità di specializzazione professionale dei lavoratori addetti nell’ipotesi di esiguità dei beni materiali.
2. Il motivo è infondato.
2.1. La Corte territoriale ha correttamente applicato i consolidati principi di diritto in materia di trasferimento di ramo d’azienda, a norma dell’art. 2112 c.c., anche nel testo modificato dall’art. 32 del d.lgs. n. 276 del 2003 applicabile ratione temporis, secondo cui ne costituisce elemento costitutivo l’autonomia funzionale, ovvero la sua capacità, già al momento dello scorporo dal complesso cedente, di provvedere ad uno scopo produttivo con i propri mezzi funzionali ed organizzativi: e quindi di svolgere, senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario, il servizio o la funzione finalizzati nell’ambito dell’impresa cedente. E ciò, anche secondo la sentenza della Corte di Giustizia del 6 marzo 2014, in C- 458/12 (richiamata in particolare da: Cass. 28 settembre 2015, n. 19141 per avere, a fini di applicazione della direttiva 2001/23/CE del 12 marzo 2001, ribadito la necessità di una sufficiente autonomia funzionale, anteriormente al trasferimento, della quota d’impresa ceduta; ferma restando la possibilità, in forza dell’art. 1, par. 1, lett. a, b della citata direttiva, per la normativa nazionale di estensione dell’obbligo di mantenimento dei diritti dei lavoratori trasferiti pure nell’ipotesi di non preesistenza del ramo d’azienda), presuppone una preesistente entità produttiva funzionalmente autonoma (Cass. 15 aprile 2014, n. 8757; Cass. 27 maggio 2016, n. 11069; Cass. 31 maggio 2016, n. 11247; Cass. 31 luglio 2017, n. 19034; Cass. 29 novembre 2017, n. 28508).
2.2. Ed è peraltro noto come un ramo d’azienda ben possa essere individuato, quando non occorrano particolari mezzi patrimoniali per l’esercizio dell’attività economica, anche da un complesso stabile organizzato di persone, addirittura in via esclusiva allorquando siano dotate di particolari competenze e stabilmente coordinate ed organizzate tra loro, così da rendere le loro attività interagenti e idonee a tradursi in beni e servizi ben individuabili (Cass. 6 aprile 2016, n. 6693, con richiamo di precedenti di legittimità e della Corte di Giustizia UE in motivazione). Occorre poi ribadire che l’eterogeneità dei servizi svolti dal ramo, rivendicata come non ostativa alla possibilità per una struttura di svolgere una funzione imprenditoriale, sia da ricondurre ai consolidati principi su enunciati di corretta individuazione del ramo d’azienda trasferibile (richiamati, proprio in riferimento puntuale al caso in esame, tra le altre da: Cass. 28 aprile 2014, n. 9361; Cass. 15 dicembre 2015, n. 25229).
2.3. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha accertato in fatto la carenza di prova dell’esistenza di un ramo d’azienda, in esito a puntuale scrutinio degli elementi allegati e acquisiti dalle risultanze istruttorie. E ciò ha congruamente argomentato con piena adeguatezza sotto il profilo logico – giuridico (per le ragioni esposte dal quarto capoverso di pg. 5 al primo periodo di pg. 6 della sentenza), sicchè è insindacabile nel giudizio di legittimità, preclusivo di una revisione del giudizio di merito e di una nuova pronuncia sul fatto, siccome estranee alla sua natura e finalità (Cass. 26 marzo 2010, n. 7394); tanto meno in una prospettiva di ricostruzione dei fatti operata dalla parte in contrapposizione a quella del giudice di merito, incensurabile dal giudice di legittimità, al quale solo pertiene la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni del giudice di merito, non equivalendo il sindacato di logicità del giudizio di fatto a revisione del ragionamento decisorio (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694; Cass. 5 ottobre 2006, n. 21412).
2.4. Un tale sindacato è tanto più precluso dal novellato art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., applicabile ratione temporis, in difetto di deduzione di omesso esame di un fatto, invero scrutinato, ma della sua valutazione, non censurabile (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439).
3. Dalle superiori argomentazioni discende coerente il rigetto dei ricorsi, con la regolazione delle spese secondo il regime di soccombenza, con distrazione, secondo la sua richiesta, al difensore antistatario. Nulla deve invece essere liquidato a carico dell’intimata T. s.p.a.
P.Q.M.
rigetta i ricorsi e condanna ciascuna delle due società alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida a carico di ciascuna in € 200,00 per esborsi e € 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge, con distrazione al difensore antistatario.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per ogni ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.
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