CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 luglio 2019, n. 20515
Accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro – Figura di amministratore di società non incompatibile con la condizione di lavoratore subordinato alle dipendenze della stessa – Assoggettamento al potere direttivo, di controllo e disciplinare di un sopraordinato organo di controllo della società – Ricorso inammissibile – Vizio specifico denunciabile per Cassazione – Omesso esame di un fatto storico, la cui esistenza risulti dalla sentenza o dagli atti processuali, oggetto di discussione tra le parti e di carattere decisivo
Rilevato
che, con sentenza depositata in data 27.1.2014, la Corte di Appello di Cagliari, in parziale accoglimento del gravame interposto da M. P. N., nei confronti della Società Cooperativa a r.l. La Lettura, avverso la pronunzia del Tribunale di Oristano – che aveva rigettato la domanda del lavoratrice volta ad ottenere la condanna della società al versamento della somma di Euro 58.376,31 a titolo di retribuzioni relative agli anni 2008-2009, asseritamente omesse, previa accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro instaurato con la predetta società -, ha condannato la società a corrispondere alla N. la somma di Euro 50.034,79, oltre accessori di legge;
che per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso La Lettura soc. coop. a r.l. articolando quattro motivi (il quarto, per evidente errore materiale, numerato ancora con il n. 3); che la N. ha resistito con controricorso;
che sono state depositate memorie nell’interesse della lavoratrice; che il P.G. non ha formulato richieste
Considerato
che con il ricorso si censura:
1) la violazione e falsa applicazione degli artt. 2094, 2697, 2730 e 2734 c.c. e degli artt. 113, 115 e 116 c.p.c., nonché la omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, e si deduce che la Corte territoriale, <<pur avendo posto a base del ragionamento la corretta affermazione del principio giurisprudenziale secondo il quale la qualifica di amministratore di una società non è incompatibile con la condizione di lavoratore subordinato alle dipendenze della stessa società, se l’attività viene svolta con il vincolo della subordinazione, consistente nell’effettivo assoggettamento … al potere direttivo, di controllo e disciplinare di un sopraordinato organo di controllo della società>>, avrebbe errato <<nel ritenere, senza una motivazione adeguata, la sussistenza di detto rapporto sulla base dei soli elementi della esistenza di un Consiglio di Amministrazione, della regolare emissione di buste paga e del relativo accantonamento del TFR e dell’asserita ammissione da parte della Cooperativa dello svolgimento di attività di bibliotecaria della N. sulla base di turni di lavoro predisposti per sé e per gli altri soci con la predisposizione di buste paga>>;
2) la omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, e si lamenta che la Corte di merito avrebbe dato per pacifici fatti, quali l’assoggettamento della N. al potere direttivo del Consiglio di Amministrazione quanto alla gestione dell’asserito rapporto di lavoro subordinato, assolutamente non dimostrati, evitando di svolgere ogni attività istruttoria>> 3) la violazione e falsa applicazione dell’art. 2126 c.c. e la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, affermando inoltre che la sentenza impugnata sarebbe intrinsecamente contraddittoria ed incoerente nella parte in cui, <<pur essendo costretta ad ammettere come sussistente una incompatibilità tra l’avere la N. accentrato a sé tutti i poteri di gestione della società …. con il rapporto di lavoro subordinato asseritamente instaurato tra il presidente e la cooperativa, arriva alla conclusione aberrante di ritenere sussistente una nullità del rapporto che non escluderebbe il diritto alla retribuzione per le prestazioni svolte di fatto ex art. 2126 c.c.>>;
3) recte 4) la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., nonché la omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, perché la Corte di merito avrebbe erroneamente ritenuto provata, senza una sufficiente motivazione, la quantità di lavoro e le mansioni dedotte dalla N., <<in assenza della benché minima prova di esse>>;
che il primo motivo non è fondato quanto alle censure afferenti alle dedotte violazioni di legge, in quanto la Corte di merito ha fatto corretta applicazione dei principi che regolano il rapporto di lavoro subordinato, reputando, all’esito dell’espletata istruttoria, che, nella fattispecie, vi fosse il vincolo di soggezione della lavoratrice al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, date, appunto, le ricostruite e condivisibili concrete modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, dalle quali, inequivocabilmente, si evince che sussistesse l’inserimento della N., amministratore della società, nella organizzazione imprenditoriale della stessa mediante la messa a disposizione, in favore della medesima società, delle proprie energie lavorative (operae) ed il contestuale assoggettamento al potere direttivo del Consiglio di Amministrazione (ex multis, Cass. nn. 12926/1999; 5464/1997; 2690/1994; e, più di recente, Cass. n. 4770/2003; 5645/2009).
