CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 maggio 2022, n.16013
Sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato – Criteri sussidiari di subodinazione – Licenziamento orale – Inefficacia
Rilevato che
1. Il giudice di primo grado respingeva il ricorso proposto da M. A. G. nei confronti di V. V., titolare della casa di riposo per anziani V. A., con il quale era richiesto l’accertamento dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato intercorso tra le parti da 12/3 al 5/9/2009 e l’inefficacia del licenziamento intimato alla lavoratrice il 5/9/2009, con condanna della datrice di lavoro al risarcimento dei danni.
2.La Corte d’appello di Catania, con sentenza del 24 ottobre 2018, in accoglimento dell’appello della lavoratrice, dichiarava l’inefficacia del licenziamento e condannava V. V. al pagamento delle retribuzioni maturate dalla notifica del ricorso alla data di pronunzia della sentenza, oltre al pagamento delle dovute differenze retributive.
3. La Corte territoriale accertava la natura subordinata del rapporto, rilevando in proposito che, in ragione del carattere elementare, ripetitivo e predeterminato delle mansioni pacificamente svolte dalla ricorrente (assistenza notturna agli anziani, pulizia personale degli stessi e dei locali, stiratura degli indumenti), non risultava particolarmente significativo l’assoggettamento all’esercizio del potere direttivo e organizzativo del datore di lavoro (non potendo ipotizzarsi che le mansioni di assistenza notturna agli anziani fossero espletate con modalità rimesse alla lavoratrice e non, piuttosto, con orario fisso e inserimento nell’organizzazione lavorativa) quanto, piuttosto, l’accertamento secondo i criteri cd. sussidiari, quali, in primo luogo, l’effettività e la continuità della prestazione secondo orari fissi, l’esistenza di una retribuzione con cadenza periodica e continuativa, elementi che erano stati confermati dalle dichiarazioni testimoniali raccolte, e dalle ricevute di pagamento prodotte dalla lavoratrice, attestanti l’effettuazione di prestazioni costanti, mediamente pari a venti turni notturni mensili, nonché dall’esito dell’interrogatorio formale di V. V., la quale aveva dichiarato che era stata la lavoratrice a rifiutare la regolarizzazione del rapporto, sostenendo l’occasionalità delle prestazioni “a chiamata”.
4. Conseguentemente condannava la V. V. al pagamento delle differenze retributive, come calcolata dal c.t.u., a fronte delle somme percepite in corso di rapporto.
5. Quanto al licenziamento orale, rilevato che secondo la giurisprudenza di legittimità la prova gravante sul lavoratore è limitata alla sua estromissione dal rapporto, ne riteneva l’esistenza valorizzando la deposizione del teste G. che aveva dichiarato di essere stato presente quando la V. aveva chiamato la G. “… e le ha detto di non presentarsi più al lavoro” e traendo conferma di ciò anche da altri elementi istruttori.
6. Avverso la sentenza la V. V. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
7. Controparte si è costituita con controricorso;
Considerato che
1. Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2094 e 2697 c.c., art. 2 I. 604/1966. Osserva che nulla era stato provato dalla G. in merito agli ordini che le venivano impartiti, né giovava richiamarsi alla natura elementare della prestazione al fine di sottrarsi all’onere della prova.
2. Il motivo è infondato e va rigettato. La Corte d’appello, infatti, lungi dal sottrarsi alla dovuta indagine in ordine all’onere della prova, ha fatto ricorso ad elementi sintomatici della subordinazione rilevanti con riferimento alle mansioni elementari e standardizzate espletate dalla lavoratrice, in relazione ai compiti di assistenza agli anziani cui era addetta, e ciò ha fatto in conformità a principi affermati costantemente dalla giurisprudenza di legittimità (ex multis Cass. n. 9251 del 19/04/2010: Nel caso in cui la prestazione dedotta in contratto sia estremamente elementare, ripetitiva e predeterminata nelle sue modalità di esecuzione e, allo scopo della qualificazione del rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, il criterio rappresentato dall’assoggettamento del prestatore all’esercizio del potere direttivo, organizzativo e disciplinare non risulti, in quel particolare contesto, significativo, occorre, a detti fini, far ricorso a criteri distintivi sussidiari, quali la continuità e la durata del rapporto, le modalità di erogazione del compenso, la regolamentazione dell’orario di lavoro, la presenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale (anche con riferimento al soggetto tenuto alla fornitura degli strumenti occorrenti) e la sussistenza di un effettivo potere di autorganizzazione in capo al prestatore, desunto anche dalla eventuale concomitanza di altri rapporti di lavoro“, conforme Cass. 23846 del 11/10/2017).
