Corte di Cassazione sentenza n. 20077 del 22 giugno 2022
domanda di revocazione – IVA – l’amministrazione tributaria non può riscuotere a titolo di iva un importo superiore a quello percepito dal soggetto passivo
Fatti di causa.
L’Agenzia delle entrate recuperò nei confronti della società la differenza tra l’iva agevolata per l’acquisto della prima casa nella misura del 4% che era stata applicata ad acconti versati in occasione della stipula di contratti preliminari di vendita di immobili da promittenti acquirenti e l’iva nella misura ordinaria; e ciò perché i promittenti acquirenti avevano trascurato di dichiarare nei contratti preliminari di volersi avvalere dell’agevolazione. La società impugnò l’avviso ottenendone l’annullamento dalla Commissione tributaria provinciale, mentre quella regionale accolse l’appello dell’Agenzia.
La contribuente propose ricorso per ottenere la cassazione della sentenza, che affidò a sei motivi, ma questa Corte, con la sentenza indicata in epigrafe, l’ha rigettato.
A sostegno della decisione ha ritenuto che, nel caso in esame, poiché mancava mancando la dichiarazione nei contratti preliminari, la società avrebbe dovuto applicare l’aliquota ordinaria e, in esito alla stipula dei contratti definitivi, neii quali la dichiarazione è stata poi resa, ricorrere al meccanismo di variazione dell’imposta a norma dell’art. 26 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.
Contro questa sentenza la ricorrente propone ricorso per sentirla revocare, che affida a due motivi e illustra con memoria, cui non v’è replica.
Ragioni della decisione.
1.- In sede rescindente la ricorrente evidenzia col primo motivo del ricorso per revocazione che questa Corte non ha pronunciato sul sesto motivo del ricorso per cassazione, col quale era stata denunciata la violazione e falsa applicazione dei principi di neutralità, di effettività e di proporzionalità derivanti dalla direttiva iva, e in subordine, era stata proposta istanza di rimessione degli agli alla Corte di giustizia dell’Unione europea, ipotizzando il contrasto del comma 2 della nota Il-bis dell’art. 1 della parte prima della tariffa allegata al d.P.R. n. 131/86 con i predetti principi unionali; denuncia per conseguenza la sussistenza di un errore revocatorio rilevante, in base agli artt. 391-bis e 395, n. 4, c.p.c.
Il ricorso è ammissibile e fondato.
1.1.- Effettivamente con la sentenza impugnata non è stato esaminato il sesto motivo del ricorso per cassazione, né vi è stata comunque data risposta nel corpo della motivazione.
Questa Corte è ferma nel ritenere ammissibile l’impugnazione per revocazione delle sentenze della Corte di cassazione nell’ipotesi di errore compiuto nella lettura degli atti interni al giudizio di legittimità (si veda sul punto Cass., sez. un., n. 31032/19). Si ritiene, in conseguenza, ammissibile la domanda di revocazione fondata sulla mancata lettura di uno o più motivi di ricorso, che costituisce, ai sensi degli artt. 391-bis e 395, primo comma, n. 4, c.p.c., errore di fatto reso evidente dall’esistenza di divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti di causa (Cass. n. 16003/11; n. 26301/18).
La sentenza n. 25982/19 va quindi revocata.
Il che implica l’assorbimento del secondo motivo del ricorso per revocazione.
2.- In sede rescissoria, i! sesto motivo del ricorso per cassazione è fondato e ha forza dirimente.
La necessità del ricorso al meccanismo della variazione dell’imposta in un caso, come quello in esame, in cui è pacifico sia che gli acquirenti avessero diritto di fruire dell’agevolazione, sia che avessero reso le dichiarazioni intese a tale fruizione nei contratti definitivi, si pone effettivamente in contrasto col principio di neutralità dell’iva.
Il meccanismo di variazione dell’imponibile o dell’imposta previsto dall’art. 26 del d.P.R. n. 633/72, che attua il congegno di rettifica previsto dall’art. 90 della direttiva iva, è l’espressione di un principio fondamentale del diritto unionale, che è quello secondo cui, posto che la base imponibile è costituita dal corrispettivo realmente ricevuto, l’amministrazione tributaria non può riscuotere a titolo di iva un importo superiore a quello percepito dal soggetto passivo (tra varie, Corte giust. 15 magç1io 2014, causa C-337/13, Almos Agrarkulkereskedelmi Kft, punto 22).
