CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 29 settembre 2021, n. 26440
Pensione – Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza a favore dei ragionieri e periti commerciali – Criteri di calcolo – Errata applicazione del principio del pro rata in relazione all’elevazione della media reddituale
Fatti di causa
1. Con la domanda di cui al ricorso di primo grado A.F., titolare di pensione di anzianità con decorrenza dal 10 maggio 2009, deducendo la illegittimità dei criteri di calcolo della quota A della pensione per errata applicazione del principio del pro rata in relazione all’elevazione della media reddituale da 15 a 24 anni e all’applicazione del coefficiente di neutralizzazione convenne in giudizio la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza a favore dei Ragionieri e Periti Commerciali chiedendo la riliquidazione della detta quota A), oltre perequazione ed interessi legali.
2. La domanda, integralmente accolta in primo grado, fu respinta dalla Corte di appello
3. La Corte di cassazione, con sentenza n. 32596/2018, in accoglimento, nei limiti di cui in motivazione, del ricorso di A.F., ha cassato con rinvio la sentenza di secondo grado.
4. Per la revocazione della sentenza di legittimità ha proposto ricorso, affidato ad un unico motivo, la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza a favore dei ragionieri e periti commerciali; la parte intimata non ha svolto attività difensiva.
5. Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ.
6. Il PG ha depositato requisitoria scritta, ai sensi dell’art. 23, comma 8 – bis del d.l. 28 ottobre 2020 n. 137, conv. con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020 n. 176, concludendo per l’accoglimento della revocazione.
Ragioni della decisione
1. Con unico, articolato motivo di ricorso la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza a favore dei Ragionieri e Periti Commerciali chiede ai sensi dell’art. 395, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la revocazione della sentenza di cassazione deducendo l’errore di fatto del giudice di legittimità nel rilevare il giudicato sulla domanda relativa al coefficiente di neutralizzazione; assume che tale rilievo era frutto di errore percettivo in ordine al concreto contenuto delle censure formulate dalla Cassa nell’atto di appello; evidenzia, che, a differenza di quanto affermato nella sentenza revocanda, il quarto motivo del ricorso in appello della Cassa non concerneva il contributo di solidarietà, questione estranea al thema decidendum e che la decurtazione legata al coefficiente di neutralizzazione oggetto di causa non era stata operata dall’INPS; per come pacifico, infatti, il coefficiente di neutralizzazione in controversia era quello applicato dalla Cassa sulla base dell’art. 53, comma 4 del previgente Regolamento di esecuzione.
2. Il motivo di revocazione è fondato.
L’art. 395, comma 1, n. 4 cod. proc. civ. consente l’impugnazione per revocazione “se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare”.
Questa Corte ha ripetutamente affermato che, in linea generale, l’errore di fatto previsto dall’art. 395, n. 4, c.p.c., idoneo a costituire motivo di revocazione, consiste in una falsa percezione della realtà o in una svista materiale che abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso oppure l’inesistenza di un fatto positivamente accertato dagli atti o documenti di causa, purché non cada su un punto controverso e non attenga a un’errata valutazione delle risultanze processuali. L’errore in questione presuppone quindi il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla sentenza, l’altra dagli atti e documenti processuali, sempreché la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione e non di giudizio; esula pertanto dall’ambito dell’errore revocatorio l’errore costituente il frutto di un qualsiasi apprezzamento delle risultanze processuali, ossia di una viziata valutazione delle prove o delle allegazioni delle parti, esattamente percepite nella loro oggettività (v. fra le altre, Cass.. 26890/2019, 13915/ 2005 e 2425/ 2006, Sez. Un. 9882/ 2001).
