CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 luglio 2019, n. 18901
Pubblico impiego privatizzato – Inquadramento superiore – Differenze stipendiali – Effetti di un giudicato pregresso
Rilevato che
la Corte d’Appello di Ancona ha rigettato il gravame proposto dall’I.N.P.S. avverso la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva riconosciuto il diritto di A. M. al pagamento delle differenze stipendiali tra quanto percepito per il livello contrattuale di formale appartenenza e quanto spettante per lo svolgimento di mansioni inquadrabili nel livello C4 per il periodo dal 23.10.2008 al 31.5.2011;
la Corte territoriale, premesso che tra le parti intercorreva altro giudizio nel cui ambito era stato riconosciuto il diritto alle differenze retributive per periodi antecedenti, escludeva preliminarmente che l’essersi azionata in questa sede la domanda per un periodo successivo costituisse ipotesi di abusivo frazionamento del processo;
essa sosteneva, poi, che il pacifico formarsi del giudicato, nell’altro processo, per il periodo fino al 31.1.2006 comportasse, sulla base della giurisprudenza di questa Corte di legittimità e stante il fatto che l’I.N.P.S. non avesse dedotto alcun mutamento fattuale, l’estensione degli effetti di quel giudicato anche al periodo successivo ed oggetto di questa causa;
avverso tale sentenza l’I.N.P.S. ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi, poi illustrati da memoria e resistiti da controricorso del M., anch’esso corredato da memoria difensiva in vista della disposta trattazione camerale;
Considerato che
il primo motivo del ricorso principale denuncia la violazione e falsa applicazione (art. 360 n. 3 c.p.c.) dell’art. 295 c.p.c. per non avere il giudice di secondo grado sospeso il processo, pur essendo pendente tra le parti altra causa la quale, sulla base delle stesse argomentazioni giuridiche addotte dalla Corte territoriale in merito al giudicato, aveva natura pregiudiziale;
il secondo motivo censura invece la sentenza, sempre ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., oltre che per omesso esame di un fatto controverso e decisivo (art. 360 n. 5 c.p.c.) per avere la Corte di merito addossato al datore di lavoro l’onere di dimostrare il mutamento di circostanze rispetto al pregresso giudicato, sebbene la portata di quest’ultimo fosse cristallizzata al 31.1.2006, sicché rispetto al periodo successivo era il lavoratore a dover dimostrare la ricorrenza in fatto dei presupposti utili al sorgere del diritto rivendicato;
con il terzo motivo si adduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 9 C.C.N.L. 2006/2009, dell’art. 1362 ss. c.c., dell’art. 56 d. lgs. 29/1993, come successivamente sostituito e modificato fino all’art. 52 d. lgs. 165/2001, il tutto in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. e per omesso esame di un fatto controversi e decisivo (art. 360 n. 5 c.p.c.);
in punto di fatto risulta dall’esame combinato degli atti del giudizio di cassazione che:
tra le parti è intercorsa pregressa pronuncia di condanna dell’I.N.P.S. (derivante dal concatenarsi della sentenza del Tribunale di Ancona n. 567/2008, con la successiva sentenza di appello n. 37/2013 e, quindi, con quanto deciso da questa Corte con la sentenza n. 18812/2018) al riconoscimento delle differenze retributive per l’esercizio di mansioni superiori dal 15.12.1999 al 31.1.2006, con sentenza che, in esito alla menzionata Cass. 18812/2018, è ancora sub iudice rispetto al quantum, mentre è in giudicato rispetto all’an;
la richiamata pronuncia di appello n. 37/2013, la quale riconobbe il diritto alle differenze retributive anche dal 1.2.2006 al 22.10.2008 è stata invece annullata, per ragioni processuali, con riferimento a quest’ultima estensione del diritto del ricorrente, dalla citata Cass. 18812/2018; il presente giudizio riguarda le ancora successive differenze retributive pretese per quanto accaduto dal 23.10.2008 al 31.5.2011;
la ricostruzione fattuale evidenzia, intanto, l’inconferenza del primo motivo di ricorso per cassazione;
