CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 giugno 2021, n. 18468
Tributi – Contenzioso tributario – Atti impugnabili – Intimazione di pagamento successiva alla prodromica cartella di pagamento notificata e non contestata – Esclusione
Ritenuto che
1. Con avviso di accertamento notificato l’8.8.2010 l’Agenzia delle entrate rettificava il valore venale degli immobili oggetto della compravendita avvenuta il 30.7.2007 e registrata il 7.8.2007, ed accertava, a carico della T.T. S.p.a., parte acquirente, una maggiore imposta complementare di registro, ipotecaria, catastale ed interessi per €. 1.012.407,36 oltre sanzioni.
2. Avverso l’atto di imposizione la contribuente proponeva ricorso chiedendo, in via preliminare, la sospensione cautelare dell’esecutività dell’atto impugnato ex art. 47 d.lgs. n. 546 del 1992 e contestando nel merito la pretesa erariale. La CTP, con ordinanza del 15.3.2010 n. 44/04/10 accoglieva l’istanza di sospensione e con successiva sentenza n. 110/04/10 del 4.10.2010 annullava l’avviso di accertamento impugnato. La suindicata ordinanza veniva, però, emessa successivamente all’iscrizione a ruolo da parte dell’Agenzia delle entrate, ex art. 56 d.P.R. n. 131 del 1986, delle somme non versate pari ad un terzo delle maggiori imposte accertate, oltre interessi e sanzioni per omesso versamento (ex art. 13, comma 2, d.lgs. n. 471 del 1997 e art. 17, comma 3, d.lgs. n. 472 del 1997). A seguito della trasmissione del ruolo all’organo di riscossione veniva emessa la cartella esattoriale di €. 456.026,48 (notificata il 27.5.2010) avverso la quale la società contribuente formulava istanza di sgravio e richiesta di annullamento in ragione dell’ordinanza della CTP sopra riportata, rispetto alle quali l’Agenzia delle entrate si limitava ad effettuare uno sgravio parziale mantenendo l’iscrizione a ruolo delle sanzioni. Il 21.9.2011 la contribuente proponeva nuova istanza volta ad ottenere lo sgravio totale della cartella sopra indicata e, dunque, delle residue somme in essa indicate afferenti alle sanzioni applicate in quanto a seguito della sospensione dell’esecutività dell’accertamento, non sussistevano i presupposti di cui all’art. 13, comma 2, d.lgs. n. 471 del 1997 e, comunque, era stato annullato l’atto impositivo a cui tali sanzioni erano riferite.
3. Con atto di intimazione di pagamento, notificato il 6.10.2011, l’Agenzia delle entrate richiedeva il pagamento delle somme indicate nella cartella oggetto di sgravio parziale da parte dello stesso Ufficio.
4. Avverso tale atto la contribuente proponeva ricorso.
5. La Commissione tributaria Regionale della Lombardia (CTR), con sentenza n. 123/8/2013, depositata il 6/11/2013, in accoglimento dell’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, sul presupposto dell’intervenuta definitività della cartella posta a fondamento dell’intimazione che, poteva essere autonomamente impugnato solo per vizi propri, circostanza che non ricorreva nel caso di specie.
6. Avverso tale sentenza la contribuente propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
7. L’Agenzia delle entrate ha depositato controricorso.
8. E.N. S.p.A. non si è costituita.
Considerato che
1. Con il primo motivo T.T. S.p.a. deduce, ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 19, comma 1, lett. e) e comma 3 del d.p.r. n. 546 del 1992 anche con riferimento all’art. 47 del medesimo decreto.
La ricorrente lamenta che, diversamente da quanto affermato dalla CTR, il contribuente aveva impugnato l’intimazione di pagamento per vizi propri di tale atto «in quanto l’interesse a proporre impugnazione è sorto nel momento in cui, attraverso la notifica di esso, il contribuente ha avuto conoscenza giuridica dello sgravio parziale della cartella esattoriale».
2. Con il secondo motivo la contribuente deduce, ex art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 19, comma 1, lett. e) del d.lgs. n. 546 del 1992, anche con riferimento all’art. 2 del medesimo d.lgs. e dell’art. 50 d.P.R. n. 602 del 1973.
Con tale censura la ricorrente assume che la CTR ha erroneamente affermato la non impugnabilità dell’intimazione di pagamento in quanto atto non ricompreso nell’elenco di cui all’art. 19 cit.
3. Con il terzo motivo la società contribuente lamenta, ex art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 56 d.P.R. n. 131 del 1986, dell’art. 13, comma 2, d.lgs. n. 471 del 1997, art. 47 del D.lgs. n. 546 del 1992, art. 68, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992 e art. 19, comma 6, d.lgs. n. 472 del 1997.
La contribuente rileva che in ragione del combinato disposto degli art. 19 e 68 cit. la CTR avrebbe dovuto rigettare l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate in quanto essa era tenuta a procedere allo sgravio non solo dei tributi provvisoriamente iscritti ma anche delle sanzioni in ragione dell’annullamento dell’atto di accertamento disposto dalla CTP. Per effetto di tale pronuncia, infatti, l’intimazione di pagamento oggetto del giudizio dinnanzi alla CTR (emessa ex art. 50 d.P.R. n. 602 del 1973) era da ritenersi riferita ad un titolo inesistente.
A parere del ricorrente la CTR avrebbe poi, in violazione delle norme indicate, non ritenuto vincolate la sospensione dell’esecuzione disposta dalla CTP.
Infine, la suindicata sospensione escludeva ogni profilo di antigiuridicità nella condotta della contribuente e, dunque, inapplicabile nei suoi confronti ogni sanzione.