3.Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 196 c.p.c. e 2697 c.c., contestando l’inquadramento contrattuale riconosciuto alla lavoratrice e i conteggi della ctu circa le differenze retributive attribuitele. Osserva che l’intero quadro probatorio è caratterizzato dalla genericità e dalla indeterminatezza soprattutto in punto di inquadramento del CCNL e di determinazione delle presunte differenze retributive ancora spettanti in relazione alle mansioni asseritamente svolte.
4. La censura, che sotto la rubrica di violazione di legge sottende una critica riferibile a vizio di motivazione, è generica. Essa non riporta, come sarebbe stato necessario, mediante riferimento espresso alle previsioni della contrattazione collettiva in ipotesi non osservate, le ragioni del presunto non corretto inquadramento, né le parti della consulenza tecnica in contestazione, né le critiche eventualmente tempestivamente proposte nella fase di merito, così da consentire, nel rispetto delle condizioni di ammissibilità del motivo, al giudice di legittimità (cui non è dato l’esame diretto degli atti se non in presenza di “errores in procedendo”) di effettuare, preliminarmente, al fine di pervenire ad una soluzione della controversia differente da quella adottata dal giudice di merito, il controllo della decisività della risultanza non valutata, delle risultanze dedotte come erroneamente od insufficientemente valutate, e un’adeguata disamina del dedotto vizio della sentenza impugnata (specificamente, in tema di consulenza tecnica, Cass. n. 19989 del 13/07/2021, Cass. n. 16368 del 17/07/2014).
5. Con il terzo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2967 c.c. e dell’art. 2 I. 606/1966 in relazione alla mancata prova del licenziamento, per avere la Corte territoriale posto a carico della ricorrente l’onere di provare le dimissioni del lavoratore, nonostante non vi fosse prova certa dell’avvenuta intimazione in forma orale del licenziamento. Osserva che la decisione si è fondata su un orientamento ormai superato, mentre alla luce di Cass. 3822/2019 è necessaria la prova da parte del lavoratore, oltre che della esistenza del rapporto di lavoro subordinato, anche del fatto costitutivo della domanda, rappresentato dalla manifestazione della volontà datoriale, anche manifestata mediante comportamenti concludenti, di estromissione del lavoratore (piuttosto che l’allontanamento volontario).
6. Il motivo è privo di fondamento. La Corte territoriale, infatti, all’esito di un accertamento in fatto, insindacabile in questa sede, ha ritenuto provata l’intimazione da parte del datore di lavoro al lavoratore di non presentarsi più al lavoro, in tal modo accertando la volontà datoriale di porre fine al rapporto.
Conseguentemente la pronuncia risulta conforme all’orientamento recentemente espresso dalla giurisprudenza di legittimità, in forza del quale “Il lavoratore che impugni il licenziamento allegandone l’intimazione senza l’osservanza della forma scritta ha l’onere di provare, quale fatto costitutivo della domanda, che la risoluzione del rapporto è ascrivibile alla volontà datoriale, seppure manifestata con comportamenti concludenti, non essendo sufficiente la prova della mera cessazione dell’esecuzione della prestazione lavorativa; nell’ipotesi in cui il datore eccepisca che il rapporto si è risolto per le dimissioni del lavoratore e all’esito dell’istruttoria – da condurre anche tramite i poteri officiosi ex art. 421 c.p.c. – perduri l’incertezza probatoria, la domanda del lavoratore andrà respinta in applicazione della regola residuale desumibile dall’art. 2697 c.c.” (Cass. 08 febbraio 2019 n. 3822).
