CORTE DI CASSAZIONE, sezione penale, sentenza n. 11936 depositata il 10 aprile 2020
Procedure concorsuali – Bancarotta fraudolenta per distrazione – Responsabilità penale – Socio illimitatamente responsabile di società di fatto – Elemento soggettivo del reato – Dolo – Esclusione
Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza del 25 maggio 2015 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma che, all’esito del giudizio abbreviato, ha affermato la penale responsabilità di A.S. e B.D.L. per concorso nel delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale commesso da G.L. quale socio illimitatamente responsabile di una società di fatto.
2. Il delitto è collegato ad altra più complessa vicenda criminale relativa alla creazione di una associazione finalizzata alla commissione di più delitti di esercizio abusivo dell’attività finanziaria e di truffa, della quale facevano parte G.L., G.L.D.V., R.R. e R.T..
In particolare, è emerso che sussisteva, tra questi soggetti, una società irregolare funzionale alla direzione dell’attività di raccolta e gestione del risparmio solo formalmente imputata a tre società, tutte identificate con l’acronimo E.I.M., iscritte nel Regno Unito, in Inghilterra ed in Irlanda.
Questa società irregolare è stata dichiarata fallita dal Tribunale di Roma con sentenza del 8 novembre 2011, confermata dalla Corte di appello di Roma del 10 settembre 2012. Conseguentemente sono stati dichiarati i fallimenti dei singoli soci in proprio.
Al D.L. ed allo S. si contesta di avere concorso, unitamente ad altri soggetti, con G.L., dichiarato fallito quale socio illimitatamente responsabile della predetta società irregolare, nella distrazione del leasehold di un appartamento londinese di cui era titolare personalmente G.L..
Tale diritto è stato ceduto alla società di diritto inglese G.L., totalmente partecipata dalla B.R. s.r.l. controllata direttamente o indirettamente, per una quota del 91,69%, dalla famiglia S., a fronte della dazione in pagamento di titoli provenienti dal portafoglio dei coniugi S. in E.G.P. s.a. per un valore formalmente pari a euro 1.521,406,99, ma che in realtà erano divenuti privi di valore a causa dell’insolvenza delle società controllate dal L.. I titoli sono stati trasferiti alla B.R. s.r.l. dai coniugi S. che sono divenuti titolari di un credito verso la B.R. s.r.l..
In particolare, in data 3 novembre 2010 l’assemblea dei soci della B.R. s.r.l. ha deliberato di acquisire il leasehold dell’appartamento londinese e i titoli suddetti. Con due contratti i coniugi S. hanno venduto alla B.R. i titoli ordinando in data 5 novembre 2010 alla E.G.P. s.a. di trasferire i titoli dai loro portafogli alla B.R. s.r.l.. In data 6 dicembre 2010 è stato stipulato il contratto preliminare di vendita del leasehold tra G.L., rappresentato dal procuratore speciale S.S., e la B.R. s.r.l., rappresentata dall’amministratore unico R.C..
In data 16 dicembre 2010 è stata conferita dalla B.R. s.r.l., amministrata da R.C., e dai coniugi S., quali precedenti proprietari dei titoli, una procura speciale a G.L., con la quale è stato attribuito a quest’ultimo il potere di disporre dei titoli quale prezzo della cessione del leasehold; nella procura i conferenti hanno attestato falsamente che il 5 novembre 2010 era stato ceduto, con atti controfirmati da E., alla B.R. s.r.l. il pacchetto titoli.
Quindi, in data 5 gennaio 2011 è stata costituita la G.L., interamente partecipata dalla B.R. s.r.l.; con contratto registrato il 31 gennaio 2011 la G.L. ha acquistato il leasehold dell’appartamento londinese consegnando al S., procuratore del L., la procura speciale del 16 dicembre 2010; la procura era stata consegnata alla G.L. dalla B.R. quale finanziamento, a seguito del quale la B.R. era divenuta creditrice della G.L..
In data 27 gennaio 2011 la G. locava l’appartamento cui si riferiva il leasehold al L. al canone settimanale di mille sterline per diciotto mesi; il contratto di locazione era sottoscritto da R.C. per la G.L. e da S.S. per il L..
Con delibera del 20 settembre 2011 la B.R. s.r.l. deliberava di valutare positivamente la proposta di acquisto del leasehold da parte della S.I.L. e dava incarico al proprio amministratore di procedere alla trattativa ed alla eventuale vendita delle quote della G.L. facendosi assistere da B.D.L., presidente del collegio sindacale della B.R. s.r.l. e commercialista di quest’ultima società, e dall’avv. C., barrister di Londra. Nella delibera si prevedeva la accensione di una ipoteca di almeno euro 2.000.000,00 sull’immobile a garanzia del finanziamento erogato dalla B.R.
alla G.L. e che questa sarebbe stata amministrata dal D.L. anche dopo la cessione, sino all’integrale adempimento delle obbligazioni assunte dalla cessionaria.
In data 27 dicembre 2011 le quote della G.L. venivano cedute alla S.I.L. e contestualmente il D.L. veniva nominato amministratore della G.L..
In data 9 febbraio 2012 sul diritto di leasehold veniva costituita dalla G.L. s.r.l un’ipoteca per due milioni di sterline a garanzia del credito della B.R. s.r.l.. Successivamente, in data 26 luglio 2012, la G.L. veniva ceduta alla S.R.E.L..
Il delitto viene contestato come commesso in data 8 novembre 2011, data della dichiarazione di fallimento dei soci illimitatamente responsabili della società irregolare.
3. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso A.S., a mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento ed affidandosi a nove motivi.
3.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi degli artt. 178, 521 e 522 cod. proc. pen., la nullità della sentenza per avere la Corte di appello condannato lo S. per un fatto diverso da quello contestato.
Nello specifico, deduce che mentre nel capo di imputazione si sosteneva che i titoli utilizzati per acquistare il leasehold erano <<divenuti privi di sostanza effettiva a seguito di insolvenza delle società del c.d. Gruppo L.>>, nella sentenza di condanna pronunciata in primo grado si era affermato che i titoli erano scaduti, ma non erano rimborsabili a fronte delle concorrenti pretese di altri creditori. Già con l’atto di appello era stata lamentata la violazione del principio di correlazione tra il fatto contestato e quello ritenuto in sentenza, ma la Corte di appello, oltre a rigettare la doglianza – sostenendo che l’imputato aveva comunque avuto la concreta possibilità di difendersi e che l’oggetto del processo era sempre stato quello della distrazione del bene dal patrimonio del L. attraverso una cessione fittizia e che era irrilevante che la natura fittizia della cessione derivasse dalla non rimborsabilità dei titoli o dalla loro originaria inesistenza -, aveva finanche sostenuto che tali titoli fossero in realtà inesistenti, perché erano mancanti gli originari conferimenti alla E. s.a. del denaro con il quale erano stati poi acquistati i titoli. In realtà non erano mai state svolte indagini per stabilire se i conferimenti di denaro esistessero; comunque dell’esistenza dei titoli, contraddistinti da codice ISIN e assolutamente tracciabili, non poteva dubitarsi.
In tal modo risultava eluso il precetto di cui all’art. 521 cod. proc. pen., che imponeva la restituzione degli atti al pubblico ministero ove il fatto fosse diverso da quello contestato.
Nel caso di specie, peraltro, la prova dell’inesistenza dei conferimenti del denaro alla E. s.a. si ricavava dalla mancata prova della loro esistenza da parte dell’imputato; in tal modo si determinava un’inversione dell’onere della prova a carico dello S., al quale non era mai stata contestata l’inesistenza dei versamenti in denaro e dei conseguenti investimenti nei titoli utilizzati in pagamento del leasehold e che quindi non era stato posto nelle condizioni di difendersi.
3.2. Con il secondo motivo lamenta violazione degli artt. 216, primo comma n. 1, e 223 r.d. n. 267 del 1942 per avere la Corte di appello affermato la penale responsabilità dello S. in assenza di prove della mancanza del corrispettivo della cessione del leasehold, nonché motivazione illogica o carente circa la insussistenza dei titoli, travisamento della prova e inutilizzabilità di una conversazione registrata.