se infatti, come afferma la Corte d’Appello, il giudicato già sussiste fino al 31.1.2006 e condiziona in diritto la decisione della presente causa, va da sé che la sospensione del processo era del tutto inutile, in quanto semmai la questione riguardava la valutazione degli effetti di tale giudicato, svolta dalla Corte territoriale nei termini (condizionanti) di cui si è detto e del resto criticati dall’I.N.P.S. con il secondo motivo;
se viceversa il giudicato su periodi antecedenti non ha rilievo giuridico diretto nelle cause riguardanti periodi successivi, come appunto sostiene l’ente previdenziale sempre nel secondo motivo, va da sé che non si possa neppure discorrere di pregiudizialità;
il secondo ed il terzo motivo sono invece fondati;
la Corte territoriale ha riconosciuto effetto di giudicato, utile a proiettarsi anche verso i successivi periodi oggetto di questa causa, alla pronuncia del Tribunale di Ancona (la n. 567/2008) resa nel primo giudizio inter partes; non è tuttavia pertinente il richiamo della Corte d’Appello al consolidato principio per cui l’accertamento di un fatto idoneo a produrre determinati “effetti destinati a durare nel tempo” si estende alla “configurazione del rapporto” e “continua ad esplicare i suoi effetti”, a situazione normativa e fattuale immutata, sul predetto rapporto (Cass. 15 maggio 2003, n. 7577, fino alla fondante Cass., S.U., 7 luglio 1999, n. 383; da ultimo Cass. 17 agosto 2018, n. 20765; Cass. 23 luglio 2015, n. 15493);
tale principio originario (di cui a Cass. S.U. 383/1999) è in sé pacifico ed è stato di recente ancora meglio precisato nel senso che l’effetto di giudicato riguarda le obbligazioni periodiche che costituiscono il contenuto del rapporto accertato dal precedente giudicato, sulle quali il giudice pronuncia con accertamento su una fattispecie attuale ma con conseguenze destinate ad esplicarsi anche in futuro (Cass. 20765/2018, cit.; Cass. 15493/2015, cit.);
tuttavia, nel pubblico impiego privatizzato, come è noto, lo svolgimento di mansioni superiori non può comportare l’acquisizione delle corrispondenti qualifiche (art. 52, co. 1, seconda parte d. lgs. 165/2001 e, precedentemente, art. 25 d. lgs. 29/1993, come modificato dal d. lgs. 80/1998), ma solo il diritto alle maggiori retribuzioni per il corrispondente periodo;
ne deriva che, in tale ambito, lo svolgimento di mansioni superiori non comporta la maturazione di “effetti destinati a durare nel tempo”, né esso è fonte di una stabile modifica alla configurazione del rapporto di durata quale preesistente tra le parti;
viceversa il lavoratore è pienamente onerato, per i vari periodi di tempo azionati separatamente in giudizio, della allegazione e dimostrazione del riprodursi dei fatti costitutivi del diritto alle retribuzioni superiori, senza che, da questo punto di vista, in suo favore possano operare, rispetto a periodi successivi, gli effetti giuridici di un pregresso giudicato relativo a periodi antecedenti; solo una volta accertati tali fatti costitutivi, purché anche il regime giuridico sia rimasto invariato, il precedente giudicato può avere effetto quanto alla qualificazione giuridica dell’accaduto come esercizio di mansioni superiori, ipotesi che peraltro non è destinata a trovare applicazione nel caso di specie, in quanto il periodo oggetto della presente causa (come si dirà infra, punto 2.4) ricade sotto la disciplina di un C.C.N.L. diverso da quello che regolava il periodo antecedente, sicché la valutazione va effettuata sulla base della nuova contrattazione;
quanto precedentemente accertato potrà semmai costituire mero indizio rispetto a quanto accaduto successivamente, ma nulla più e non necessariamente, soggiacendo tale elemento istruttorio al concreto atteggiarsi del libero convincimento del giudice del merito in proposito;
