CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 13 maggio 2021, n. 12844
Tributi – Contenzioso tributario – Procedimento – Ricorso in cassazione – Deposito – Obbligo di allegazione contestuale degli atti processuali – Esclusione – Rispetto del termine – Legittimità. – Cartelle di pagamento nulle – Iscrizione ipotecaria – Illegittimità
Ritenuto che
1. La Commissione tributaria regionale di Napoli, con sentenza n. 1103/46/15, depositata il 5/2/2015 rigettava l’appello proposto da E. SUD s.p.a. e, per l’effetto confermava la sentenza di primo grado che, in accoglimento del ricorso proposto dal contribuente, aveva annullato il provvedimento di iscrizione ipotecaria impugnato. In particolare, i giudici di primo grado avevano, da un lato, dichiarato il difetto di giurisdizione relativamente a due delle cartelle poste a fondamento del suindicato provvedimento (una relativa al mancato versamento dei contributi per la Cassa di previdenza forense e altra a sanzioni per violazioni al codice della strada) e, dall’altro, quanto alla restante cartella (n. 071 2009 00826963 83 000 per IVA, IRAP, IRPEF afferente agli anni 2000, 2001, 2002, 2003 per €. 128.235,40) avevano rilevato che essa era stata annullata nell’ambito di altro giudizio dalla medesima CTP.
2. Avverso tale sentenza E. SUD s.p.a. proponeva ricorso per cassazione affidato a due motivi.
3. D.A. depositava controricorso.
4. Con ordinanza n. 22033 del 2017 questa Corte, dopo aver disposto la costituzione del contradditorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., in accoglimento della richiesta di E. SUD s.p.a., rinviava il processo a nuovo ruolo con trasmissione della causa alla sezione ordinaria (quinta), non essendo la causa d’immediata evidenza decisoria.
In proposito, il Collegio rilevava l’assenza di precedenti specifici in ordine alla questione propria della vicenda processuale in esame (presentazione, presso la segreteria della CTR della Campania dell’istanza di trasmissione del fascicolo, depositata il 18.9.2015, stesso giorno del deposito del ricorso per cassazione, ma con allegazione successiva, il 22.9.2015, degli atti depositati in Corte di detta istanza con nota di deposito in pari data), donde l’istanza è stata depositata nel medesimo termine di cui al comma 1 dell’art. 369 c.p.c. , ma non «insieme col ricorso», come richiesto, a pena d’improcedibilità, dall’art. 369, comma 1, c.p.c.
Considerato che
In via preliminare si pone la questione afferente alla eventuale procedibilità del ricorso ex art. 369 c.p.c. ponendosi essa quale antecedente logico delle censure prospettate dalla ricorrente.
L’art. 369 c.p.c. dispone che «Il ricorso deve essere depositato nella cancelleria della corte, a pena d’improcedibilità, nel termine di giorni venti dall’ultima notificazione alle parti contro le quali è proposto. Insieme col ricorso debbono essere depositati, sempre a pena d’improcedibilità: 1) il decreto di concessione del gratuito patrocinio; 2) copia autentica della sentenza o della decisione impugnata con la relazione di notificazione, se questa è avvenuta, tranne che nei casi di cui ai due articoli precedenti; oppure copia autentica dei provvedimenti dai quali risulta il conflitto nei casi di cui ai numeri 1 e 2 dell’articolo 362; 3) la procura speciale, se questa è conferita con atto separato [832-3]; 4) gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda. Il ricorrente deve chiedere alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata o del quale si contesta la giurisdizione la trasmissione alla cancelleria della Corte di cassazione del fascicolo d’ufficio; tale richiesta è restituita dalla cancelleria al richiedente munita di visto, e deve essere depositata insieme col ricorso».
La norma precisa ciò che il ricorrente ha l’onere di depositare, allorché accede al giudizio di legittimità, in cui non è permesso l’esame degli atti nel merito.
Oltre all’onere di deposito del ricorso, infatti, la legge ne pone altri con riguardo agli atti e documenti di causa, che sono enunciati, a pena rispettivamente di inammissibilità e di improcedibilità, dagli artt. 366, comma 1, n. 6 e 369 c.p.c.: per il primo, è onere del ricorrente riportare nel motivo, indicare in modo specifico gli atti e i documenti su cui si fondano i vari motivi, nonché la sede processuale in cui il documento fu prodotto nei giudizi di merito; per il secondo, occorre depositare il documento in allegato al ricorso.