Nello specifico, deduce che con il secondo motivo di appello egli aveva censurato la conclusione, alla quale era pervenuto il Tribunale, secondo la quale i titoli erano scaduti, ma non integralmente rimborsabili, mentre la Corte di appello aveva finanche ritenuto che i titoli oggetto di scambio con il leasehold fossero inesistenti, perché mancava la prova dei conferimenti alla E.G.P., da parte dei coniugi S., del denaro utilizzato per acquistare i titoli; tale inesistenza era provata dai medesimi elementi che avevano indotto il Tribunale a ritenere che i titoli esistevano, ma erano privi di valore, ossia: 1) la nota del commissario liquidatore di E. s.a. secondo la quale le consistenze titoli riferibili ai coniugi S. risultavano solo dal sistema contabile della società, ma erano rimaste prive di riscontro presso gli istituti di credito depositari della E..; 2) la relazione CONSOB che aveva rilevato un disallineamento tra le risultanze informatiche della E. e le evidenze documentali della banca depositaria.
Poiché le somme versate dai coniugi S. non risultavano documentate con operazioni in entrata presso la società o presso gli istituti di credito e poiché il L. si era lamentato, nel corso di una conversazione telefonica con lo S. registrata dallo stesso L., di avere perduto un immobile che gli avrebbe consentito di far fronte alle difficoltà in cui versava, la Corte di appello aveva concluso che la cessione del leasehold fosse avvenuta in assenza di un reale corrispettivo.
Tale conclusione non era sostenibile per vari motivi.
3.2.1. In primo luogo essa si poneva in contraddizione con i precedenti passaggi motivazionali della decisione, che poggiava chiaramente sulla esistenza di pregresse ragioni creditorie dello S..
In particolare, a pag. 22 della sentenza di appello, si faceva riferimento ad una scrittura firmata dal C. in relazione alla quale si evidenziava che la cifra in essa indicata era <<sostanzialmente corrispondente all’entità dell’investimento effettuato dallo S.>>, mentre a pag. 23 si sosteneva che il mancato trasferimento dei titoli presso la banca dello S. <<fu un chiaro sintomo delle enormi difficoltà finanziarie del L.>>, e a pag. 24, per escludere che il fatto integrasse il meno grave reato di bancarotta fraudolenta preferenziale, si affermava che <<lo S. era creditore di E. e non della società di fatto dichiarata fallita>>.
Tali affermazioni davano per scontata l’esistenza di un credito dello S. e si ponevano in netta contraddizione con la conclusione secondo la quale i titoli non sarebbero mai esistiti.
3.2.2. La predetta conclusione era il risultato del travisamento della prova costituita proprio da quella ricognizione da parte del L. del suo debito verso lo S. che la Corte di appello aveva utilizzato per ricavarne la prova della conoscenza, da parte dello S., di una società di fatto tra il L. ed il C..
Si trattava di una scrittura con la quale il L. riconosceva di avere ricevuto in contanti l’importo di euro 1.160.000, obbligandosi a restituire tale importo.
L’affermazione della inesistenza dei versamenti alla E. delle somme che sarebbero state poi utilizzate per acquistare i titoli era errata, sia perché il L. risultava aver ricevuto una somma corrispondente al valore dei titoli, sia perché fondata su un’inversione dell’onere della prova – che non avrebbe mai potuto essere soddisfatto in quanto la somma era stata consegnata in contanti -, sia perché dalla contabilità della E. risultava la disponibilità dei titoli in capo ai coniugi S.. Tali titoli avevano, peraltro, costituito oggetto di sanatoria attraverso il cosiddetto scudo fiscale già nell’ottobre del 2009 e per essi erano state versate le relative imposte.
L’affermazione della inesistenza dei titoli era il frutto di un evidente travisamento di una prova decisiva, in quanto dalla pretesa inesistenza dei titoli la Corte di appello ha desunto la natura distrattiva della cessione.
3.2.3. La predetta conclusione si fondava pure su una prova inutilizzabile, ossia la conversazione registrata dal L., all’insaputa dello S., in data 8 marzo 2011. Nel corso del giudizio di appello si era eccepita l’inutilizzabilità della conversazione, in quanto acquisita irritualmente e con modalità tali da non assicurarne la genuinità, atteso che i supporti erano privi di sigilli; dalla relazione del consulente tecnico dello S. risultava pure che la registrazione era il risultato della sovrapposizione di due distinte conversazioni avvenute in luoghi e tempi differenti. Al vizio di inutilizzabilità si aggiungeva l’omessa motivazione circa l’attendibilità del L., che aveva costituito oggetto di specifica contestazione. Peraltro, anche dalla registrazione risultava che il L. era debitore dello S..
3.2.4. La motivazione era carente o illogica laddove escludeva la sussistenza dei titoli, in quanto si fondava sulla relazione del commissario liquidatore della E. redatta sulla base delle risultanze della contabilità di E. nel novembre del 2012 tenendo conto delle posizioni di investimento ancora attive in quel momento, mentre tale verifica avrebbe dovuto essere svolta sulla base delle posizioni risultanti nel momento della cessione dei titoli, avvenuta circa due anni prima.
Quanto al <<disallineamento>> rilevato dalla CONSOB, esso riguardava la liquidità e non i titoli; essa non provava la esistenza o l’inesistenza dei titoli.
Neppure la sentenza aveva tenuto conto della relazione di consulenza prodotta dalla difesa dell’imputato per sostenere la sussistenza e l’effettivo valore dei titoli e che questi costituivano idoneo corrispettivo della cessione del leasehold; la loro esistenza emergeva anche dalla relazione del consulente del Pubblico ministero.
3.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta violazione degli artt. 216, primo comma, n. 1, e 223 r.d. n. 267 del 1942 per avere la Corte di appello affermato la penale responsabilità dello S. in ragione della definitiva sottrazione del bene dal patrimonio personale del L., previo travisamento della prova ed omessa motivazione.
La sentenza di secondo grado aveva affermato che la cessione del leasehold aveva determinato la sottrazione del bene dal patrimonio del L. e che la B.R. aveva ricevuto dall’ultima proprietaria della G.L., ossia la S.R.E. Itd, la somma di 1.900.000 sterline a tacitazione del suo credito e che l’ipoteca era stata cancellata.
L’affermazione della effettuazione del pagamento e della cancellazione dell’ipoteca era errata e smentita dalle prove in atti e si poneva in contrasto con la sentenza di primo grado, laddove si era affermato che proprio la mancata estinzione del credito della B.R. s.r.l. dimostrerebbe la natura fittizia dei trasferimenti societari. L’erroneità della conclusione risultava dalla informativa della polizia giudiziaria del 23 aprile 2013 che riportava il contenuto del verbale dell’assemblea della B.R. s.r.l. del 8 gennaio 2013, in cui si dava atto del mancato incasso.
3.4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta violazione degli artt. 216, primo comma, n. 1, e 223 r.d. n. 267 del 1942 per avere la Corte di appello affermato la penale responsabilità dello S. pur in assenza di prova della efficacia causale del contributo dello stesso in ordine al preteso pregiudizio per i creditori della fallita ed omessa motivazione sul punto.
La Corte di appello aveva omesso di accertare se sussistesse un pregiudizio ai creditori al momento della dichiarazione di fallimento e se lo S. avesse contribuito alla causazione di tale pregiudizio.
La gestione del leasehold da parte del L. era passiva al momento della cessione, tanto che il contratto di leasehold era prossimo alla risoluzione, come emergeva da una lettera inviata dall’avv. C. al S., procuratore del L.. Se la società acquirente del leasehold non fosse intervenuta per sanare le passività, il L. avrebbe perso definitivamente e senza corrispettivo il proprio diritto sull’immobile con la conseguenza che comunque i suoi creditori, intervenuto il suo fallimento, non avrebbero potuto soddisfarsi su di esso.
In ogni caso la sentenza non aveva affatto motivato sulle censure che investivano tale punto.
3.5. Con il quinto motivo il ricorrente lamenta violazione degli artt. 191 e 192 cod. proc. pen. e degli artt. 42, 43 e 110 cod. pen. e 216, primo comma, n. 1, e 223 r.d. n. 267 del 1942 per avere la Corte di appello affermato la penale responsabilità dello S. in assenza di prove della conoscenza da parte sua della natura distrattiva dell’operazione, nonché motivazione illogica o carente su tale punto per travisamento della prova e inutilizzabilità della prova.
3.5.1. La motivazione era solo apparente in ordine alla conoscenza da parte dello S. della esistenza della società di fatto.
