Corte di Cassazione sentenza n. 25487 depositata il 30 agosto 2022
procedure concorsuali e soggetto obbligato alla presentazione delle dichiarazioni fiscali per il periodo antecedente il fallimento – accertamento induttivo
FATTI DI CAUSA
1. A seguito di accertamento induttivo, l’Agenzia delle entrate notificò al fallimento F. & s.a.s. di F.W. un avviso con il quale, riscontrata l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi per l’anno 2004, recuperava a tassazione, a fini IRES e IRAP, il maggior reddito determinato.
2. La curatela impugnò l’avviso innanzi alla C.T.P. di Parma, assumendo di non essere obbligata a presentare la dichiarazione ai fini delle imposte dirette per l’anno anteriore al fallimento, intervenuto il 3 ottobre 2005; nel merito, dedusse comunque l’erroneità della pretesa erariale, che assunse fondata su dati incompleti e che non collimavano con le risultanze degli accertamenti peritali condotti ad iniziativa del Tribunale.
Nel contraddittorio con l’Ufficio, il giudice adìto accolse il ricorso.
3. La sentenza fu appellata dall’Agenzia delle entrate innanzi alla C.T.R. dell’Emilia-Romagna, che rigettò il gravame.
I giudici d’appello affermarono che non spettava all’imprenditore fallito presentare la dichiarazione dei redditi relativa all’anno 2004, obbligo dal quale egli era esentato avendo perduto la capacità di agire prima della relativa scadenza, fissata al 31 ottobre 2005; ma, d’altro canto, che neppure il curatore poteva ritenersi a ciò tenuto, sussistendo tale onere a suo carico «solo per gli anni ricompresi nella procedura».
Osservarono, inoltre, che il bilancio di verifica al 16 settembre 2004, utilizzato dall’Ufficio per desumere il reddito dell’impresa fallita, aveva natura meramente indiziaria, e che, comunque, le prove contrarie offerte al riguardo dalla curatela ne designavano l’inattendibilità. Soggiunsero infine che dati utilizzati dall’amministrazione, relativi all’imponibile della società ai fini IVA, non potevano costituire una valida base documentale per l’accertamento induttivo.
4. La sentenza d’appello è impugnata dall’amministrazione finanziaria con ricorso per cassazione affidato a due motivi; resiste il fallimento intimato con controricorso, seguito da memoria illustrativa.
Inizialmente fissata per la trattazione camerale, all’adunanza del 9 luglio 2021 la causa è stata rinviata a nuovo ruolo per essere discussa in pubblica udienza; a seguito di detto rinvio, il controricorrente ha depositato una seconda memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, l’agenzia ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 4, del P.R. 22 luglio 1998, n. 322, censurando la sentenza d’appello nella parte in cui ha ritenuto che il fallito non avesse l’obbligo di presentare la dichiarazione dei redditi per l’anno anteriore al fallimento.
A sostegno del proprio assunto, l’amministrazione osserva che il termine per la presentazione della dichiarazione scadeva in data successiva al fallimento, ma era riferito ad un periodo d’imposta nel quale la società era ancora in bonis, e rileva che la disposizione evocata in censura, nel testo vigente ratione temporis, pone in capo al curatore l’obbligo di presentare soltanto le dichiarazioni successive al fallimento.
2. Il secondo motivo denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 41 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e dell’art. 2697 cod. civ.
Ad avviso dell’agenzia ricorrente, la sentenza d’appello sarebbe altresì errata nella parte in cui non ha ritenuto legittimo l’accertamento induttivo cui ha proceduto l’ufficio in assenza di dichiarazione da parte della società fallita.
L’amministrazione osserva infatti di aver fondato la propria determinazione induttiva del reddito su dati legittimamente in suo possesso, trattandosi dell’imponibile dichiarato dall’impresa ai fini dell’IVA per il medesimo anno d’imposta.
3. Il primo motivo è fondato.
3.1 Al riguardo, il Collegio è consapevole dell’esistenza di alcune oscillazioni in seno alla giurisprudenza di questa Corte circa la spettanza – al curatore fallimentare piuttosto che all’imprenditore fallito – dell’obbligo di presentare la dichiarazione dei redditi per i periodi di imposta anteriori al fallimento, anche ove la scadenza del termine per la presentazione della stessa sia successiva alla sentenza dichiarativa.
Nel primo senso, infatti, si è espressa Cass. n. 5623/2021, argomentando a partire dal fatto che gli adempimenti tributari competono «a colui che sia al governo della persona giuridica al momento della scadenza del termine per adempiere»; nel secondo senso (cfr. Cass. n. 11590/2021, ma il principio è stato ribadito anche da Cass. pen. n. 16638/2018, Cass. pen. n. 1549/2010 e Cass. pen. n. 299/1995), è stato invece valorizzato il dato letterale dell’art. 5 del d.P.R. n. 322/1998, che pone in capo al curatore l’obbligo di presentare la dichiarazione dei redditi relativa al periodo compreso tra l’inizio del periodo d’imposta e la data in cui ha effetto la dichiarazione di fallimento, dal quale si desume la sussistenza di analoga spettanza in capo al fallito per i periodi di imposta anteriori alla sentenza dichiarativa.
3.2 Quale che sia la posizione assunta, in ogni caso, la giurisprudenza di questa Corte è costante nel ritenere che non possa esservi soluzione di continuità nella conduzione dell’impresa ai fini fiscali, sì da doversi escludere l’esistenza di segmenti temporali nei quali, come hanno invece ritenuto i giudici d’appello, non è dato attribuire ad alcuno dei due soggetti l’obbligo cli presentare la dichiarazione dei redditi.
3.3 A ben vedere, tuttavia, nella presente vicenda la questione non assume un rilievo
L’amministrazione finanziaria ha infatti emesso un atto impositivo a seguito di accertamento induttivo, donde era emerso il dato della mancata presentazione della dichiarazione dei redditi da parte della società nel frattempo fallita.
Un tale atto impositivo doveva essere necessariamente emesso nei confronti della curatela, incaricata della rappresentanza processuale dell’imprenditore fallito.
Non è dunque un argomento rilevante, nell’ottica della contestazione alla pretesa erariale, quello in base al quale il curatore non era originariamente tenuto all’adempimento la cui omissione ha innescato il processo accertativo; in questa sede, infatti, rileva solo tal ultima, obiettiva circostanza, che costituisce rngione adeguata perché l’amministrazione procedesse all’accertamento induttivo e, del tutto legittimamente, notificasse l’atto impositivo al curatore, cui è demandato l’esercizio dell’impresa dopo la senten:za di fallimento.
4. Anche il secondo motivo è fondato.
L’utilizzo, ai fini di determinazione del reddito, dell’imponibile dichiarato dalla stessa impresa ai fini IVA non si pone, infatti, in contrasto con la regola stabilita, per l’accertamento induttivo, dall’art. 39, secondo comma, lett. a), del d.P.R. n. 600/1973, a mente del quale, quando il reddito d’impresa non è stato indicato nella dichiarazione, l’amministrazione può determinarlo «sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza». Ha pertanto errato la C.T.R. nell’escludere la validità di tale impiego, in ciò, peraltro, ricorrendo ad affermazioni apodittiche ed imprecisate circa il fatto che l’ufficio avrebbe «trascurato i costi di esercizio» ovvero «operato delle trasposizioni non consentite».
5. In conclusione, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata cassata con rinvio al giudice a quo, in diversa composizione, il quale provvederà conformandosi agli indicati principi di diritto e liquidando anche le spese della presente fase di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna in diversa composizione.
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