L’art. 369, comma secondo, c.p.c. prevede che il suddetto onere di allegazione sia adempiuto unitamente con il deposito del ricorso nel termine di venti giorni dall’ultima notifica alle parti nei cui confronti è proposto.
La violazione del termine è rilevabile d’ufficio, né può essere sanata ove la parte resistente abbia notificato controricorso senza eccepire l’improcedibilità, trattandosi di termine perentorio (ex plurimis Cass. n. 24178 del 2016), concludendo dette decisioni nel senso che debba sempre escludersi la possibilità di recupero della condizione di procedibilità, atteso che ciò introdurrebbe nel sistema elementi di alea ed imprevedibilità, finendo con il far dipendere il giudizio sull’osservanza delle forme e dei termini, e l’esito stesso del giudizio, da circostanze casuali ed imponderabili.
Con particolare riferimento all’allegazione degli atti e dei documenti rilevanti per la decisione (ex art. 369, comma 2, n. 4 c.p.c.) le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che «In tema di giudizio per cassazione, l’onere del ricorrente, di cui all’art. 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., così come modificato dall’art. 7 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, di produrre, a pena di improcedibilità del ricorso, “gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda” è soddisfatto, sulla base del principio di strumentalità delle forme processuali, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, anche mediante la produzione del fascicolo nel quale essi siano contenuti e, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio, mediante il deposito della richiesta di trasmissione di detto fascicolo presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e restituita al richiedente munita di visto ai sensi dell’art. 369, terzo comma, cod. proc. civ., ferma, in ogni caso, l’esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ex art. 366, n. 6, cod. proc. civ., degli atti, dei documenti e dei dati necessari al reperimento degli stessi» (Cass. n. 22726 del 2011 e, successivamente, n. 195 del 2016, n. 11599 del 2019).
Alla luce di quanto sopra può affermarsi che la sanzione dell’improcedibilità prevista dal legislatore consegue alla violazione del termine indicato dall’art. 369 c.p.c.; termine rilevante anche ai fini dell’adempimento degli oneri di allegazione da quest’ultimo previsti e il cui rispetto prescinde dal necessario contestuale deposito del ricorso e degli atti indicati dal comma secondo della norma in esame, atteso che una differente soluzione, di carattere formalistico, determinerebbe un ingiustificato diniego di accesso al giudizio di impugnazione in contrasto con il principio di effettività della tutela giurisdizionale.
In sostanza, ciò che rileva è che il ricorrente nel rispetto del termine indicato dall’art. 369 c.p.c., formuli l’istanza di trasmissione del fascicolo d’ufficio, la quale deve essere restituita munita del visto di cui al comma terzo della disposizione in esame, non potendo discendere dal suo mancato deposito «insieme col ricorso» la sanzione della improcedibilità del giudizio di legittimità.
2. Sempre in via preliminare deve affermarsi la non fondatezza della eccepita improcedibilità del ricorso per nullità della notifica telematica del ricorso avvenuta senza la sottoscrizione dell’atto cori firma digitale e l’attestazione di conformità dell’atto e della procura ad litem.
Nell’ultima pagina del ricorso è, infatti, riportato il timbro elettronico contenente la data di sottoscrizione, i codici attribuiti all’avvocato sottoscrittore e tutti i dati relativi alla sottoscrizione digitale; dati presenti anche nella relata di notifica del ricorso.
3. Nel merito, la ricorrente, con il primo motivo di ricorso, deduce, ex art 360, primo comma, n. 4 c.p.c, la violazione degli artt. 112 e 277 c.p.c. per avere la CTR omesso di pronunciarsi sulla eccepita eccezione di inammissibilità del ricorso originario proposto dal contribuente in quanto afferente all’estratto di ruolo; eccezione quest’ultima sulla quale anche i giudici di primo grado avevano omesso ogni pronuncia.