La Corte di appello aveva affermato che l’imputato era a conoscenza della esistenza della società di fatto poiché sapeva della comunanza di interessi tra il L. ed il C., in quanto quest’ultimo, sebbene estraneo alla E. s.a., aveva sottoscritto una ricognizione di debito per una cifra sostanzialmente corrispondente all’entità dell’investimento effettuato dallo S.; da tale ricognizione emergeva una comunanza di interessi tra il L. ed il C., non avendo quest’ultimo alcuna ragione di operare detta ricognizione e la versione sostenuta dall’imputato, secondo la quale il C., essendo suo amico, aveva operato la ricognizione di debito solo per consentirgli di avvalersi del c.d. scudo fiscale, era indimostrata e comunque era in contrasto con il carattere fortemente impegnativo della ricognizione di debito.
In tal modo la Corte aveva omesso di motivare sugli elementi di fatto segnalati dalla difesa a sostegno della propria versione. Era, infatti, emerso che C. D.V. conosceva da molti anni lo S., la cui moglie aveva effettuato suo tramite investimenti attraverso la società estera EIM Ine. Itd. Era stato il C. a consigliare allo S., intenzionato a regolarizzare i propri capitali esteri, la E., gestita dal L..
Agli atti del giudizio risultavano due documenti. Uno era una fotocopia del documento di identità del L. contenente in calce due dichiarazioni, una del L., che attestava di avere ricevuto la somma in contanti di euro 1.160.000.00 e si impegnava alla restituzione della stessa somma, e l’altra del C., che si limitava ad attestare la ricezione della ulteriore somma di euro 150.000.00, senza assumere alcuna obbligazione.
L’altro documento era una missiva sottoscritta dal solo L. e risalente al 22 luglio 2010 – successiva allo scudo fiscale del 2009 – con l’indicazione in calce del nominativo del C. – ma non sottoscritta da quest’ultimo -, attestante la prestazione di una garanzia personale per gli investimenti effettuati dallo S. in E..
Sebbene la Corte di appello non avesse chiarito a quale dei due documenti essa intendesse riferirsi, da essi non poteva ricavarsi alcuna ricognizione di debito da parte del C., che si era limitato a dare atto della ricezione della somma di euro 150.000,00.
Nella memoria difensiva depositata nel giudizio di appello si era dedotto che non poteva da tali documenti ricavarsi una ricognizione di debito da parte del C. e quindi una comunione di interessi tra quest’ultimo ed il L. e che la firma apposta sul primo documento dal C., sebbene limitata alla ricezione della somma di euro 150.000,00, sarebbe stata superflua in presenza di una società di fatto, in quanto era sufficiente la firma di uno solo dei soci per impegnare tutti gli altri; si era pure dedotto che se lo S. avesse avuto conoscenza di un’eventuale comunanza di interessi, egli avrebbe trattato con il C., suo amico di vecchia data, e non con il L. e che la non conoscenza dell’esistenza della società di fatto da parte dello S. emergeva anche dalla registrazione della conversazione tra lo S. ed il L., nel corso della quale il L. negava l’esistenza di qualunque vincolo societario.
La sentenza di secondo grado non aveva motivato in relazione a tali elementi e l’affermazione di responsabilità si fondava su un accertamento non sostenuto dalla certezza razionale.
3.5.2. La sentenza era viziata anche da omessa motivazione in ordine alla conoscenza da parte dello S. della insolvenza del L. quale socio illimitatamente responsabile della società di fatto.
La sentenza di appello aveva affermato che tale conoscenza emergeva dalla proposta rivolta dallo S. al B. di costituire un comitato dei creditori della E. che verificasse la consistenza patrimoniale di questa società; tale proposta era giustificata dalle difficoltà nel recupero degli investimenti, rese evidenti dal mancato trasferimento dei CCT dalla E. alla banca dello S..
In realtà, sostiene il ricorrente, egli si era avvalso della E. per regolarizzare dei capitali che egli deteneva all’estero; le somme erano state consegnate alla E. e investite in CCT per un valore di euro 1.323.648,72 e successivamente, nel mese di aprile del 2010, aveva chiesto al L. di trasferire i titoli presso la propria banca in Italia; il L. aveva segnalato che egli non aveva intenzione di distogliere i CCT dal conto deposito titoli della E., perché era sua intenzione trasformare questa società in una banca, ed aveva proposto allo S. di venderglieli. Tale circostanza era stata confermata dall’avv. F.N..
Diversamente da quanto ritenuto dalla Corte di appello, le richieste dello S. e degli altri investitori trovavano ragione nella crisi che il mercato finanziario stava attraversando e non nella percezione di un imminente dissesto delle società del gruppo del L..
Poiché il L. coltivava il progetto di trasformare la E. in una banca, aveva proposto allo S. di cedergli i suoi titoli in cambio dei suoi diritti immobiliari.
La sentenza non chiariva le ragioni per le quali non era credibile tale alternativa ricostruzione dei fatti propugnata dalla difesa dell’imputato.
Quanto all’espressione attribuita dal B. allo S., secondo la quale se egli fosse <<affondato>>, avrebbe trascinato nell'<<affondamento>> anche il cadavere del L., doveva rilevarsi che il B., anche in virtù della sua costituzione quale parte civile, era soggetto inattendibile e comunque le sue dichiarazioni erano smentite da quelle dell’avv. F.N., che aveva escluso che lo S. avesse pronunciato una simile frase, e da quelle del L., che pur avendo affermato di essere stato minacciato da numerosi investitori, mai aveva incluso tra questi lo S..
In ogni caso, da tale frase non poteva desumersi la conoscenza dell’insolvenza del L..
3.6. Con il sesto motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 42, 43 e 110 cod. pen. e motivazione carente o illogica nella parte in cui la Corte di appello ha affermato, in violazione del divieto di doppia presunzione, la sussistenza del dolo pur in mancanza degli indici della riconoscibilità della società di fatto e della inesistenza dei titoli.
La sentenza di secondo grado aveva affermato che lo S. sapeva dell’inesistenza della controprestazione della cessione del leasehold perché egli sapeva dell’esistenza della società di fatto e della insolvenza del L., ma in tal modo aveva illegittimamente applicato una doppia presunzione.
Difatti, la Corte territoriale era partita da un fatto erroneamente ritenuto noto, ossia la conoscenza dell’esistenza della società di fatto tra il L. ed il C., per desumerne che lo S. fosse a conoscenza dell’insolvenza del L., per poi presumere la natura distrattiva della cessione del leasehold, sostenendo che tutte le attività finalizzate alla cessione furono attuate al fine di sottrarre tale diritto immobiliare al patrimonio del L..
La sentenza, tuttavia, non spiegava perché la pretesa conoscenza dell’insolvenza del L. fosse perfettamente sovrapponibile alla conoscenza dello stato di decozione della E. s.a., a sua volta dedotta dalla sola proposta di costituire un comitato dei creditori di E. s.a..
In realtà lo S. non conosceva la esistenza della società di fatto e la E. s.a., in quanto autorizzata ad operare in Italia, era sottoposta al controllo delle autorità di vigilanza italiane, che mai avevano rilevato irregolarità sino alla conclusione dell’accordo tra il L. e lo S. e comunque sino al mese di ottobre 2010.
In ogni caso lo S. era estraneo alla gestione della E. s.a. e sussistevano diversi elementi che deponevano a favore della convinzione dello S. circa l’esistenza dei titoli scambiati con il leasehold.
Egli aveva ricevuto dalla E. un prospetto ove veniva indicata la consistenza dei propri investimenti per un ammontare di euro 1.300.000,00 e quindi faceva affidamento su tale comunicazione.
Inoltre, per il concorso dell’extraneus era necessaria la conoscenza da parte di questo della qualifica dell’intraneus, la consapevolezza che la sua condotta contribuiva al depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori e la volontarietà del contributo dell’extraneus a siffatta condotta distrattiva.
Su tali aspetti la Corte non aveva motivato ed aveva parificato la conoscenza della esistenza della società di fatto, richiesta per la sussistenza del dolo, alla sua conoscibilità, che da sola poteva al massimo integrare un comportamento colposo.
Del resto, lo S. si era determinato ad acquistare il lease hold proprio perché esso faceva parte del patrimonio del L. e non della E. s.a. e quindi allo scopo di non arrecare pregiudizio ai creditori di questa.
3.7. Con il settimo motivo il ricorrente si duole della violazione degli artt. 216, primo comma, n. 1, e terzo comma, r.d. n. 267 del 1942 per non avere la Corte di appello riqualificato il fatto come una bancarotta fraudolenta preferenziale e lamenta travisamento della prova e carenza o illogicità della motivazione.
