CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 giugno 2019, n. 16310
Rapporto di lavoro subordinato – Contributi omessi – Accesso ispettivo – Dichiarazioni dei lavoratori – Prova dell’assoggettamento al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro
Rilevato che
1. con sentenza in data 6 novembre 2103, la Corte d’Appello di L’Aquila riformava la sentenza di primo grado e rigettava l’opposizione a cartella per contributi omessi dalla s.a.s. B. P. di S. M. & C., in riferimento al rapporto di lavoro subordinato intercorso con tre lavoratrici;
2. per la Corte di merito la pretesa contributiva era risultata fondata alla stregua del compendio di dichiarazioni, circostanziate e precise, delle lavoratrici acquisite dagli ispettori verbalizzanti nell’immediatezza dei fatti;
3. avverso tale sentenza la s.a.s. B. P. di S. M. & C. ha proposto ricorso, affidato a tre motivi, al quale ha opposto difese l’INPS, anche quale procuratore speciale della S.C.C.I. s.p.a., con controricorso;
Considerato che
4. con i motivi di ricorsi la parte ricorrente censura la sentenza per violazione dell’art. 2094 cod.civ. deducendo che dalle frasi riferite dalle predette lavoratrici, in sede ispettiva, non si sarebbe potuto dedurre la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato e per avere la Corte di merito trascurato di considerare la mancanza dell’indice sintomatico della subordinazione costituito dall’assoggettamento al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro; deduce, inoltre, nullità della sentenza e del procedimento per illogicità della motivazione e violazione degli artt. 2697 cod.civ., 112, 115, 116 cod.proc.civ., per avere la Corte di merito trascurato il contesto in cui erano state rese le dichiarazioni delle lavoratrice, dichiarazioni incompatibili con la volontà di costituire un rapporto di lavoro subordinato, e per avere attribuito prevalenza alle dichiarazioni delle predette piuttosto che alle risultanze testimoniali (secondo e terzo motivo);
5. il ricorso è da rigettare;
Il primo motivo è inammissibile perché non indica in maniera specifica le affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie; quanto agli ulteriori mezzi di censura, tenuto conto che la Corte di merito ha invero valorizzato le dichiarazioni, circostanziate e specifiche, rese agli ispettori verbalizzanti, nell’immediatezza dei fatti, dalle lavoratrici presenti nella sede lavorativa e ha motivato sull’inattendibilità delle risultanze testimoniali acquisite, va rilevato che un’autonoma questione di malgoverno degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. può porsi solo allorché il ricorrente alleghi che il giudice di merito abbia posto, a base della decisione, prove non dedotte dalle parti ovvero disposte, d’ufficio, al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge; o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione; infine perché abbia invertito gli oneri probatori; nessuna delle predette situazioni è rappresentata nei mezzi d’impugnazione e le doglianze sono mal poste in quanto, pur sotto un’intitolazione evocativa del paradigma di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, parte ricorrente non ha formulato altro che pure questioni di merito, il cui esame è per definizione escluso in questa sede di legittimità;
quanto alla riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, vale rilevare che è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali e tale anomalia si esaurisca nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile (v., per tutte, Cass. Sez. U., nn. 8053 e 8054 del 2014);
10. nella specie l’argomentata statuizione della Corte distrettuale non presenta alcuna di tali anomalie e le censure si risolvono, ancora una volta, in una inammissibile richiesta di riesame del merito;
11. le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza;
12. ai sensi dell’art.13, comma 1-quater, d.P.R.n.115 del 2002, sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ex art. 13, comma 1-bis
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre quindici per cento spese generali e altri accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.p.r.n. 115 del 2002, sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ex art. 13, comma 1 -bis.
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