CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 novembre 2022, n. 33893
Licenziamento – Società cooperativa sottoposta a gestione commissariale – Assenza del socio lavoratore sottoposto a custodia cautelare in carcere – Delibera di espulsione – Applicabilità dell’art. 8 L. n. 604/66 – Esclusione
Rilevato che
Con sentenza n. 5036 dell’8 ottobre 2019, la Corte d’Appello di Napoli, in parziale accoglimento del reclamo proposto da C.B., ha condannato la Società Cooperativa L.P. III a. r. l., al risarcimento del danno da licenziamento illegittimo, commisurato all’ultima retribuzione globale di fatto nella misura di sei mensilità oltre accessori; per quanto rileva in questa sede, la vicenda nasce dall’adozione di una delibera di espulsione dell’attuale controricorrente dalla compagine sociale per effetto dell’assenza, ritenuta ingiustificata, a cagione dell’ordinanza di custodia cautela in carcere, notificata in data 2 maggio 2017, espulsione disposta dal Commissario Governativo ex art. 12 comma 3, D.L. n. 366 del 1987; in particolare, la Corte, andando di contrario avviso rispetto all’iter decisorio del primo giudice, che aveva respinto la domanda, ha ritenuto l’insussistenza di un obbligo di comunicazione formale dell’impedimento occorso al socio lavoratore nella specie per intervenuta carcerazione e la conseguente idoneità della comunicazione verbale effettuata dalla moglie del B. ritenendo l’impossibilità di presentarsi al lavoro oggettiva e non adeguata a far scattare un conseguente provvedimento disciplinare; per la cassazione della sentenza propone ricorso assistito da memoria. la Società Cooperativa “L.P.III” a. r. l., affidandolo a quattro motivi;
resiste, con controricorso, C.B..
Considerato che
Con il primo motivo di ricorso si deducono violazione e falsa applicazione dell’art. 12, commi 1, 2, e 3 del D.L. n. 366 del 1987, convertito nella legge n. 452 del 1987 e dell’art. 12 delle disposizioni preliminari al codice civile; deduce, in particolare, la società cooperativa ricorrente, l’errore di diritto in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale nel non considerare il carattere speciale della normativa invocata e, quindi, nel non considerare inammissibile il ricorso per difetto di impugnativa della delibera di esclusione del socio, nonché, conseguentemente, per l’assenza di un atto di recesso impugnabile;
con il secondo motivo si allega la violazione del medesimo art. 12, sul presupposto della ritenuta erroneità del percorso motivazionale del primo giudice nella parte in cui aveva reputato inidonea la comunicazione informale dell’impossibilità di svolgimento della prestazione;
con il terzo motivo si censura la decisione impugnata per violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti circa la peculiarità della Cooperativa e della disciplina alla stessa applicabile;
con il quarto motivo si deduce l’erroneità della decisione per la condanna alla rifusione della metà delle spese processuali;
il terzo motivo è inammissibile; va rilevato, invero, con riferimento alla dedotta violazione dell’art. 360, co. 1, n. 5 cod. proc. civ., che si verte nell’ambito di una valutazione di fatto, totalmente sottratta al sindacato di legittimità, in quanto, in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma n. 5 del cod. proc. civ., al di fuori dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, il controllo del vizio di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. ed individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte -formatasi in materia di ricorso straordinario- in relazione alle note ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4), c.p.c. e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità (fra le più recenti, Cass. n. 13428 del 2020; Cass. n. 23940 del 2017);
invero, l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal dl. n. 83 del 2012, conv. dalla l. n. 134 del 2012, prevede l’ ” omesso esame” come riferito ad “un fatto decisivo per il giudizio” ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate ( cfr., in questi termini, fra le più recenti, Cass.n. 2268 del 2022);
in particolare, ha rilevato questa Corte (V. Cass. n. 8584 del 2022) che l’art. 360, comma 1 n. 5, c.p.c., come riformulato dall’art. 54 del dl. n. 83 del 2012, conv. con mod. dalla l. n. 134 del 2012, consente di censurare l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, nozione nel cui ambito non è inquadrabile un documento (nella specie si trattava della consulenza tecnica d’ufficio recepita dal giudice) risolvendosi la critica ad esso nell’esposizione di mere argomentazioni difensive contro un elemento istruttorio; nella specie, sostanzialmente, parte ricorrente censura la decisione impugnata per difetto di motivazione circa la natura speciale della società cooperativa;