Lo S., con uno specifico motivo di appello, aveva chiesto, in via subordinata, che il reato fosse riqualificato come bancarotta fraudolenta preferenziale, ma la Corte di appello non si era pronunciata su tale motivo, limitandosi ad affermare che non si trattava di bancarotta preferenziale perché lo S. era creditore della E. e non della società di fatto dichiarata fallita e non risultava in atti alcuna fideiussione rilasciata dal L. a garanzia del credito vantato da S. in E. s.a.
Tale affermazione integrava un vero e proprio travisamento della prova costituita dal documento con il quale il L. si impegnava a restituire la somma di euro 1.160.000,00 e della prova costituita dal documento con il quale il L. nel 2010 si era impegnato a titolo personale al pagamento di un importo pari al valore degli investimenti in E. s.a..
Avendo lo S. ricevuto dal L., a titolo personale, una ricognizione di debito, egli era creditore del L. e poiché con il trasferimento del leasehold il L. aveva inteso estinguere tale suo debito nei confronti dello S., che veniva in tal modo preferito rispetto agli altri suoi creditori, si era in presenza di una bancarotta preferenziale.
Del resto, lo stesso capo di imputazione individuava la finalità dell’operazione nell’intento di favorire lo S. rispetto agli altri creditori.
Anche la sentenza impugnata in questa sede aveva desunto la conoscenza dell’insolvenza del L. da parte dello S. nella circostanza che quest’ultimo sapeva dell’insolvenza della E. s.a., mostrando in tal modo di considerare il L. e la E. s.a. quale un unico soggetto debitore.
3.8. Con l’ottavo motivo il ricorrente lamenta violazione degli artt. 185 cod. pen. e 2059 cod. civ. e degli artt. 216, primo comma, n. 1, e 223 r.d. n. 267 del 1942 per avere la Corte di appello riconosciuto il diritto al risarcimento del danno a favore della parte civile, nonché omessa motivazione su tale punto.
Con il settimo motivo di appello lo S. aveva censurato le statuizioni civili della sentenza di primo grado sostenendo che la parte civile dovesse essere esclusa dal processo, ma su tale doglianza la Corte territoriale non si era pronunciata.
Il B. non era creditore personale del L., ma era creditore della D.H. avendo investito in obbligazioni di questa società. Lo stesso B. aveva affermato di avere richiesto il rimborso delle obbligazioni e di essersi recato presso la sede della società ove aveva incontrato il L. che gli aveva consegnato due assegni a saldo del suo diritto al rimborso.
Pertanto, o il B. veniva ritenuto creditore della D.H. e non del L., oppure anche il B. aveva tentato di ottenere in via preferenziale il pagamento del suo credito, comportandosi al pari dello S., senza tuttavia conseguire il suo scopo per la mancanza di copertura degli assegni. Conseguentemente non poteva ipotizzarsi un suo diritto al risarcimento del danno.
3.9. Con il nono motivo il ricorrente si duole della illegalità delle pene accessorie, la cui durata è stata determinata in misura fissa al sensi della disposizione sopra citata, dichiarata costituzionalmente illegittima con sentenza della Corte costituzionale n. 222 del 2018.
4. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso anche B.D.L., a mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento ed affidandosi a sei motivi.
4.1. Con il primo motivo lamenta violazione degli artt. 216, primo comma, n. 1, e 223 r.d. n. 267 del 1942 per carenza di prova in ordine alla consapevolezza da parte del D.L. dell’assenza di corrispettivo per la cessione del leasehold, nonché carenza o contraddittorietà della motivazione in ordine alla sussistenza di una controprestazione alla cessione del leasehold.
Nello specifico, egli deduce che all’atto del perfezionamento dell’accordo, ossia alla fine del mese di novembre del 2010 e agli inizi del mese successivo, non ricorrevano elementi che potessero fargli percepire che il L. versasse in difficoltà economiche o che egli fosse membro di una società di fatto; egli non aveva, quindi, avuto la possibilità di percepire che la cessione del leasehold integrasse una condotta distrattiva rilevante ai fini dell’art. 216 r.d. n. 267 del 1942.
Solo la partecipazione del L. ad una società di fatto aveva permesso di considerare un bene personale del L. come un bene della società di fatto, suscettibile di essere distratto e di dar vita ad un reato di bancarotta fraudolenta.
Secondo l’accusa il L. aveva ceduto il leasehold allo S. e quest’ultimo in cambio aveva ceduto titoli privi di valore effettivo a causa della insolvenza delle società del gruppo L.. Lo S. aveva ottenuto la disponibilità di un bene personale del L., che avrebbe così tacitato anticipatamente le pretese creditorie dello S.. Lo scambio sarebbe stato attuato attraverso lo schermo di varie società.
Il concorso del D.L. nel delitto discenderebbe dalla sua posizione di presidente del collegio sindacale della B.R. s.r.l. e dall’essere poi divenuto amministratore della G.L., cessionaria del leasehold sull’immobile; tali due ruoli, ritenuti tra loro in conflitto di interessi, e la conoscenza da molti anni dello S. hanno portato i giudici del merito a ritenere il suo concorso nel delitto di bancarotta.
Con i primi due motivi di appello si era dedotto che dalla circostanza che egli frequentasse lo S. e sua moglie da molti anni non poteva automaticamente farsi discendere la conoscenza da parte sua della perdita di valore dei titoli che poi erano stati scambiati con il leasehold; la sentenza di secondo grado, a fronte dell’ipotesi accusatoria in cui si sosteneva che tali titoli avessero perso il loro valore, era finanche arrivata a sostenere che i titoli fossero in realtà inesistenti perché alla E. s.a. non erano mai pervenute le somme che si asserivano essere state utilizzate per il loro acquisto e che la cessione del leasehold era, pertanto, avvenuta in assenza di corrispettivo.
La Corte di appello non aveva, però, affatto motivato sulla conoscenza da parte del D.L. della inesistenza dei titoli o della inesistenza di un loro effettivo valore.
4.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione degli artt. 216, primo comma, n. 1, e 223 r.d. n. 267 del 1942, nonché motivazione illogica o contraddittoria in ordine al contributo dell’imputato alla condotta distrattiva.
Con i motivi di appello si era dedotto che il concorso del D.L. nel delitto non poteva essere affermato sulla base del conflitto di interessi, peraltro temporaneo, tra le due cariche ricoperte o sulla base della qualifica di presidente del collegio sindacale della B.R. s.r.l. posseduta dallo S. all’atto della cessione del leasehold, ma fosse a tal fine necessario provare, in assenza di un contributo materiale da parte del D.L., il suo contributo morale.
L’operazione della cessione era stata attuata senza che il D.L. apportasse alcun contributo materiale, atteso che egli non aveva contribuito attivamente alla sua attuazione, né avrebbe potuto impedirla quale presidente del collegio sindacale, non potendo neppure rendersi conto del suo carattere illecito.
Nemmeno egli aveva conoscenza dell’esistenza di una società di fatto tra il L. ed il C. o altri.
Il D.L. era tenuto ad impedire atti di distrazione di beni facenti parte del patrimonio della B.R. s.r.l., ma non aveva analogo obbligo in relazione a beni appartenenti ad altre società.
Il conflitto di interessi tra le posizioni ricoperte in seno alla B.R. s.r.l. e la G.L. s.r.l. non era causa del pregiudizio arrecato ai creditori della società di fatto, né la circostanza che il D.L. fosse commercialista e presidente del collegio sindacale della B.R. lo rendeva automaticamente consapevole di tutte le operazioni di investimento attuate personalmente dallo S. e da sua moglie.
La sentenza aveva individuato nella delibera dell’assemblea dei soci della B.R. del 3 novembre 2010 la conferma della conoscenza dei dettagli dell’operazione da parte del D.L. ed il suo coinvolgimento nella stessa; nella delibera si incaricava lo S. di assistere la società in tutte le operazioni necessarie invitandolo ad agire in concerto con il presidente del collegio sindacale, ossia il D.L..
Dal mero invito rivolto allo S., però, sostiene il ricorrente, non poteva automaticamente desumersi la conoscenza da parte del D.L. delle caratteristiche e della natura dell’operazione.