4. Con il quarto motivo la contribuente lamenta, ex art. 360, primo comma, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 16 d.lgs. n. 472 del 1997 anche con riferimento all’art. 56, comma 1, lett. a), d.P.R. n. 131 del 1986 e art. 13 d.lgs. n. 471 del 1997.
La ricorrente rileva che non vi sarebbe corrispondenza tra la sanzione indicata nell’atto di accertamento e quella iscritta a ruolo con conseguente nullità dell’atto di intimazione per non aver l’Agenzia delle entrate emesso l’atto di contestazione motivato.
5. I motivi di ricorso, da trattarsi congiuntamente stante la loro stretta connessione, non sono fondati.
Oggetto del presente giudizio è l’impugnazione da parte della contribuente di una intimazione di pagamento emessa dal concessionario della riscossione. L’intimazione di pagamento prevista dall’art. 50 del d.P.R. n. 602 del 1973 non rientra tra gli atti espressamente impugnabili di cui all’art. 19 del d.lgs. n. 546/1992, il quale precisa che gli atti diversi da quelli indicati non siano autonomamente opponibili.
Il suindicato art. 19 prevede espressamente tra gli atti impugnabili l’avviso di mora ma non l’intimazione di pagamento.
A fronte di tale indicazione va rilevato che la precedente disciplina sulla riscossione esattoriale prevedeva che l’allora concessionario, prima di esercitare l’azione esecutiva per il recupero coattivo delle somme nei confronti del contribuente che non adempieva spontaneamente all’obbligazione tributaria, dovesse notificare al debitore un avviso, denominato avviso di mora, contenente l’indicazione dell’importo iscritto a ruolo e delle causali del debito, con l’invito a pagare entro cinque giorni l’importo dovuto. Nel predetto sistema, quindi, la funzione della cartella esattoriale era semplicemente limitata a quella di rappresentazione cartacea del titolo esecutivo costituito dal ruolo. L’avviso di mora assolveva a due funzioni: la prima, equivalente a quella del precetto ed avente carattere necessario, consistente nell’accertare il mancato pagamento del debito tributario e nell’intimare al contribuente l’effettuazione del versamento dovuto entro un termine ristretto, con l’avvertenza che in mancanza si sarebbe proceduto ad esecuzione forzata. La seconda, eventuale, di natura sostanziale, consistente nel portare a conoscenza del contribuente, per la prima volta, la pretesa erariale, ove l’avviso di mora non fosse stato preceduto dalla regolare notifica dell’avviso di accertamento o di liquidazione o della cartella esattoriale.
L’avviso di mora è stato abrogato a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. 26 febbraio 1999, n. 46.
La nuova disciplina ha attribuito alla cartella esattoriale anche la funzione di intimazione all’adempimento dell’obbligazione tributaria. È stato dunque soppresso il sopra menzionato avviso di mora ed è stata introdotta la intimazione di pagamento, disciplinata dall’art. 50 cit.
5.1 Orbene, ferma restando, in linea di principio, l’ammissibilità di una lettura estensiva e non tassativa del novero degli atti impugnabili ex art. 19 d.P.R. n. 546 de 1992, va riaffermato il principio secondo cui l’intimazione di pagamento riferita ad una cartella di pagamento notificata e non impugnata può essere contestata solo per vizi propri e non già per vizi suscettibili di rendere nullo od annullabile la cartella di pagamento presupposta (cfr. Cass. n. 3743 del 2020).
5.2. Nel caso di specie, l’intimazione di pagamento risulta riferita ad una cartella avente ad oggetto il solo pagamento delle sanzioni ex art 68 del d.lgs. n. 546 del 1992, a seguito dello sgravio parziale delle somme originariamente richieste alla contribuente e del conseguente venir meno della pretesa fondata sulla rettifica, ai fini delle imposte di registro, ipotecaria e catastale del valore degli immobili oggetto di compravendita; cartella da ritenersi legittimamente iscritta a ruolo in pendenza del processo tributario (cfr. Cass. n. 5158 del 26/02/2020 Rv. 657337 – 01).
5.2. Alla luce di quanto sopra, in conclusione, va fatta applicazione di quanto stabilito dal terzo comma dell’art. 19 cit.; secondo cui è consentita l’impugnazione unitaria di atti autonomamente impugnabili adottati prima dell’atto notificato, ma solo se tali atti (c.d. prodromici) non siano stati precedentemente notificati. Quest’ultima regola è stata ritenuta applicabile anche con riguardo alla sequenza notificatoria cartella/avviso di mora (SSUU n. 16412 del 2007), ma pur sempre in una fattispecie nella quale la cartella non era stata previamente notificata.
Sennonché, nel caso in esame, il giudice di appello – all’opposto – ha ritenuto dimostrata la regolare notificazione alla contribuente della prodromica cartella di pagamento, con la sua conseguente definitività in quanto non impugnata autonomamente, né impugnabile in una con l’intimazione. Da ciò il giudice di appello ha dunque tratto il corretto convincimento del fatto che, nella presente sede processuale, la contribuente potesse legittimamente dedurre soltanto vizi propri dell’atto di intimazione ex art.50 d.P.R. n. 602 del 1973 (circostanza non verificatasi), non anche profili di merito di asserita infondatezza di una pretesa impositiva ormai intangibile.
Il ricorso va dunque rigettato.
6. La ricorrente dovrà rifondere le spese di lite a favore dell’Agenzia delle entrate, non anche di E.N. S.p.A, non avendo quest’ultima svolto alcuna attività processuale.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1- quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
– Rigetta il ricorso.
– Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore dell’Agenzia delle entrate che si liquidano in €. 5.000,00 oltre spese prenotate a debito.
– Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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