CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 06 maggio 2020, n. 8486
Tributi – Importazioni – Accertamento per il recupero di dazi – Falsità dei certificati di origine – Esimente della buona fede dell’importatore – Esclusione – Pagamento dei dazi
Fatto
1. La Commissione tributaria provinciale di La Spezia ha rigettato il ricorso della società (…) – CAD – A.T. S.r.l., quale rappresentante indiretto per conto della B. S.r.l., avverso l’avviso di accertamento per il recupero di dazi all’importazione emesso dall’Agenzia delle dogane, con cui era stata revocata l’esenzione antidumping accordata alla merce – accessori per tubi – esportata nell’anno 2008 dalla N.H.P.F. LTD, essendo emerso che l’origine della stessa non era taiwanase, bensì cinese e in Taiwan non aveva subito alcun tipo di lavorazione o trasformazione.
2. La Commissione tributaria regionale della Liguria ha accolto l’appello della società ed annullato l’avviso di accertamento.
3. Il giudice d’appello riteneva sussistente la buona fede della contribuente sul rilievo che la vicenda si era rivelata particolarmente intricata: – la ditta cinese era stata sempre in possesso del certificato antidumping; – l’esenzione era stata revocata nel 2009, in quanto i prodotti venivano sottoposti in Taiwan a lavorazioni insufficienti a conferire l’origine; – si erano svolte due indagini Olaf nel 2010 e 2011; – vi erano state dichiarazioni della Camera di Commercio cinese e dei dirigenti della ditta N. discordanti; – la visita compiuta dai dirigenti della B. Srl era di lettura ambivalente; – lo svolgimento dei fatti e il comportamento dell’importatore, che aveva agito con cautela, potevano evidenziare la sua buona fede.
3. La sentenza è stata impugnata dalla Agenzia delle Dogane sulla base di due motivi. Il Centro Assistenza Doganale – CAD A. srl – è rimasto intimato.
Diritto
1. Con il primo motivo, l’amministrazione denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 220 Reg. CEE 2913/1992, vigente ratione temporis per aver la CTR desunto presuntivamente la buona fede della contribuente in assenza delle condizioni previste dalla giurisprudenza comunitaria e nazionale (errore nella riscossione delle autorità competenti, tale da non poter essere rilevato dal debitore di buona fede che abbia rispettato tutte le normative sulla dichiarazione in dogana). Nel caso in esame non vi era stato nessun errore dell’amministrazione e le indagini Olaf avevano dimostrato che la ditta esportatrice non aveva una produzione propria e l’inesattezza dei certificati antidumping.
Con il secondo motivo eccepisce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 3 Reg. CE 1073/1999 per aver addossato all’amministrazione l’onere di provare la provenienza delle merci importate, laddove la relazione Olaf aveva esposto gli elementi a sostegno della falsità delle certificazioni rilasciate dalle autorità doganali, sicché l’onere della prova sull’origine della merce spettava alla contribuente.
Il primo motivo è fondato e il suo accoglimento determina l’assorbimento del secondo.
Ed invero, la CTR ha omesso di considerare che lo stato soggettivo di buona fede dell’importatore, richiesto dall’art. 220 Regolamento CEE n. 2913 del 1992 non ha valenza esimente “in re issa”, ma solo in quanto sia riconducibile ad una delle situazioni fattuali individuate dalla normativa comunitaria, tra le quali va annoverato l’errore incolpevole, ossia non rilevabile dal debitore di buona fede, nonostante la sua esperienza e diligenza, e che, per assumere rilievo scriminante, deve essere in ogni caso imputabile a comportamento attivo delle autorità doganali, non rientrandovi quello indotto da dichiarazioni inesatte dello stesso operatore (v. Cass. n. 7674/2012).
Peraltro, rispetto al requisito della buona fede dell’importatore il quale abbia confidato nella genuinità dei certificati di circolazione di merci importate in regime rilasciati dall’esportatore, si è più volte affermato che tale stato soggettivo non lo esime dal pagamento del dazio effettivamente dovuto ma, quando si faccia questione dell’affidamento su un certificato attestante l’origine preferenziale della merce rilasciato dall’autorità di un paese terzo e che si accerti successivamente essere inesatto, rileva solo se il rilascio irregolare di questo sia dovuto ad un errore di detta autorità, che, oltre a non essere ragionevolmente rilevabile dal debitore, il quale abbia comunque osservato tutte le prescrizioni della normativa in vigore, non sia determinato da una situazione inesatta riferita dall’esportatore. Ciò in quanto, secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia, la Comunità non è tenuta a sopportare le conseguenze di comportamenti scorretti dei fornitori dei suoi cittadini rientranti nel rischio dell’attività commerciale, contro il quale gli operatori economici possono premunirsi solo nell’ambito dei loro rapporti negoziali (cfr. Cass. n. 15758 del 19/09/2012).
In particolare, il legittimo affidamento del debitore merita la tutela prevista da detta disposizione solo se sono state le autorità competenti «medesime» a porre in essere i presupposti sui quali si basava tale legittimo affidamento, ossia «solo gli errori imputabili a un comportamento attivo delle autorità competenti fanno sorgere il diritto a che i dazi doganali non vengano recuperati a posteriori» (v. sentenze sopra citate e, da ultimo, 16 marzo 2017, Veloserviss, C-47/16, punto 28).
Orbene, come si ricava dalla sentenza impugnata, nessun errore attivo è imputabile all’Amministrazione doganale e, anzi, le fraudolente indicazioni apposte sulla bolletta doganale da parte dell’importatore – per come risulta dagli accertamenti Olaf, riportati nel p.v.c. trascritto nel ricorso (pagg. 12-23) e nell’avviso di rettifica, in punto di assenza di produzione della merce a Taiwan e importazione della stessa dalla Cina -, note all’importatrice B. s.r.l., hanno comportato la mancata immediata applicazione dei maggiori dazi, sicché – al contrario di quanto affermato dalla CTR – non sussistono i presupposti per l’applicazione dell’invocata esimente.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Liguria in diversa composizione.
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