Con specifico riferimento alla revocazione delle sentenze della Corte di cassazione si è affermato che l’errore revocatorio è configurabile nelle ipotesi in cui la Corte sia giudice del fatto, individuandosi nell’errore meramente percettivo, risultante in modo incontrovertibile dagli atti e tale da aver indotto il giudice a fondare la valutazione della situazione processuale sulla supposta inesistenza (od esistenza) di un fatto, positivamente acquisito (od escluso) nella realtà del processo, che, ove invece esattamente percepito, avrebbe determinato una diversa valutazione della situazione processuale, e non anche nella pretesa errata valutazione di fatti esattamente rappresentati (Cass. 16136/09; 3365/09; Cass. Sez. Un. 26022/08); come di recente ribadito dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. Sez. Un. n. 31032/2019) l’impugnazione per revocazione delle sentenze della Corte di cassazione è ammessa nell’ipotesi di errore compiuto nella lettura degli atti interni al giudizio di legittimità, errore che presuppone l’esistenza di divergenti rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti di causa.
2.1. Tale è la situazione ravvisabile nel caso specifico, dovendosi escludere che l’errore di fatto prospettato dalla odierna ricorrente sia riconducibile all’ errata valutazione ed interpretazione del contenuto dell’atto di appello della C. (Cass. 10466/2011, 5086/08, 14608/2007, 9533/06), anziché ad una vera e propria svista del giudice di legittimità nell’esame dello stesso.
La sentenza impugnata in revocazione„ per quel che qui rileva, ha affermato: l’appello della C. è affidato a cinque motivi, il quarto dei quali censura la sentenza gravata per non avere tenuto conto del contributo di solidarietà « senza alcun cenno al coefficiente di neutralizzazione »; ha quindi osservato che « non potendo darsi assorbimento della domanda in ordine al coefficiente di neutralizzazione nella (diversa) domanda del principio del pro rata e tenuto conto che il gravame della C. si è incentrato su altra e diversa questione (il contributo di solidarietà estraneo al thema decidendum) il Collegio rileva, d’ufficio, il giudicato formatosi sulla questione inerente al coefficiente di neutralizzazione, recte la decurtazione operata dall’INPS, a tale titolo, sulla prestazione in godimento, conseguendone la cassazione della decisione di rigetto della domanda proposta dall’attuale ricorrente».
Il confronto tra le affermazioni contenute nella sentenza impugnata e gli atti processuali di riferimento dà contezza della natura percettiva dell’errore nel quale è incorso il giudice di legittimità.
Dall’esame diretto dell’atto di gravame della C. avverso la sentenza di primo grado risulta che la odierna ricorrente in revocazione, nel chiedere l’integrale rigetto della originaria domanda, ha ribadito la legittimità dei criteri di calcolo utilizzati nella determinazione del trattamento pensionistico erogato alla F. specificando espressamente, quanto al coefficiente di neutralizzazione, che la relativa applicazione sulla quota retributiva, così come fissata dall’art. 50, era conforme all’art. 53, comma 4, del vigente Regolamento (v., in particolare paragrafi 57 e 58 del ricorso in appello);
tanto rende palese la assoluta mancanza di corrispondenza tra la rappresentazione fatta nella sentenza impugnata dell’atto di gravame della C. in relazione alla questione del coefficiente di neutralizzazione e il contenuto del detto atto, quale immediatamente percepibile nella sua dimensione oggettiva dalla relativa lettura, difetto di corrispondenza corroborato indirettamente dal fatto che la sentenza revocanda riferisce all’INPS, soggetto estraneo al giudizio, la decurtazione del trattamento pensionistico quale effetto dell’applicazione del coefficiente di neutralizzazione laddove, per come pacifico, il trattamento di cui si controverte è erogato dalla odierna ricorrente che nella determinazione del relativo importo, per il profilo in esame, ha fatto riferimento al coefficiente di neutralizzazione previsto dal relativo regolamento di esecuzione.