Tale invito non dimostrava che il D.L. avesse tenuto condotte rilevanti in relazione a detta cessione. Il D.L. non aveva partecipato a detta assemblea, non aveva predisposto i contratti di cessione dei titoli dai coniugi S. alla B.R. s.r.l. e si era limitato a prendere atto dei dettagli dell’operazione di cessione del leasehold solo molto tempo dopo la sottoscrizione del contratto di cessione, ossia in occasione della riunione del collegio sindacale della B.R. del 20 aprile 2011.
La pretermissione di tali elementi integrava una carenza o una contraddittorietà della motivazione, imponendo l’annullamento della sentenza.
4.3. Con il terzo motivo il ricorrente si duole della violazione degli artt. 40 e 110 cod. pen. e degli artt. 216, primo comma, n. 1, e 223 r.d. n. 267 del 1942, nonché della carenza della motivazione in ordine all’elemento soggettivo del reato ed In particolare alla conoscenza da parte del D.L. dell’esistenza di una società di fatto, nonché in ordine al contributo al pregiudizio alle ragioni dei creditori.
Il diritto di leasehold era un bene personale del L. e non della E. s.a. e pertanto la sua cessione non poteva integrare una distrazione del patrimonio sociale della E. s.a..
Per sostenere che sussistesse un concorso del D.L. nel delitto di bancarotta fraudolenta commesso attraverso la distrazione di un bene, il diritto di leasehold, che era parte del patrimonio della società di fatto occorreva innanzitutto dimostrare che il L. fosse socio illimitatamente responsabile di detta società e che il D.L. fosse a conoscenza di tale sua qualità, nonché, in seconda battuta, che l’apporto del D.L. alla condotta dell’intraneus fosse stato cosciente e volontario e quindi attuato con la consapevolezza del pregiudizio che tale condotta arrecava alle ragioni dei creditori della società.
Tali profili non erano stati affatto affrontati dalla Corte di appello, che aveva dato per scontato che il D.L. fosse a conoscenza dell’esistenza della società di fatto e della qualità di socio illimitatamente responsabile rivestita in essa dal L.. Il D.L. non aveva mai avuto contatti con il L. e non aveva mai avuto conoscenza dell’esistenza di una società diversa dalla E. s.a..
La supposta società di fatto era il risultato di una forzatura giuridica, in quanto essa non aveva amministratori diversi da quelli delle altre società del gruppo e non disponeva di un fondo comune costituito da beni diversi da quelli delle società di diritto.
Per affermare che il D.L. fosse a conoscenza dell’esistenza della società di fatto non era sufficiente affermare che la sua esistenza era stata giudizialmente accertata nel 2015, quando il D.L. non aveva mai preso parte ad alcuna delle operazioni, anche preliminari, che avevano condotto alla cessione del leasehold.
Anche volendo considerare la condotta del D.L. successiva al perfezionamento della cessione del leasehold, il D.L. non avrebbe potuto venire a conoscenza della esistenza della società di fatto e della qualità di socio illimitatamente responsabile del D.L..
Peraltro, la Corte di appello aveva ritenuto che la cessione del leasehold si fosse perfezionata solo con l’incasso della somma di 1.900.000 sterline da parte della B.R. e la cancellazione dell’ipoteca, mentre l’incasso di tale somma non era mai avvenuto e neppure era mai stata cancellata l’ipoteca, ponendosi in contrasto con quanto sostenuto dal giudice di primo grado.
Sussisteva un netto contrasto tra il materiale probatorio e la decisione di secondo grado, che non aveva puntualmente analizzato le censure sollevate dal ricorrente.
4.4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce violazione degli artt. 42, 43 e 110 cod. pen. e vizio di motivazione in ordine alla sussistenza del dolo.
Il D.L. non aveva partecipato alle operazioni preliminari che avevano condotto alla cessione del leasehold ed aveva avuto cognizione delle caratteristiche dell’operazione solo in occasione della riunione del collegio sindacale del 20 aprile 2011.
Sulla base del principio affermato da questa Corte di cassazione secondo il quale il dolo dell’extraneus nel reato proprio dell’amministratore consiste nella volontarietà della propria condotta di sostegno a quella dell’intraneus, con la consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni del creditore, non essendo, invece, richiesta la specifica conoscenza del dissesto della società ( , Rv. 258950), la difesa aveva sostenuto che il D.L., sulla base degli elementi in suo possesso, non poteva immaginare la natura distrattiva dell’operazione e riteneva che questa fosse del tutto legittima, tanto da sollecitare la iscrizione della ipoteca a favore della B.R. s.r.l. all’atto della cessione della G.L. alla Spalding Investment. La Corte di appello aveva invece illogicamente ritenuto che tale ipoteca dimostrasse il conflitto di interessi del D.L..
4.5. Con il quinto motivo il ricorrente lamenta violazione dell’art. 216, primo comma, n. 1, e terzo comma, r.d. n. 267 del 1942, nonché omessa o contraddittoria motivazione in ordine alla mancata riqualificazione del fatto come bancarotta fraudolenta preferenziale.
Con uno specifico motivo di appello si era dedotto che il fatto poteva al massimo integrare il delitto di bancarotta fraudolenta preferenziale, atteso che lo S. aveva ottenuto in via preferenziale il pagamento di un suo credito, ma non aveva concorso a determinare una condotta puramente distrattiva.
La Corte di appello non aveva accolto tale motivo osservando che lo S. era creditore della E. e non della società di fatto dichiarata fallita e il L. non aveva prestato fideiussione per i crediti dello S. nei confronti della E. s.a..
In realtà, agli atti era presente la garanzia prestata dal L. per il debito della E.; peraltro vi era sostanziale coincidenza tra la società di fatto e la E. cosicché non poteva dubitarsi che il pagamento in favore dello S. integrasse una bancarotta preferenziale.
Se nel patrimonio della società di fatto andavano a convergere sia i patrimoni dei singoli soci, sia quelli delle società del gruppo L., il credito dello S. poteva essere fatto valere sia nei confronti della E., sia nei confronti della società di fatto, sia nei confronti del L., come socio illimitatamente responsabile dei debiti di questa.
4.6. Con il sesto motivo il ricorrente lamenta la mancanza o contraddittorietà della motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio.
Nel giudizio di appello erano state invocate l’applicazione del minimo edittale e le circostanze attenuanti generiche nella massima estensione, mentre la Corte di appello aveva rigettato tali richieste con una formula di stile, osservando che il Tribunale aveva già correttamente distinto il trattamento sanzionatorio riservato ai due imputati. La differenza tra i due trattamenti sanzionatori era estremamente minima e per ciò stesso ingiustificata, atteso il minor ruolo del D.L. nella vicenda in esame e l’assenza di un vantaggio economico personale in capo al ricorrente, oltre alla modesta entità del danno cagionato ai creditori.
Considerato in diritto
1. Il ricorso di A.S. è fondato.
1.1. Il secondo motivo di ricorso è fondato laddove si lamenta la illogicità o manifesta contraddittorietà della motivazione della sentenza in ordine alla sussistenza del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione.
1.1.1. La sentenza di primo grado, per affermare la penale responsabilità dello S., ha affermato che i titoli ceduti quale prezzo del leasehold esistevano, ma il loro valore era scarsissimo.
A fronte delle censure sollevate dallo S. per contrastare tale assunto, la Corte di appello ha sostenuto che i titoli sarebbero perfino inesistenti, mancando la prova dei conferimenti, da parte dei coniugi S., alla società E. s.a. delle somme di denaro che sarebbero occorse per acquistare i titoli.
Tale assunto, tuttavia, come segnalato dal ricorrente si pone in netto contrasto con le parti della motivazione della stessa sentenza in cui si ammette la effettività dell’investimento dello S. nei titoli stessi al fine di affermare che è provato l’elemento soggettivo del reato a pag. 22 della sentenza impugnata la Corte di appello attribuisce valore decisivo ad una scrittura sottoscritta da G. C. D.V., che, secondo la Corte di appello, integrerebbe una ricognizione di debito del C. per una somma corrispondente all’entità dell’investimento dello S.; in particolare, secondo i giudici di appello, poiché il C. era estraneo alla E. s.a., tale documento aveva reso manifesto allo S. che tra il L. ed il C. vi era una comunanza di interessi che poteva trovare giustificazione solo nella loro comune partecipazione alla società di fatto poi dichiarata fallita.
