CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 43072 depositata il 28 ottobre 2019
Lavoro – Reato ex art. 4 della legge n. 628 del 1961 – Omessa consegna alla DTL delle notizie e dei documenti legalmente richiesti
Ritenuto in fatto
Con sentenza del 7 novembre 2018 il Tribunale di Macerata, decidendo a seguito della opposizione proposta a decreto penale, ha dichiarato la penale responsabilità di A.E. in ordine al reato di cui all’art. 4 della legge n. 628 del 1961, in quanto, nella qualità di legale rappresentante di talune società di capitali, ometteva, rispettivamente, di riportare e consegnare alla Direzione territoriale del lavoro di Macerata notizie e documenti che gli erano stati legalmente richiesti; egli era stato, pertanto, condannato alla pena pecuniaria ritenuta di giustizia.
Avverso la predetta sentenza era interposto ricorso per cassazione da parte della difesa dell’A., lamentandosi il fatto che il giudice di primo grado, erroneamente ritenendo che il reato commesso fosse un reato permanente, ne aveva ritenuto la perdurante flagranza sino alla data del 4 novembre 2014, data di notificazione all’imputato del decreto penale emesso a suo carico, non dichiarando di conseguenza la maturata prescrizione dell’illecito contestato, risalente, secondo il ricorrente, invece al 26 settembre 2018.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato e, pertanto, lo stesso deve essere rigettato.
La impugnazione proposta dal ricorrente è integralmente giudicata in relazione alla qualificazione da attribuire al reato contestato; se cioè esso è un reato permanente, come ritenuto dal Tribunale di Macerata, qualificazione dalla quale discenderebbe la non ancora maturata prescrizione di esso, ovvero se lo stesso sia un reato istantaneo, il quale si perfeziona in tutti i suoi elementi e si consuma al momento in cui, inutilmente, decorre il termine per la consegna della documentazione richiesta o per la trasmissione delle notizie sollecitate, nel qual caso il reato contestato sarebbe stato già estinto ai momento della pronunzia della sentenza di condanna.
Onde risolvere il problema interpretativo posto dal ricorrente è il caso di analizzare, brevemente, la struttura del reato in questione.
Esso consiste nel fatto di colui il quale, legalmente richiesto dalla Direzione territoriale del lavoro, di fornire delle notizie ovvero di consegnare della documentazione sulle materie indicate nel medesimo articolo, non le fornisca, o le dia scientemente errate od incomplete, o non la consegni nella sua integralità.
La norma incriminatrice, dunque, sanziona l’inosservanza di obblighi di informazione strumentali a consentire alla competente autorità amministrativa di esercitare le funzioni di vigilanza e controllo alla stessa attribuite dalla legge, a condizione che la richiesta rivolta dall’Ufficio sia stata legalmente formulata. Il primo elemento strutturale della fattispecie incriminatrice è, dunque, costituito dalla esistenza di una richiesta di informazioni o di documenti, da parte del soggetto competente, nelle materie specificamente previste dall’art. 4 della legge n. 628 del 1961.
In secondo luogo è necessario che la richiesta sia stata “legalmente” formulata.
Sul punto, la giurisprudenza di questa Corte si è assestata nel ritenere innanzitutto che il destinatario della richiesta da parte dell’Ufficio sia il legale rappresentante della ditta, anche quando essa non sia stata rivolta al datore di lavoro personalmente, in quanto è sufficiente che la richiesta venga notificata alla sede dell’azienda perché sia comunque conoscibile dal legale rappresentante di essa (in tal senso, Corte di cassazione, Sezione III penale, 1 luglio 2004, n. 28701).
In terzo luogo, ai fini dell’integrazione del reato in questione è necessario che vi sia una mancata risposta alla richiesta oppure che la risposta fornita contenga dati non rilevanti e/o non pertinenti rispetto a quelli richiesti (Corte di cassazione, Sezione III penale, 16 gennaio 2008, n. 2272).