2.1.- Nel caso in esame, di contro, si pretende d’imporre al soggetto passivo di assolvere, ricevuti gli acconti, importi a titoli di iva superiore a quelli da lui percepiti, e poi di ridurli, in esito alla stipula dei contratti definitivi, all’ammontare effettivamente dovuto.
Si propone quindi una sorta di solve et repete sulla frizione del quale col diritto unionale si sono già espresse le sezioni unite di questa Corte (con la sentenza n. 17757/l.6, punto 5.2.)..
3.- Né è d’ostacolo a questa ricostruzione il comma 2 della nota II-bis della parte prima della Tariffa allegata al d.P.R. n. 131/86, secondo cui “In caso di cessioni soggette ad imposta sul valore aggiunto le dichiarazioni di cui alle lettere a), b) e c) del comma 1, comunque riferite al momento in cui si realizza l’effetto traslativo, possono essere effettuate, oltre che nell’atto di acquisto, anche in sede di contratto preliminare”.
Al contrario: il legislatore espressamente riferisce la rilevanza della dichiarazione alla realizzazione dell’effetto traslativo, che non scaturisce certo dalla stipulazione del contratto preliminare, ma soltanto da quella del contratto definitivo.
3.1.- D’altronde con la stessa sentenza citata a sostegno da quella revocata si è stabilito che “Invero, le somme anticipatamente incassate, a qualsiasi titolo (acconto o caparra confirmatoria), dalla società contribuente per la vendita degli immobili, a condizione che siano ricomprese nel prezzo della compravendita indicato nell’atto di acquisto definitivo, vanno sottoposte a tassazione agevolata purché al momento della stipula del definitivo sussistano in capo all’acquirente i requisiti per fruirne e lo stesso ne abbia fatto espressa dichiarazione nell’atto” (Cass. n. 5943/17, punto 25.1).
4.- Illegittima, quindi, è la pretesa impositiva dell’Agenzia; e conseguentemente illegittima è quella sanzionatoria.
Il motivo va quindi accolto con assorbimento delle rimanenti censure, nonché della richiesta di rimessione di questione pregiudiziale alla Corte di giustizia.
4.1.- Ne consegue la cassazione della sentenza n. 21/02/12 della Commissione tributaria regionale del Lazio depositata in data 24 gennaio 2012, e, non sussistendo necessità di accertamenti di fatto, il giudizio va deciso nel merito, con l’accoglimento del ricorso originario.
Va, invece, dichiarata inammissibile la richiesta della società di restituzione di quanto indebitamente percepito dall’Agenzia: in sede di legittimità non è mai ammissibile, a norma dell’art. 389 c.p.c., una pronuncia di restituzione in dipendenza della cassazione della sentenza, neppure se la Corte di cassazione, annullando la sentenza impugnata, decida la causa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., in quanto per tale domanda accessoria non opera, in mancanza di espressa previsione, l’eccezione al principio generale secondo cui a questa Corte spetta solo il giudizio rescindente (tra varie, v. Cass. n. 24852/19).
Le oscillazioni della giurisprudenza, inoltre, evidenziate dalla presenza di un indirizzo di segno diverso (espresso da Cass. n. 3132/18), comportano l’integrale compensazione delle spese delle fasi di merito.
Le spese dei due giudizi di legittimità seguono, invece, la soccombenza.
Per questi motivi
revoca la sentenza della Corte suprema di cassazione n. 25982/19, accoglie il sesto motivo del ricorso per cassazione proposto dalla contribuente, cassa la sentenza della CTR Lazio n. 21/02/12 e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso originario.
Compensa le voci di spesa delle fasi di merito e condanna l’Agenzia delle entrate a pagare le spese dei due giudizi di legittimità, che liquida in euro 6000,00 cadauno, oltre a euro 200,00 ciascuno per spese borsuali, al 15% a titolo di spese forfetarie, IVA e cpa.
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