Inoltre, sempre al fine di affermare la sussistenza del dolo, a pag. 23 della sentenza impugnata si sostiene che lo S. era a conoscenza dell’insolvenza del L. perché quest’ultimo non aveva dato seguito alla richiesta dell’odierno ricorrente di trasferire i titoli su un conto titoli intestato ai coniugi S. presso una banca italiana. Un tale ragionamento presuppone necessariamente che il diritto dei coniugi S. al trasferimento in loro favore dei titoli fosse effettivo e non fittizio.
Tali argomentazioni si pongono in insanabile contrasto con la affermazione che il diritto dei coniugi S. ai titoli fosse inesistente.
1.1.2. Il motivo di ricorso è fondato anche laddove si lamenta il travisamento della scrittura firmata dal L. con la quale quest’ultimo riconosce di avere ricevuto dallo S. la somma di euro 1.160.000,00, obbligandosi a restituire detto importo.
La scrittura è stata allegata al ricorso (all. 1) in osservanza del principio di autosufficienza. Si tratta di una fotocopia della carta di identità del L. in calce alla quale è apposta una scrittura sottoscritta dal solo L. in cui quest’ultimo dà atto di avere ricevuto la somma di euro 1.160.000,00 e si impegna a restituire la medesima somma; in calce alla scrittura firmata dal L. vi è altra scrittura firmata dal C., che dà atto di avere ricevuto ulteriori euro 150.000,00, ma non assume alcuna obbligazione personale.
E’ illogico dare credito a detta scrittura per affermare il dolo in capo allo S. e tuttavia omettere di tenere conto che dalla stessa emerge la consegna in contanti di somme sostanzialmente corrispondenti all’investimento in titoli attuato dai coniugi S. tramite la E. s.a.. Risulta il travisamento per omissione della scrittura nella parte in cui da essa risulta la consegna in contanti delle somme che la Corte di appello, per arrivare ad affermare la inesistenza dei titoli, assume non essere mai state versate alla predetta società.
2.3. E’, invece, infondato il motivo di ricorso laddove si sostiene che la registrazione, effettuata dal L., di una conversazione tra il predetto e lo S. è inutilizzabile.
In tema di prove, la registrazione fonografica di conversazioni o comunicazioni realizzata, anche clandestinamente, da chi vi abbia partecipato o sia stato comunque autorizzato ad assistervi non è riconducibile alla nozione di intercettazione ma costituisce prova documentale, a condizione che l’autore abbia effettivamente e continuativamente partecipato o assistito alla conversazione registrata (Sez. 5, n. 13810 del 11/02/2019, Megna, Rv. 275237).
Nel resto, laddove si lamenta l’omessa motivazione in ordine ai rilievi formulati dalla difesa del ricorrente per affermare l’inattendibilità della registrazione, risultante dalla sovrapposizione di due distinte conversazioni, e delle dichiarazioni rese dal L. in occasione della conversazione registrata, nonché laddove si lamenta l’illogicità della motivazione per avere escluso la esistenza dei titoli in capo alla E. s.a. alla data della cessione del leasehold sulla base delle risultanze della contabilità della E. s.a. in epoca successiva o di quanto rilevato dalla CONSOB, trattasi di questioni che, a seguito della fondatezza degli altri argomenti addotti a sostegno dell’illogicità della motivazione, risultano assorbiti.
1.2. E’, invece, infondato il terzo motivo di ricorso.
Il vizio di motivazione che denunci la carenza argomentativa della sentenza rispetto ad un tema contenuto nell’atto di impugnazione può essere utilmente dedotto in Cassazione soltanto quando gli elementi trascurati o disattesi abbiano carattere di decisività (Sez. 6, n. 3724 del 25/11/2015, dep. 2016, Perna, Rv. 267723). Per la sussistenza del vizio di contraddittorietà della motivazione, per omessa valutazione di circostanze risultanti dagli atti, è necessario che tali circostanze abbiano carattere decisivo, ovvero ineriscano a circostanze di fatto che, ove valutate, possano condurre ad una decisione diversa.
Nel caso di specie, la circostanza che la B.R. s.r.l. abbia ricevuto il pagamento della somma di 1.900.000 sterline dalla S.R.E. s.a. è irrilevante.
In tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, l’elemento oggettivo è costituito dal distacco – con qualsiasi forma e con qualsiasi modalità esso avvenga – del bene dal patrimonio dell’imprenditore, con conseguente possibilità di depauperazione patrimoniale nei confronti dei creditori. Anche il recupero o la possibilità di recupero del bene è ininfluente sulla sussistenza del detto elemento materiale, in quanto la fattispecie si perfeziona al momento del distacco del bene dal patrimonio, anche se il reato viene ad esistenza giuridica con la dichiarazione di fallimento (Sez. 5, n. 4739 del 23/03/1999, Olivieri Rv. 213120; Sez. 5, n. 6869 del 27/01/1999, Iannacione, Rv. 213599).
Nel caso di specie, quindi, poiché la condotta distrattiva deve ritenersi realizzata già nel momento in cui il L. ha ceduto il leasehold alla G. Itd., ai fini della sussistenza del reato, non rileva che la B.R. abbia o meno ricevuto dalla S.R.E. s.a. il prezzo della cessione delle quote di partecipazione alla G. Itd. e che l’ipoteca sia stata o meno cancellata.
1.3. Anche il quinto motivo di ricorso è parzialmente fondato.
1.3.1. Si è già detto che la Corte di appello ha ritenuto provata la conoscenza da parte dello S. della esistenza della società di fatto e della partecipazione ad essa del L. sulla base di una ricognizione di debito operata dal C..
Trattasi della scrittura privata con la quale il C. dà atto di avere ricevuto la somma in contanti di euro 150.000,00.
Il ricorrente si duole che in tale scrittura la Corte di appello abbia ravvisato una ricognizione di debito da parte del C. e non abbia dato risposta ai rilievi contenuti in una memoria difensiva depositata nel corso del giudizio di secondo grado con i quali si contestava che con la predetta scrittura il C. avesse riconosciuto un debito.
Gli atti che pongono questioni ulteriori rispetto a quelle dedotte con i motivi di impugnazione non sono da considerare memorie né richieste ai sensi dell’art. 121 cod. proc. pen. ed in relazione ad essi si applica la disciplina dei motivi nuovi di cui all’art. 585, comma 4, cod. proc. pen., con la conseguenza che l’obbligo per il giudice di appello di procedere alla valutazione di una memoria difensiva sussiste solo se ed in quanto il contenuto della stessa sia in relazione con le questioni devolute con l’impugnazione (Sez. 2, n. 36118 del 26/06/2019, F, Rv. 277076; Sez. 1, n. 34461 del 10/03/2015, Pica, Rv. 264493).
Nel caso di specie, il contenuto della memoria, con la quale si è negato che la scrittura integri una ricognizione di debito, si pone in netto contrasto con l’atto di appello dello S. che (a pag. 25) ha invece dato per scontato che la scritturi integri una ricognizione di debito e ha sostenuto che questa trova giustificazione nel rapporto di amicizia tra il C. e lo S. e nella circostanza che il primo, quale consulente finanziario dell’odierno ricorrente, si era reso garante dell’affidabilità e della serietà della E. s.a..
Ne consegue che la Corte di appello non era tenuta a motivare sulla questione dedotta con la memoria difensiva, in quanto volta a sollevare tardivamente una questione nuova ed addirittura in contrasto con il contenuto dell’atto di appello.
Ne deriva l’inammissibilità del motivo di ricorso in relazione a tale aspetto.
1.3.2. Il ricorso è pure infondato laddove si lamenta la mancanza di motivazione in ordine agli argomenti prospettati dall’imputato in senso contrario.
La Corte di appello ha illustrato il proprio ragionamento affermando che la ricognizione di debito, comportando l’assunzione di un’obbligazione particolarmente onerosa, non può trovare spiegazione nel rapporto di amicizia tra il C. e lo S. o nel fatto che il primo avesse indicato al secondo la E. s.a. per i suoi investimenti e deve, quindi, essere dovuto ad una comunanza di ben più pregnanti interessi tra il L. ed il C. di cui lo S., quale beneficiario della ricognizione, doveva essersi reso conto.
Il ricorso è, invece, fondato laddove si evidenzia che dalla sussistenza di una comunanza di interessi tra il L. ed il C., resa evidente, secondo il ragionamento dei giudici del merito, dalla suddetta ricognizione di debito, non può automaticamente farsi discendere la conoscenza da parte dello S. della esistenza di una società di fatto e della partecipazione del L. ad essa.