2.2. In base alle considerazioni che precedono la sentenza n. 3296/2018 deve essere revocata in quanto il rilievo della formazione del giudicato sulla illegittimità della decurtazione del trattamento pensionistico operata attraverso l’applicazione del coefficiente di neutralizzazione costituisce diretta conseguenza del falso presupposto della mancata impugnazione sul punto della sentenza di primo grado da parte della odierna ricorrente.
La fase rescissoria conseguente allei revocazione della sentenza impugnata deve essere definita nel merito in conformità degli arresti di questa Corte non essendo emersi elementi per una revisione degli approdi ai quali è pervenuto il giudice di legittimità nella materia.
La questione della illegittimità dei criteri di calcolo della quota A (quota retributiva) della pensione attribuita dalla C., in relazione all’elevazione della media reddituale da 15 a 24 anni, deve essere decisa in senso favorevole all’odierna ricorrente alla luce dell’orientamento di questa Corte, consolidatosi a partire da Cass. Sez. Un. 17742/2015, secondo il quale in materia di prestazioni pensionistiche erogate dagli enti previdenziali privatizzati ai sensi del d.lgs. n. 509 del 1994 (quale la Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei ragionieri e periti commerciali), la liquidazione dei trattamenti pensionistici, a partire dal 1° gennaio 2007, è legittimamente operata sulla base dell’art. 3, comma 12, della l. n. 335 del 1995 riformulato dall’art. 1, comma 763, della l. n. 296 del 2006, che, nel prevedere che gli enti previdenziali adottino i provvedimenti necessari per la salvaguardia dell’equilibrio finanziario, impone solo di aver presente – e non di applicare in modo assoluto – il principio del “pro rata”, in relazione alle anzianità già maturate rispetto all’introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti, e comunque tenendo conto dei criteri di gradualità e di equità tra generazioni, con salvezza degli atti approvati dai Ministeri vigilanti prima dell’entrata in vigore della legge n. 296 del 2006 e che, in forza dell’art. 1, comma 488, della l. n. 147 del 2013, si intendono legittimi ed efficaci purché siano finalizzati ad assic:urare l’equilibrio finanziario di lungo termine (v., tra numerose altre conformi, Cass. 4565/2021, in motivazione, 30875/2019, 6701/2016, Sez. Un. 18136/2015).
Analogamente, la questione dell’applicabilità o meno del coefficiente di neutralizzazione deve essere decisa in continuità con la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale in tema di trattamento pensionistico dei ragionieri e dei periti commerciali, la previsione, di cui alle delibere della Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza dei Ragionieri e Periti Commerciali del 7 giugno 2003 e del 20 dicembre 2003 e del Regolamento in vigore dal 1 gennaio 2004, di un coefficiente di abbattimento (cd. coefficiente di neutralizzazione), progressivamente calante in ragione del crescere dell’età, per la quota retributiva delle pensioni di anzianità erogate dalla medesima Cassa di previdenza, non è soggetta al principio del “pro rata”, quale sancito dall’art. 3, comma 12, della l. n. 335 del 1995 (nel testo vigente anteriormente alle modifiche apportate dall’art. 1, comma 763, della l. n. 296 del 2006) ed è legittima, risultando tale coefficiente introdotto con modalità non irragionevoli nell’ambito della modifica del sistema di accesso alla predetta pensione, reso contestualmente compatibile con la prosecuzione nonostante il pensionamento, della medesima professione (Cass. 28253/2018, 23597/2018).
Da tanto consegue l’integrale rigetto della domanda azionata dalla F.
3. Le spese del giudizio sono regolate secondo soccombenza.
4. Sussistono i presupposti processuali per l’applicabilità a carico di A.F., dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228.
P.Q.M.
Revoca la sentenza n. 32596/2018 e rigetta il ricorso per cassazione iscritto al n. RG 12180/2016 proposto da A.F. nei confronti della Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza a favore dei Ragionieri e Periti Commerciali.
Condanna A.F. alla rifusione delle spese di quest’ultimo giudizio che liquida in € 4.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle società ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per i ricorsi proposti, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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