in ogni caso non ha pregio in questa sede il richiamo operato nel controricorso all’assenza di contestazione da parte dell’I.N.P.S. rispetto ai fatti costitutivi del diritto rivendicato o alla ricorrenza di prova documentale di esso; la Corte d’Appello ha posto, infatti, a fondamento del decidere, un’errata applicazione delle regole sul giudicato e, consequenzialmente, dell’onere della prova, affermando che spettasse all’ente dedurre e provare il verificarsi di mutamenti delle circostanze fattuali e giuridiche;
così non è, per quanto appena detto e tanto basta, stante la decisiva violazione degli artt. 2697 e 2909 c.c., ad imporre la cassazione della pronuncia, mentre ogni altro profilo (omessa contestazione/ prove documentali/eventuale rilievo indiziario di quanto precedentemente accaduto) va rimesso ad una nuova valutazione istruttoria del giudice del rinvio, da effettuarsi sulla base delle complessive acquisizioni processuali ed istruttorie, ma senza fondare la decisione su insussistenti effetti cronologici futuri, in subiecta materia, del pregresso giudicato;
d’altra parte, poiché il contendere in questa causa riguarda il periodo dal 22.10.2008 al 31.5.2011, destinato ad essere regolato, come precisato nel terzo motivo di ricorso, dal C.C.N.L. 2006/2009, mentre quello precedente ricadeva sotto il C.C.N.L. 1998/2001, applicabile fino al 1.10.2007, è evidente che la Corte d’appello, contraddittoriamente anche rispetto al proprio assunto sul giudicato, non ha preso posizione sul mutamento negoziale-giuridico sopravvenuto, inerente anche il tema delle mansioni superiori, sicché la sentenza risulta giuridicamente errata anche da questo concorrente punto di vista, che va parimenti rimesso al giudice del rinvio affinché valuti il periodo oggetto del presente contenzioso alla luce della pertinente normativa collettiva da applicare;
va altresì affermato il seguente principio: «in tema di rapporto di impiego privatizzato, il diritto a ricevere le retribuzioni proprie delle mansioni superiori rispetto a quelle di formale inquadramento sorge, di tempo in tempo, in ragione del concreto esercizio di esse e non dà luogo a modificazioni definitive del rapporto sotto il profilo dell’acquisizione della corrispondente migliore qualifica (art. 52, co. 1, seconda parte d. lgs. 165/2001 e, precedentemente, art. 25 d. lgs. 29/1993, come modificato dal d. lgs. 80/1998), con la conseguenza che il giudicato maturato rispetto a periodi in cui è stato riconosciuto il diritto a tali retribuzioni superiori, per esservi stato esercizio delle corrispondenti mansioni, non pone a carico del datore di lavoro l’onere di allegare e dimostrare, rispetto ai periodi successivi, per i quali il lavoratore rivendichi il persistere del diritto alle differenze retributive, il verificarsi di mutamenti fattuali, spettando al lavoratore la prova in concreto di avere continuato a svolgere mansioni superiori rispetto a quelle di inquadramento. Il pregresso giudicato può peraltro risultare vincolante, una volta accertato il reiterarsi dell’esercizio della medesima attività e a condizione del permanere della medesima disciplina collettiva, rispetto alla qualificazione di tale attività come inerente mansioni superiori ed alle conseguenza retributive che ne derivano; inoltre, quanto precedentemente accertato, può costituire dato istruttorio utilizzabile, ove ritenuto utile e pertinente, per l’apprezzamento giudiziale, in sé del tutto autonomo, relativo al periodo oggetto della nuova controversia»;
in definitiva vanno accolti il secondo ed il terzo motivo di ricorso e rigettato il primo;
alla cassazione della sentenza segue il rinvio alla medesima Corte d’Appello, in diversa composizione, per una nuova disamina di merito alla luce dei principi sopra enunciati, procedendo all’applicazione della disciplina collettiva attinente al periodo oggetto di causa, secondo quanto precisato al punto 2.4 di questa sentenza,
P.Q.M.
Accoglie il secondo ed il terzo motivo di ricorso, rigetta il primo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’Appello di Ancona, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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