La ricognizione di debito è circostanza di fatto il cui valore probatorio non è univoco, potendo essa trovare giustificazione anche in rapporti economici di altro tipo tra il L. ed il C..
Pertanto, affermare che lo S. fosse a conoscenza della ricognizione di debito del C. non equivale per ciò stesso ad affermare che lo S. conoscesse la natura dei rapporti dai quali traeva origine la comunanza di interessi e sapesse dell’esistenza della società di fatto.
La conoscenza, da parte dello S., della comunanza di interessi tra il lande ed il C., per avere quest’ultimo operato la ricognizione di debito, vale ad integrare solo un indizio della conoscenza, in capo all’odierno ricorrente, della esistenza della società di fatto.
In tema di valutazione probatoria, la differenza tra prova e indizio è costituita dal fatto che mentre la prima, in quanto si ricollega direttamente al fatto storico oggetto di accertamento, è idonea ad attribuire carattere di certezza allo stesso, l’indizio, isolatamente considerato, fornisce solo una traccia indicativa di un percorso logico argomentativo, suscettibile di avere diversi possibili scenari, e, come tale, non può mai essere qualificato in termini di certezza con riferimento al fatto da provare (Sez. 5, n. 16397 del 21/02/2014, Maggi, Rv. 259551).
Nel caso di specie, poiché l’affermazione, da parte della Corte di appello, che è provato che lo S. fosse a conoscenza della esistenza della società di fatto tra il L. ed altri soggetti si basa su un mero indizio, a supporto del quale non vengono indicati ulteriori elementi di prova, risulta fondata la censura del ricorrente nella parte in cui si duole della illogicità della motivazione, che non spiega perché la versione dei fatti da essa indicata risulti provata oltre ogni ragionevole dubbio.
1.3.3. Il motivo di ricorso è invece inammissibile laddove il ricorrente lamenta mancanza di motivazione in ordine alla conoscenza da parte sua dello stato di insolvenza del L..
Con l’atto di appello il ricorrente ha sostenuto che non era possibile affermare il suo concorso nel delitto di bancarotta fraudolenta perché non era dimostrato che al momento della cessione del leasehold egli fosse a conoscenza dell’insolvenza del L., poi dichiarato fallito.
A tal fine il ricorrente ha invocato l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale nel reato di bancarotta fraudolenta per distrazione lo stato di insolvenza che da luogo al fallimento costituisce elemento essenziale del reato, in qualità di evento dello stesso e pertanto deve porsi in rapporto causale con la condotta dell’agente e deve essere, altresì, sorretto dall’elemento soggettivo del dolo (Sez. 5, n. 47502 del 24/09/2012, Corvetta, Rv. 253493).
Deve allora osservarsi in questa sede che tale orientamento esprime un principio ormai superato dalla successiva evoluzione della giurisprudenza di questa Corte di cassazione, anche a Sezioni Unite, che ha affermato che l’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è costituito dal dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza del soggetto poi dichiarato fallito, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli, Rv. 266805).
In particolare, in tema di concorso nel delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, il dolo del concorrente extraneus nel reato proprio dell’amministratore consiste nella volontarietà della propria condotta di apporto a quella dell’intraneus, con la consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori, non essendo, invece, richiesta la specifica conoscenza del dissesto della società, la quale può rilevare sul piano probatorio, quale indice significativo della rappresentazione della pericolosità della condotta per gli interessi dei creditori (Sez. 5, n. 38731 del 17/05/2017, Bolzoni, Rv. 271123).
Ne consegue che il motivo di appello era comunque manifestamente infondato.
Deve allora osservarsi che è inammissibile, per carenza d’interesse, il ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado, che non abbia preso in considerazione un motivo di appello, che risulti ab origine inammissibile per manifesta infondatezza, in quanto l’eventuale accoglimento della doglianza non sortirebbe alcun esito favorevole in sede di giudizio di rinvio (Sez. 2, n. 10173 del 16/12/2014, dep. 2015, Bianchetti, Rv. 263157; vedi pure Sez. 6, n. 47722 del 06/10/2015, Arcone, Rv. 265878).
1.4. Le ragioni poco sopra esposte conducono all’inammissibilità del sesto motivo di ricorso, laddove con esso il ricorrente si duole della motivazione della sentenza nella parte in cui si afferma che lo S. era a conoscenza della insolvenza del L..
Lo stesso motivo di ricorso rimane invece assorbito – in conseguenza dell’accoglimento dei precedenti motivi risultati fondati – nella parte in cui lo S. si duole dell’affermazione che egli fosse a conoscenza della qualità, posseduta dal L., di socio illimitatamente responsabile della società irregolare.
1.5. Anche il settimo motivo di ricorso risulta fondato.
Con l’atto di appello il ricorrente ha sostenuto che in ogni caso il delitto di bancarotta andava più correttamente qualificato quale delitto di bancarotta preferenziale ai sensi dell’art. 216, terzo comma, r.d. n. 267 del 1942.
La Corte territoriale ha rigettato il motivo di gravame asserendo che non ricorre una bancarotta preferenziale perché lo S. era creditore della E. e non della società di fatto dichiarata fallita.
In contrario deve osservarsi che allo S. si contesta di avere concorso con il L. nella distrazione di un suo bene personale e non alla distrazione di un bene appartenente alla società irregolare.
In caso di fallimento di una società di persone irregolare, il fallimento deve essere esteso ai soci illimitatamente responsabili ai sensi dell’art. 147 r.d. cit.; le procedure fallimentari della società e dei singoli soci rimangono tuttavia distinte, secondo quanto espressamente previsto dall’art. 148 r.d. cit..
Pertanto, laddove il socio illimitatamente responsabile distragga un suo bene personale, egli sarà responsabile del delitto di bancarotta fraudolenta in relazione al proprio fallimento.
Ai fini della configurabilità, in capo al socio illimitatamente responsabile di una società in nome collettivo dichiarata fallita, del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione dei beni del suo patrimonio personale è necessario che il fallimento sia stato esteso nei suoi confronti ai sensi dell’art. 147 r.d. gt. (Sez. 5, n. 13091 del 26/01/2016, Costantino, Rv. 266383) ed il reato deve considerarsi consumato alla data della dichiarazione di fallimento del socio, laddove essa sia diversa da quella della dichiarazione di fallimento della società (Sez. 5, n. 31610 del 22/03/2016, Chiarini, Rv. 267852).
Difatti, nel capo di imputazione si indica il leasehold quale <<bene riconducibile alla persona fisica di G.L.>> e, ai fini della consumazione del reato, si fa riferimento alla data di dichiarazione di fallimento dei soci illimitatamente responsabili, tra i quali lo stesso L..
Pertanto, al fine di verificare se la cessione del diritto immobiliare integri una bancarotta preferenziale occorreva valutare se lo S. vantasse un credito nei confronti del L. e se quest’ultimo, al momento della cessione, fosse o meno insolvente.
Pertanto, il motivo di ricorso con il quale si lamenta violazione di legge per avere la Corte territoriale negato che la condotta del L. possa integrare una bancarotta preferenziale perché lo S. non era creditore della società irregolare risulta fondato, atteso che a tal fine rileva invece la sussistenza di un credito dello S. nei confronti del L..
Laddove, poi, la Corte di appello si spinge a negare la sussistenza di un credito dello S. nei confronti del L., la motivazione risulta illogica e contraddittoria, atteso che la stessa Corte di appello omette di considerare la ricognizione di debito del L., contenuta nella scrittura con la quale egli si impegnava a restituire la somma di 1.160.000 sterline, e la garanzia contenuta in altra scrittura del 22 luglio 2010 con la quale il L. si impegnava personalmente ed in solido con la E. s.a. a rimborsare allo S. il valore degli investimenti effettuati per il tramite di detta società.
1.6. Il secondo, il quarto, l’ottavo ed il nono motivo del ricorso di A.S. restano assorbiti.
In particolare, quanto al secondo motivo di ricorso, deve osservarsi che la pretesa diversità del fatto per il quale è stata pronunciata condanna, sulla quale si fonda il motivo stesso, è un risultato al quale la Corte di appello è pervenuta attraverso un ragionamento caratterizzato da manifesta illogicità e contraddittorietà, per le ragioni già espresse al § 1.1. delle considerazioni in diritto della presente sentenza.