Come accennato, il reato in questione può, pertanto, essere realizzato sia in forma commissiva, allorché il soggetto richiesto dia informazioni mendaci o impertinenti ovvero trasmetta documentazione diversa da quella a lui richiesta, sia in forma omissiva, allorché il soggetto legalmente richiesto ometta sic et simpliciter di fornire le risposte o la documentazione che gli erano state richieste.
Come questa Corte ha ancora di recente rilevato (cfr., infatti: Corte di cassazione, Sezione III penale, 20 marzo 2017, n. 13204), la fattispecie in esame configura, nella sua forma omissiva, un reato permanente, la cui consumazione si protrae fino all’osservanza della disposizione ovvero, secondo un certo orientamento, sino alla data della relativa denuncia penale in danno del responsabile (Corte di cassazione, Sezione III penale, 31 gennaio 2003, n. 4687) oppure, secondo altro, come vedremo preferibile, indirizzo, sino alla notificazione del decreto penale di condanna o sino alla sentenza di primo grado (Corte di cassazione, Sezione III penale, 14 marzo 1997, n. 753).
Pertanto, allorché sia previsto un termine per l’adempimento, il reato si perfeziona alla scadenza di detto termine ma esso non si consuma, protraendosi la condizione di illiceità per tutto il tempo in cui il destinatario omette volontariamente di adempiere (Corte di cassazione, Sezione III penale, 28 dicembre 2000, n. 13406), oppure, in ipotesi di perdurante condotta omissiva, sino alla data della denunzia penale o della emissione del decreto penale o della sentenza di primo grado.
Nel caso che interessa – rilevato che l’A. non risulta avere mai ottemperato alla richiesta indirizzatagli dalla Direzione territoriale del lavoro di Macerata con atto notificato in data 6 settembre 2013 – ritiene il Collegio che, ribadita la natura permanente del reato contestato laddove lo stesso si sia presentato, come nella fattispecie, in forma puramente omissiva, la decorrenza del termine prescrizionale debba essere ancorata, conformemente, peraltro, alla giurisprudenza consolidata sul punto, al momento di cessazione della permanenza che, in assenza di condotte positive del reo atte ad interrompere il predetto stato, è collocabile, in caso di contestazione cosiddetta aperta (quale è quella formulata a carico dell’A., essendo stata indicata solo la data di accertamento del reato e non anche quella di sua consumazione), contestualmente alla pronunzia della sentenza di primo grado (Corte di cassazione, Sezione I penale, 16 ottobre 2018, n. 47034; idem Sezione III penale, 21 settembre 2017, n. 43173) o, se emesso, contestualmente alla notificazione del decreto penale di condanna, costituendo anch’esso, non diversamente dalla sentenza di primo grado, un’affermazione giudiziale, sebbene non necessariamente definitiva, della responsabilità del prevenuto atta ad interrompere l’unità psicologica della condotta omissiva (Corte di cassazione, Sezione III penale, 18 marzo 1993, n. 2563).
Ritiene, infatti, il Collegio di non dovere aderire alla tesi, pur riscontrabile, come dianzi evidenziato, in giurisprudenza, sebbene in forma assertiva e non argomentata (cfr. Corte di cassazione, Sezione III penale, 31 gennaio 2003, n. 4687), secondo la quale la permanenza del reato sarebbe cessata con la denuncia penale, posto che quest’ultimo è atto che, rimanendo estraneo alla sfera di conoscenza del soggetto omittente in quanto indirizzato non a questo ma alla autorità pubblica, non si vede in che modo possa incidere nell’interrompere la unità della condotta omissiva di quello.
Considerato che nell’occasione il decreto penale è stato notificato all’imputato in data 4 novembre 2014, il reato ascritto al predetto sarebbe destinato ad estinguersi per prescrizione solo il prossimo 4 novembre 2019, evento che la emissione della presente sentenza, con la conseguente definitività della affermazione della penale responsabilità del prevenuto rende, tuttavia, irrealizzabile.
Al rigetto del ricorso segue, visto l’art. 616 cod. proc. pen. la condanna dell’imputato ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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