7. Con l’ultimo motivo parte ricorrente deduce violazione ed errata applicazione degli artt. 1223 c.c., 1227 c.c., 2697 c.c. e 2 I. 604/1966 in punto di risarcimento dei danni, non avendo il lavoratore assolto all’onere della prova circa il rapporto di lavoro e il licenziamento ed essendo errata la commisurazione del danno alle retribuzioni maturate, poiché il rapporto non è assistito da tutela reale ma affetto da uno dei vizi formali previsti dal citato art. 2 e difetta l’offerta della prestazione.
8. Il motivo è infondato in ragione delle conseguenze che la giurisprudenza di legittimità riconduce al licenziamento intimato oralmente (ex multis Cass. 10 settembre 2012 n. 15106: “Il licenziamento intimato oralmente è radicalmente inefficace, per inosservanza dell’onere della forma scritta, imposto dall’art. 2 della legge 15 luglio 1966, n. 604, novellato dall’art. 2 della legge 11 maggio 1990, n. 108, e, come tale, è inidoneo a risolvere il rapporto di lavoro, non rilevando, ai fini di escludere la continuità del rapporto stesso, né la qualità di imprenditore del datore di lavoro, né il tipo di regime causale applicabile (reale od obbligatorio), giacché la sanzione ivi prevista non opera soltanto nei confronti dei lavoratori domestici e di quelli ultrasessantenni (salvo che non abbiano optato per la prosecuzione del rapporto). Ne consegue che la radicale inefficacia del licenziamento orale prescinde dalla natura stessa del recesso, trovando applicazione l’ordinario regime risarcitorio, con obbligo di corrispondere, trattandosi di rapporto di lavoro in atto, le retribuzioni non percepite a causa dell’inadempimento datoriale“).
9. in base alle svolte argomentazioni il ricorso va rigettato e le spese regolate secondo soccombenza, con distrazione in favore del difensore anticipatario di parte controricorrente che ne ha fatto richiesta.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese che liquida in € 4.000,00 per compensi, € 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali al 15% e accessori di legge, con distrazione in favore del difensore anticipatario della controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 18 dicembre 2019, n. 33705 - Il licenziamento intimato oralmente deve ritenersi giuridicamente inesistente e, come tale, da un lato, non richiede impugnazione del termine di decadenza di cui all'art. 6 della I. n. 604…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 08 settembre 2022, n. 26533 - In tema di licenziamenti è imprescindibile che vi sia una comunicazione scritta da cui far decorrere il termine di decadenza, ed è esclusa l'operatività di detta decadenza in caso di…
- CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, ordinanza n. 6266 depositata l' 8 marzo 2024 - Ove l’appaltatore/datore di lavoro formale assuma un licenziamento nei confronti di un lavoratore adibito ad un appalto, l’azione di impugnazione del provvedimento…
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 05 luglio 2019, n. 18193 - Inefficace il licenziamento intimato oralmente - Il licenziamento non produce effetti sulla continuità del rapporto di lavoro ed il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno, eventualmente…
- CORTE di CASSAZIONE - Sentenza n. 27768 depositata il 2 ottobre 2023 - In base alle regole dettate dall'art. 2 della l. n. 604/1966 (modificato dall'art. 2 della l. n. 108 del 1990) sulla forma dell'atto e la comunicazione dei motivi del recesso,…
- CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, ordinanza n. 6540 depositata il 12 marzo 2024 - Il rapporto di lavoro del dirigente non è assoggettato alle norme limitative dei licenziamenti individuali di cui alla L. n. 604 del 1966, artt. 1 e 3, e la nozione di…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- In caso di errori od omissioni nella dichiarazione
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 10415 depos…
- Processo tributario: competenza del giudice tribut
La sentenza n. 186 depositata il 6 marzo 2024 del Tribunale Amministrativo Regio…
- Prescrizione quinquennale delle sanzioni ed intere
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 11113 depos…
- L’utilizzo dell’istituto della compens
La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 17116 depositata il 2…
- IMU: no all’esenzione di abitazione principa
La Corte di Cassazione. sezione tributaria, con l’ordinanza n. 9496 deposi…