CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 03 novembre 2022, n. 32379
Previdenza – Assegno di invalidità maturato in regime di contribuzione internazionale – Traformazione in pensione di vecchiaia in regime autonomo – Art. 1, co. 10 I. n. 222/84 – Inapplicabilità
Ritenuto in fatto
La Corte d’appello di Lecce confermava la sentenza di primo grado che aveva negato a L.G., titolare di assegno di invalidità IOS maturato in regime di contribuzione internazionale, il diritto alla pensione di vecchiaia VO in regime autonomo anziché in regime di contribuzione internazionale.
Riteneva la Corte che non fosse applicabile art. 1 co. 10 I. n. 222/84. La contribuzione figurativa maturata in Italia, quand’anche sufficiente ad attribuire il diritto ad una pensione di vecchiaia in regime autonomo ai sensi dell’art. 1, co. 10 I. n. 222/84, traeva infatti il suo presupposto dalla contribuzione estera necessaria a far ottenere l’assegno di invalidità. La Corte riteneva poi insussistente alcun vantaggio concreto conseguibile dalla ricorrente, poiché, ai sensi dell’art. 1, co. 10 I. n. 222/84, la contribuzione figurativa incide non sulla misura ma solo sul diritto alla pensione, il cui importo economico non poteva dunque superare quello dell’assegno di invalidità già in suo godimento.
Contro la sentenza, L.G. ricorre per un motivo.
L’Inps resiste con controricorso.
A seguito di ordinanza interlocutoria, la causa veniva rinviata alla pubblica udienza.
Considerato in diritto
Con l’unico motivo di ricorso, L.G. deduce violazione dell’art. 1 I. n. 222/84, in quanto il comma 10 della disposizione non autorizzerebbe la lettura restrittiva fatta propria dalla Corte. La norma, argomenta la ricorrente, non distingue tra assegno conseguito in regime internazionale o nazionale. Né vi sarebbe carenza di interesse a insistere per la trasformazione dell’assegno in pensione: l’interesse deriva dal regime giuridico della pensione di vecchiaia, più favorevole rispetto a quello dell’assegno d’invalidità; deriva, in secondo luogo, dal diverso importo della pensione di vecchiaia in regime autonomo, integrata pienamente al minimo, laddove l’attuale assegno è solo parzialmente integrato.
Il motivo è infondato.
In via preliminare, con riguardo all’interesse ad agire, va ricordato che secondo giurisprudenza di questa Corte (ord. n.8955/12), “la trasformazione dell’assegno di invalidità in pensione nel concorso dei requisiti di età e di assicurazione per la pensione di vecchiaia è previsto direttamente dalla L. n. 222 del 1984, art. 1, comma 10, sicché non è richiesta la verifica di un interesse in concreto. Peraltro tale interesse è indiscutibile, in considerazione delle notevoli differenze di disciplina dei due istituti, dato che l’assegno di invalidità è revocabile nel venir meno delle relative condizioni di salute e non è reversibile ai superstiti.” Nel caso di specie, la domanda è poi tesa alla trasformazione in pensione di vecchiaia in regime autonomo, ovvero al conseguimento di una prestazione economicamente più vantaggiosa rispetto alla pensione di vecchiaia calcolata secondo il regime contributivo internazionale.
Tanto premesso, l’assegno di invalidità percepito dalla ricorrente si basa su contributi versati in parte in Italia (dal 1959 al 1963) e in parte in Svizzera.
Senza questi ultimi, come ammesso pacificamente dalle parti, la ricorrente non avrebbe avuto diritto al conseguimento dell’assegno in regime autonomo.
Dal punto di vista normativo occorre richiamare la Convenzione tra la Confederazione svizzera e la Repubblica italiana relativa alla sicurezza sociale, del 14.12.1962, e in particolare il suo art. 9, paragrafo 1, secondo cui: “Quando in base ai soli periodi d’assicurazione e ai periodi equivalenti compiuti secondo la legislazione italiana un assicurato non può far valere un diritto ad una prestazione per l’invalidità, la vecchiaia o i superstiti ai sensi di questa legislazione, i periodi compiuti nell’assicurazione vecchiaia e superstiti svizzera (periodi contributivi e periodi equivalenti) saranno totalizzati con i periodi compiuti nell’assicurazione italiana per l’apertura del diritto alle prestazioni suddette, in quanto questi periodi non si sovrappongano”.