4. Con il secondo motivo la ricorrente deduce, ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 36 e 61 del d.lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., essendo la sentenza della CTR «nulla per vizio di motivazione, in quanto completamente carente dell’illustrazione delle critiche mosse dall’appellante alla statuizione di primo grado e delle considerazioni che hanno indotto il giudice di appello a disattenderle».
In proposito, la ricorrente rileva che con apposito motivo di appello aveva censurato la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva affermato che la sentenza della CTR n. 396/44/10 della CTP di Napoli aveva annullato la cartella di pagamento posta a fondamento del provvedimento di iscrizione ipotecaria oggetto del presente giudizio laddove, al contrario, tale ultima sentenza aveva in realtà solo imposto una rideterminazione del tributo dovuto.
5. I due motivi, da trattarsi congiuntamente stante la loro stretta connessione, non sono fondati.
Premesso che il secondo motivo di ricorso deve essere riqualificato come vizio di omessa pronuncia, la CTR ha, diversamente da quanto sostenuto dalla ricorrente, esaminato la specifica censura mossa da quest’ultima avverso la sentenza di primo grado e ritenuto assente il vizio di motivazione eccepito.
In sostanza, i giudici di merito hanno qualificato il ricorso introduttivo come volto alla impugnazione non degli estratti di ruolo, bensì della iscrizione ipotecaria, in quanto basata su cartelle non notificate ovvero annullate con altre sentenze della CTP di Napoli, di talché non vi è stata omessa pronuncia sul punto, bensì corretta qualificazione della domanda.
La CTR ha, infatti, condiviso l’iter motivazionale della CTP e «ritenuto pregnante e prevalente la prima contestazione sollevata dal contribuente, e cioè quella del ne bis in idem scaturente dal fatto che la cartella esattoriale invocata dal concessionario quale titolo legittimante l’opposizione, ossia la n. 071 2009 00826963 83 000, era già stata annullata con sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Napoli (…) circostanza provata documentalmente con l’esibizione delle precedenti sentenze della CTP di Napoli».
Il vizio di motivazione non rileva più quale causa di nullità della sentenza se non come omesso esame di fatto decisivo (art 360, primo comma, n.5, c.p.c.) ovvero assenza sostanziale e radicale di motivazione (art. 360, primo comma n.4, c.p.c); ipotesi che non ricorrono nel caso in esame laddove la CTR, mediante il sopra indicato richiamo alla pronuncia dei giudici di primo grado, fonda il proprio decisum sul venir meno (annullamento) della cartella posta a base dell’iscrizione ipotecaria. Tale valutazione non è smentita ma, anzi, confermata dalla stessa ricorrente la quale deduce l’avvenuto sgravio parziale, ma non afferma – neppure essa – che l’iscrizione ipotecaria si basasse su una nuova e diversa cartella, di importo sgravato.
In ragione dell’accoglimento dell’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, l’ulteriore motivo di appello proposto dalla ricorrente, afferente alla inammissibilità del ricorso originario del contribuente per la non impugnabilità dell’estratto di ruolo, deve ritenersi assorbito in senso improprio dal giudice di merito, assumendo rilievo il principio affermato da questa Corte (Cass. n. 28995 del 2018) secondo cui ricorre «la figura dell’assorbimento in senso proprio si ha quando la decisione sulla domanda assorbita diviene superflua, per sopravvenuto difetto di interesse della parte, la quale con la pronuncia sulla domanda assorbente ha conseguito la tutela richiesta nel modo più pieno, mentre è in senso improprio quando la decisione assorbente esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni, ovvero comporta un implicito rigetto di altre domande. Ne consegue che l’assorbimento non comporta un’omissione di pronuncia (se non in senso formale) in quanto, in realtà, la decisione assorbente permette di ravvisare la decisione implicita (di rigetto oppure di accoglimento) anche sulle questioni assorbite, la cui motivazione è proprio quella dell’assorbimento, per cui, ove si escluda, rispetto ad una certa questione proposta, la correttezza della valutazione di assorbimento, avendo questa costituito l’unica motivazione della decisione assunta, ne risulta il vizio di motivazione del tutto omessa».
6. Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo. Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1- quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti per il versamento, se dovuto, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
– Rigetta il ricorso.
– Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in complessivi €. 5.600,00 oltre rimborso forfettario spese generali ed agli accessori di legge.
– Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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