Corte di Cassazione ordinanza n. 23200 depositata il 25 luglio 2022
imposta di registro – valore di mercato – determinazione della plusvalenza
– Rilevato che:
1. Il 13 maggio 2002 il D.F. vendeva alla V. s.r.l. un terreno di mq. 17.556 sito nella frazione Joannis nel Comune di Aiello del Friuli, suscettibile di utilizzazione edificatoria. Il prezzo indicato nell’atto notarile era di € 152.561,64.
Successivamente, in data 28 ottobre 2004, sia all’acquirente V. s.r.l. che al venditore D.F. veniva notificato avviso di rettifica del valore del terreno per € 351.120,00.
In data 25 marzo 2005 la società acquirente aveva aderito all’invito dell’Agenzia, accettando con accertamento per adesione, quale prezzo del terreno, la somma di € 263.340,00. Su questa cifra veniva pagata l’imposta di registro.
In data 10 dicembre 2009 veniva notificato a D.F. Doimo avviso di accertamento n. 82701TA00673/2009, con il quale l’Agenzia delle Entrate – ufficio di Cervignano del Friuli, ai sensi dell’art. 41-bis d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, accertava un maggior reddito imponibile ai fini IRPEF, soggetto a tassazione separata per l’anno 2002, per l’importo di € 110.641,00 (pari alla differenza tra € 263.340,00 accettati dall’acquirente ed € 152.561,64 dichiarati nell’atto di compravendita).
2. Esperita con esito negativo la procedura di accertamento con adesione, D.F. Doimo impugnava l’avviso di accertamento suindicato dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Udine la quale, con sentenza n. 82/1/2011, accoglieva il ricorso e annullava l’avviso di accertamento.
3. Proposto dall’Ufficio gravame dinanzi alla Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia Giulia questa, con sentenza n. 64/08/2013 depositata il 18 settembre 2013, rigettava l’appello, confermando la sentenza impugnata e compensando integralmente tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.
4. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, sulla base di un unico motivo. Resiste con controricorso D.F. Doimo.
5. La discussione del ricorso è stata fissata per la camera di consiglio del 17 maggio 2022, ai sensi degli 375, secondo comma, e 380-bis.1 cod. proc. civ., come introdotti dal d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197.
Il controricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis.1 cod. proc. civ.
– Considerato che:
6. Con l’unico motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate deduce violazione e falsa applicazione degli 51 e 52 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, dell’art. 15 del d.lgs. 19 giugno 1997, n. 218, degli artt. 67 e 68 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (T.U.I.R.) nonché dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3), cod. proc. civ., in considerazione del fatto che, secondo la consolidata giurisprudenza, il valore di mercato determinato in via definitiva in sede di applicazione dell’imposta di registro avrebbe potuto legittimamente essere utilizzato dall’Amministrazione finanziaria come dato presuntivo ai fini dell’accertamento di una plusvalenza patrimoniale realizzata a seguito di cessione di un terreno, restando a carico del contribuente l’onere di superare la presunzione di corrispondenza tra il valore di mercato ed il prezzo incassato, mediante la prova di avere in concreto venduto ad un prezzo inferiore, rientrando nell’àmbito delle prerogative dell’Ufficio porre eventualmente a base dell’accertamento, come nella specie, con trattamento di favore per il contribuente, il valore definito in sede di accertamento con adesione dall’altro contraente.
7. Preliminarmente, deve essere esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per tardività, sollevata dalla difesa del controricorrente.
Tale eccezione è infondata, in quanto la sentenza impugnata è stata depositata in segreteria il 18 settembre 2013, ed il ricorso è stato spedito per la notifica in data 18 marzo 2014, e quindi entro il termine “lungo” di sei mesi ex art. 327, primo comma, cod. proc. civ., richiamato dall’art. 38, comma 3, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.
8. Infondata è anche l’eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata sempre dalla difesa del controricorrente, per mancanza di specificità e chiarezza dell’unico motivo, in quanto l’Agenzia delle Entrate fa riferimento alla violazione di specifiche norme di legge, con particolare riferimento all’accertamento di redditi “diversi” ex art. 67 TUIR.
9. Nel merito, la tesi in diritto della ricorrente risulta infondata iure superveniente.
Il d.lgs. 14 settembre 2015, n. 147, art. 5, comma 3, così dispone: «Il testo unico delle imposte sui redditi, approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e il d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, artt. 5, 5-bis, 6 e 7, si interpretano nel senso che per le cessioni di immobili e di aziende nonché per la costituzione e il trasferimento di diritti reali sugli stessi, l’esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro di cui al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, ovvero delle imposte ipotecaria e catastale di cui al d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 347».
La giurisprudenza di legittimità ha in proposito fissato il seguente principio di diritto, che il Collegio ribadisce ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ. – condividendo le ragioni sviluppate nei pertinenti arresti – secondo il quale:
«in tema di imposte sui redditi, la norma di interpretazione autentica di cui al d.lgs. n. 147 del 2015, art. 5, comma 3, avente efficacia retroattiva, esclude che l’Amministrazione finanziaria possa determinare, in via induttiva, la plusvalenza realizzata dalla cessione di immobili e di aziende solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro, ipotecaria o catastale, dovendo l’Ufficio individuare ulteriori indizi, gravi, precisi e concordanti, che supportino l’accertamento del maggior corrispettivo rispetto a quanto dichiarato dal contribuente, su cui grava la prova contraria» (Cass. 6 febbraio 2020, n. 2816; Cass. 8 maggio 2019, n. 12131; Cass. 1° ottobre 2018, n. 23719), in quanto «la base imponibile ai fini IRPEF è data non già dal valore del bene, ma dalla differenza tra i corrispettivi percepiti nel periodo di imposta e il prezzo di acquisto del bene ceduto, aumentato di ogni altro costo inerente al bene medesimo» (Cass. 2 agosto 2017, n. 19227; Cass. 18 aprile 2018, n. 9513; Cass. 17 maggio 2017, n. 12265; Cass. 6 giugno 2016, n. 11543).
Nel caso di specie, dalla sentenza impugnata non risulta, peraltro, che vi siano altri elementi indiziari che portino a ritenere che il contribuente abbia effettivamente percepito un corrispettivo superiore a quello pattuito nella compravendita.
Consegue il rigetto del ricorso.
10. La considerazione della incidenza sulla decisione dello ius superveniens (favorevole al vittorioso controricorrente) giustifica la compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, non si applica il d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Compensa integralmente tra le parti le spese del presente grado di giudizio.
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