L’accoglimento del secondo motivo di ricorso ed il conseguente annullamento della sentenza nella parte in cui pone a fondamento della decisione un ragionamento illogico per affermare la inesistenza dei titoli ceduti al L. quale prezzo del leasehold travolge proprio quell’elemento di <<diversità>> segnalato dal ricorrente per invocare l’applicazione dell’art. 521, comma 2, cod. proc. pen..
2. Anche il ricorso di B.D.L. è fondato.
2.1. In particolare, risulta fondato il secondo motivo.
Nella sentenza di secondo grado non viene indicato un contributo materiale apportato dal D.L. alla distrazione del leasehold.
Si è già detto in precedenza che l’elemento oggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale è costituito dal distacco – con qualsiasi forma e con qualsiasi modalità esso avvenga – del bene dal patrimonio dell’imprenditore, con conseguente possibilità di depauperazione patrimoniale nei confronti dei creditori e che la fattispecie si perfeziona al momento del distacco del bene dal patrimonio, anche se il reato viene ad esistenza giuridica con la dichiarazione di fallimento (Sez. 5, n. 4739 del 23/03/1999, Olivieri Rv. 213120; Sez. 5, n. 6869 del 27/01/1999, Iannacione, Rv. 213599).
Nel caso di specie la condotta distrattiva si è realizzata con la cessione del leasehold da parte del L., avvenuta nel gennaio 2011, e conseguentemente non rilevano le condotte tenute dal D.L. successivamente alla cessione.
In particolare, non rileva che il D.L. sia divenuto amministratore della G. Itd. nel dicembre del 2011 o che egli abbia ricoperto la posizione di legale rappresentante della E.C.S. s.r.l. s.r.l., società che ha acquistato nel marzo 2012 l’incarico di tenere la contabilità della B.R. s.r.l.
Neppure rileva il preteso conflitto di interessi tra la posizione di amministratore della G. Itd. e quella di sindaco della B.R. s.r.l., che sarebbe sorto solo successivamente alla nomina del D.L. quale amministratore della G. Itd..
Quanto alla sua posizione di sindaco della B.R. s.r.l., da essa certo non discendeva un suo obbligo di attivarsi per impedire la commissione di reati da parte di soggetti terzi, diversi dagli amministratori della società in seno alla quale egli rivestiva la posizione di sindaco.
Questa Corte di cassazione ha già affermato, in tema di bancarotta, che non è configurabile la responsabilità dell’amministratore di una società diversa da quella fallita nel reato proprio, ex art. 40, comma secondo, cod. pen., la quale, integrata dalla posizione di garanzia, ai sensi dell’art. 2392 cod. civ., è invocabile solo con riferimento agli atti di gestione della società amministrata e non può invece estendersi ad atti compiuti da amministratori di società terze; tuttavia l’amministratore di una società diversa da quella fallita può concorrere quale extraneus nel reato mediante una partecipazione attiva (Sez. 5, n. 7556 del 28/11/2012 – dep. 2013, Accorinti, Rv. 254653).
Il medesimo principio deve ritenersi operante anche in relazione ai componenti del collegio sindacale.
Dagli artt. 2403 e ss. cod. civ. deriva l’obbligo dei sindaci di controllare l’operato degli amministratori della società in seno alla quale essi rivestono la posizione di sindaco e di attivarsi per evitare che gli amministratori arrechino danno al patrimonio della società da essi gestita, anche attraverso condotte integranti il delitto di bancarotta, ma poiché essi rivestono una posizione di garanzia esclusivamente a tutela della società alla quale sono legati in virtù del contratto di prestazione d’opera, essi non sono tenuti ad impedire la commissione di delitti di bancarotta da parte degli amministratori di altre società nei quali possono concorrere solo attraverso una condotta attiva.
Quanto ad un’eventuale condotta attiva del D.L. che abbia contribuito alla distrazione del leasehold da parte del L., essa non può farsi discendere dal contenuto della delibera dell’assemblea dei soci della B.R. s.r.l. del 3 novembre 2010 (a pag. 25 della sentenza impugnata è erroneamente indicata nel 3 novembre 2011) con la quale lo S. veniva incaricato di assistere la società in tutte le operazioni necessarie all’acquisizione del leasehold e veniva invitato ad agire in concerto con il presidente del collegio sindacale, B.D.L..
Tale invito, infatti, non vale da solo a dimostrare che sia stato accolto dallo S. e che quest’ultimo abbia effettivamente investito della questione il D.L.; esso, soprattutto, non vale a dimostrare che il D.L. si sia concretamente interessato della questione collaborando con lo S. per la acquisizione di tale diritto.
Anche in questo caso la prova viene desunta da un mero indizio.
E’ ben vero che nella motivazione della sentenza impugnata in questa sede (a pag. 25 in alto) si afferma che lo S. ha dichiarato che il D.L. lo consigliava sulle scelte operative ed economiche e che l’operazione venne realizzata con il contributo fattivo del D.L., ma nella sentenza non si specifica affatto in cosa tale contributo sarebbe specificamente consistito e quando esso sarebbe stato realizzato, atteso che solo una collaborazione attuata antecedentemente alla cessione, per quanto già sopra esposto, potrebbe integrare un concorso del D.L. nel delitto, mentre dall’accertamento fattuale contenuto nelle due sentenze di merito risulta che il suo intervento nella vicenda è successivo alla cessione del leasehold.
2.2. Risultano fondati anche il primo ed il terzo motivo di ricorso, che possono essere trattati unitariamente, atteso che con entrambi il D.L. attacca la sentenza di secondo grado laddove ha ritenuto sussistente in capo allo stesso il dolo del delitto di bancarotta fraudolenta.
Il D.L. ha contestato, a mezzo di specifici motivi di appello, la conoscenza da parte sua della circostanza che il L. fosse socio illimitatamente responsabile di una società irregolare e della natura distrattiva della cessione del leasehold.
A tali motivi la Corte territoriale non ha dato risposta, limitandosi ad affermare che il D.L., quale sindaco della B.R. s.r.l. e provvedendo alla tenuta della contabilità di questa società, ne seguiva l’andamento e ne certificava le scelte societarie, ma la motivazione risulta apparente perché non si spiegano le ragioni per le quali il D.L., seguendo la gestione della B.R. s.r.l., avrebbe dovuto sapere della esistenza di una società irregolare tra il L. ed altri soggetti.
Inoltre si afferma che la circostanza che il D.L. fosse a piena conoscenza delle questioni relative ai rapporti tra lo S. ed il L. emergeva dal rinvenimento, presso lo studio del C., altro professionista, di una lettera del comitato degli investitori di E.D. indirizzata a R.R. e sottoscritta dal D.L. nella quale si parlava della situazione debitoria del L..
Anche in relazione a tale lettera non si chiarisce perché da essa dovrebbe evincersi la conoscenza da parte del D.L. della qualità, in capo al L., di socio illimitatamente responsabile di una società di persone irregolare.
Dalla sentenza di primo grado (pag. 65) emerge che trattasi di una missiva priva di data dalla quale emerge che il commercialista sapeva dell’esistenza di altri investitori che avanzavano nei confronti delle società di capitali controllate dal L. pretese analoghe a quelle dello S..
Ma, anche volendo prescindere dalla mancanza di data di detta scrittura – che impedisce di collocare nel tempo la conoscenza da parte del D.L. delle circostanze di fatto in essa rappresentate, mentre il dolo deve sussistere già nel momento della condotta distrattiva -, dalla predetta missiva, secondo quanto emerge dalle due sentenze di merito, poteva semmai desumersi solo che il D.L. sapesse dell’insolvenza del L. quale persona fisica – che peraltro è irrilevante ai fini del dolo dell’extraneus concorrente nel delitto di bancarotta commesso dall’intraneus, per quanto sopra già esposto (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli, Rv. 266805; Sez. 5, n. 38731 del 17/05/2017, Bolzoni, Rv. 271123) – e non dell’esistenza della società irregolare.
La motivazione in ordine alla sussistenza del dolo in capo al D.L. appare, quindi, assolutamente carente ed illogica.
2.3 Anche il quinto motivo di ricorso risulta fondato.
Il motivo è pressoché identico al settimo motivo del ricorso di A.S., cosicché esso risulta fondato per le ragioni già illustrate al § 1.5. delle considerazioni in diritto della presente sentenza.
2.4. I residui motivi del ricorso di B.D.L. restano assorbiti.
3. Concludendo, la sentenza impugnata deve essere annullata in relazione alle posizioni di entrambi gli imputati con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Roma per nuovo esame.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo esame ad altra Sezione della Corte di appello di Roma.
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