Al riguardo, si osserva che i giudici di seconda istanza hanno sottolineato che la N. ha fornito elementi dai quali emergono i connotati tipici di un rapporto di lavoro subordinato (si veda, in particolare, pagg. 3 e segg. della sentenza impugnata) ed inoltre, che tali modalità di lavoro risultano pure <<daIle ammissioni della stessa società cooperativa che ha ammesso che la N. svolgeva attività di bibliotecaria sulla base di turni di lavoro predisposti per sé e per gli altri soci, predisponendo poi le buste paga>> (v., ancora, pag. 3 della sentenza);
che, relativamente al dedotto <<vizio di motivazione>>, il motivo è inammissibile, in quanto, come sottolineato dalle Sezioni Unite di questa Corte (con la sentenza n. 8053 del 2014), per effetto della riforma del 2012, per un verso, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (tale anomalia si esaurisce nella <<mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico>>, nella <<motivazione apparente>>, nel <<contrasto irriducibile tra affermazioni inconciIiabiIi>> e nella <<motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile>>, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di <<sufficienza>> della motivazione); per l’altro verso, è stato introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Orbene, poiché la sentenza oggetto del giudizio di legittimità è stata depositata, come riferito in narrativa, il 27.1.2014, nella fattispecie si applica, ratione temporis, il nuovo testo dell’art. 360, comma 1, n. 5), come sostituito dall’art. 54, comma 1, lettera b), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, a norma del quale la sentenza può essere impugnata con ricorso per cassazione per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Ma nel caso in esame, il motivo di ricorso che denuncia il vizio motivazionale non indica il fatto storico (Cass. n. 21152 del 2014), con carattere di decisività, che sarebbe stato oggetto di discussione tra le parti e che la Corte di Appello avrebbe omesso di esaminare; né, tanto meno, fa riferimento, alla stregua della pronunzia delle Sezioni Unite, ad un vizio della sentenza <<così radicale da comportare>> in linea con <<quanto previsto dall’art. 132, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per mancanza di motivazione>>. E, dunque, non potendosi più censurare, dopo la riforma del 2012, la motivazione relativamente al parametro della sufficienza, rimane il controllo di legittimità sulla esistenza e sulla coerenza del percorso motivazionale dei giudici di merito (cfr., tra le molte, Cass. n. 25229 del 2015), che, nella specie, è stato condotto dalla Corte territoriale con argomentazioni logico-giuridiche del tutto congrue poste a fondamento della decisione impugnata;
che le predette considerazioni circa il dedotto <<vizio di motivazione>> valgono altresì in relazione al secondo mezzo di impugnazione ed altresì al quarto, nella parte in cui si deduce la predetta censura;
che il terzo motivo è inammissibile, risultano la censura del tutto fuori centro rispetto al ragionamento svolto nella sentenza oggetto del presente giudizio, in cui, dopo la corretta ricostruzione del rapporto di cui si tratta quale rapporto di lavoro subordinato, si afferma che, comunque, anche <<volendo ritenere tale allegata situazione incompatibile con il rapporto di lavoro subordinato instaurato tra la cooperativa ed il suo presidente, occorre osservare che la nullità del rapporto non escludeva il diritto alla retribuzione comprensiva del TFR per le prestazioni svolte di fatto ex art. 2126 c.c. per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione>>, con ciò intendendo correttamente ritenere che la retribuzione alla N. sarebbe stata comunque da corrispondere, ai sensi dell’art. 2126 c.c., anche nell’ipotesi in cui non si fosse reputato sussistente il momento genetico del rapporto, ma solo quello funzionale, avendo la lavoratrice effettivamente prestato il proprio servizio per alcuni anni presso la società ricorrente; che neppure il quarto motivo è meritevole di accoglimento, perché chiaramente orientato ad ottenere un nuovo esame del merito, precluso in questa sede; ed invero, la valutazione delle emergenze istruttorie, alla stregua delle quali il giudice di merito ha operato la qualificazione del rapporto controverso implica un apprezzamento di fatto, non censurabile in sede di legittimità se sorretta, come nel caso di specie, da motivazioni ed argomenti esaurienti ed immuni da vizi logici e giuridici (cfr., ex plurìmis, Cass. nn. 21424/2015; 14160/2014);
che, per le osservazioni svolte, i motivi di ricorso non sono in grado di scalfire l’iter motivazionale posto a base della decisione oggetto del giudizio di legittimità;
che le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza;
che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13.
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