La norma è rimasta in vigore anche dopo l’Accordo tra la Confederazione Svizzera, da una parte, e la Comunità europea ed i suoi Stati membri, dall’altra, sulla libera circolazione delle persone, concluso il 21.6.99 ed entrato in vigore l’1.6.2002, in quanto l’art.1 dell’allegato II alla Accordo, rinviando alla sezione A dello stesso allegato, ha reso applicabile alla Svizzera il regolamento CEE n.1408/71, poi sostituito dal regolamento CE n.883/04, ma la stessa sezione A, modificando l’allegato II del regolamento CE n.883/04, ha introdotto, quale accordo bilaterale fatto salvo anche dopo l’1.6.2002, la Convenzione tra la Confederazione svizzera e la Repubblica italiana relativa alla sicurezza sociale, del 14.12.1962, limitatamente proprio al suo art.9, paragrafo 1.
Detto art.9, paragrafo 1, sicuramente applicabile ratione temporis, introduce la regola della totalizzazione sia per le prestazioni di invalidità sia per quelle di vecchiaia, ove la prestazione non possa essere ottenuta in base ai soli periodi d’assicurazione compiuti secondo la legge italiana.
Sostiene la ricorrente che, di contro, il diritto alla pensione di vecchiaia sia maturato per intero ai sensi della legge italiana, e in particolare dell’art. 1, co. 10, secondo periodo, della legge n. 222/84, secondo cui, al fine del conseguimento della pensione di vecchiaia da trasformazione dell’assegno di invalidità: “i periodi di godimento dell’assegno nei quali non sia stata prestata l’attività lavorativa, si considerano utili ai fini del diritto e non anche della misura della pensione stessa”.
E, prosegue la ricorrente, il godimento dell’assegno è avvenuto in Italia per tutto il periodo necessario a raggiungere la contribuzione figurativa richiesta dall’art. 1, co. 10 I. n. 222/84 ai fini del diritto alla pensione.
in realtà, occorre sempre considerare che si verte in tema di pensione di vecchiaia da trasformazione dell’assegno di invalidità. Il diritto alla pensione non è attribuito alla ricorrente per effetto della legge italiana, e in particolare in base al solo art. 1, co. 10 I. n. 222/84, poiché la legge italiana considera quale presupposto del diritto alla pensione, oltre alla contribuzione figurativa, il diritto all’assegno di invalidità. Nel caso di specie, come detto, è pacifico che il diritto alla prestazione di invalidità non sia sorto in base alla sola legge italiana, non avendo il periodo lavorato in Italia fatto maturare la necessaria contribuzione. L’art. 9, paragrafo 1, della Convenzione italo – svizzera del 14.12.62 e la relativa regola di totalizzazione deve ritenersi perciò applicabile anche alla pensione di vecchiaia da trasformazione dell’assegno di invalidità, nel senso che non può dirsi sorto il diritto alla pensione di vecchiaia in base al periodo equivalente al periodo d’assicurazione (mediante la contribuzione figurativa) compiuto tutto secondo la legge italiana, quando tale pensione derivi da trasformazione della prestazione di invalidità (assegno di invalidità) e il diritto alla prestazione di invalidità non poteva essere fatto valere in base ai soli periodi di assicurazione compiuti secondo la legge italiana. In altri termini, la regola della totalizzazione, una volta che sia necessario applicarla all’assegno di invalidità secondo l’art. 9, paragrafo 1 della Convenzione, si comunica alla pensione di vecchiaia che segue alla trasformazione di quello.
Tale conclusione trova un supporto ermeneutico nell’art. 48, paragrafo 1 del regolamento CE n. 883/04 (e prima l’art. 43 del regolamento CEE n. 1408/71), che, trattando della trasformazione delle prestazioni di invalidità in pensione di vecchiaia, rinvia alle legislazioni nazionali circa i presupposti della trasformazione, ma fa salvo il capitolo 5 dello stesso regolamento, e quindi le regole della totalizzazione e del pro rata previste nel capitolo 5 (artt. 50, 51, 52), così accreditando la conclusione che la prestazione di vecchiaia sorta da trasformazione della prestazione di invalidità continua a seguire la regola della totalizzazione.
Il ricorso va dunque respinto.
Nulla sulle spese attesa la dichiarazione ex art. 152 d.a. c.p.c.. prodotta da parte ricorrente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
dà atto che, atteso il rigetto, sussiste il presupposto processuale di applicabilità dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/02, con conseguente obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.
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