il primo motivo è fondato nei termini che seguono;
come questa Corte ha già rilevato (cfr., sul punto, Cass. n. 23727 del 2021), il Dl. n. 366 del 1987 recante, tra l’altro, norme per il finanziamento di lavori socialmente utili nell’area napoletana, prevede, all’art. 10, che questi ultimi siano affidati a società cooperative sottoposte a gestione commissariale;
dalla lettura delle disposizioni in esame, alla luce dei lavori preparatori, si evince che le stesse mirano, da un lato a garantire l’utilizzazione, quali soci lavoratori, di soggetti svantaggiati dei quali lo Stato desidera assicurare, per quanto possibile, il reinserimento sociale, dall’altro, a favorire l’interesse della comunità mediante l’adempimento di lavori socialmente utili, sottoposti al controllo del commissario governativo;
orbene, parte ricorrente censura la decisione impugnata nella parte in cui non ha considerato che la delibera di esclusione si pone come atto che non contiene alcun provvedimento di licenziamento e nel quale la cessazione del rapporto di lavoro è posta in connessione oggettiva con la espulsione del socio per gravi violazioni attinenti al rapporto sociale;
giova evidenziare come l’assunto del giudice di secondo grado secondo il quale, in definitiva, alla strutturale configurazione nell’ambito della società mutualistica di un duplice rapporto- associativo e di lavoro, con conseguente duplicità di tutele e necessità di disamina dei due effetti estintivi secondo le regole proprie di ciascun effetto, non appare pertinente alla specifica fattispecie, nella quale la estinzione del rapporto di lavoro non scaturisce da un atto di licenziamento ma si pone come conseguenza necessaria ai sensi dell’art. 5, comma 2, l. n. 142 del 2001 della perdita della qualità di socio da parte del socio lavoratore;
tale ricostruzione, a differenza di quanto opina la Corte territoriale, è coerente con gli approdi di Cass. Sez. Un. n. 27436 del 2017 pur richiamata, resa in fattispecie nella quale, a differenza che nell’ipotesi in esame, erano intervenuti due formali atti estintivi dei quali quello riferito al rapporto associativo non era stato impugnato;
il Supremo Collegio nell’arresto richiamato ha chiarito che: a) ai sensi dell’art. 5 comma 2 1. n. 142 del 2001 il collegamento fra rapporto associativo e rapporto di lavoro nella fase estintiva assume caratteristica unidirezionale nel senso che la cessazione del rapporto associativo “trascina” con sé ineluttabilmente quella del rapporto di lavoro. Sicché il socio, se può non essere lavoratore, qualora perda la qualità di socio non può più essere lavoratore; b) è la caratteristica morfologica dell’unidirezionalità del collegamento fra i rapporti, difatti, a determinare la dipendenza delle loro vicende estintive, non già l’indagine, necessariamente casistica, sulle ragioni che sono poste a fondamento dell’espulsione del socio lavoratore; c) alla duplicità di rapporti può corrispondere la duplicità degli atti estintivi, in quanto ciascun atto colpisce, e quindi lede, un autonomo bene della vita, sia pure per le medesime ragioni. 5.5;
da tale condivisibile ricostruzione si evince, quindi, che la estinzione del rapporto di lavoro può tanto derivare quale conseguenza necessitata ex lege dall’adozione della delibera di esclusione del socio lavoratore, quanto dall’adozione di un formale atto di licenziamento;
solo in quest’ultimo caso, tuttavia, in presenza dei relativi presupposti, vi sarà spazio per l’esplicazione delle tutele connesse alla cessazione del rapporto di lavoro: a) solo risarcimento, ai sensi dell’art. 8 legge n. 604 del 1966 in caso di perdita della qualità di socio per effetto di delibera di espulsione non impugnata (come nel caso esaminato da Sez. Un. n. 27346/2017 cit.) o di rigetto della opposizione avverso la stessa proposta ai sensi dell’art 2533 cod. civ.; b) tutela obbligatoria o reale nell’ipotesi, invero teorica, di adozione di un provvedimento di licenziamento in assenza di delibera di espulsione (cfr., in questi termini, Cass. n. 35341 del 2021);
la soluzione qui condivisa si sottrae alla possibile critica secondo la quale in tal modo le tutele in concreto esperibili dal socio lavoratore sarebbero rimesse in sostanza alla scelta discrezionale della cooperativa circa il meccanismo attraverso il quale determinare la cessazione del rapporto di lavoro; la scelta della cooperativa non potrebbe infatti giammai tradursi in sostanziale arbitrarietà in quanto la legittimità del provvedimento di espulsione resta pur sempre condizionata alla violazione degli specifici doveri scaturenti dal rapporto mutualistico la cui verifica è soggetta a controllo giurisdizionale; in conclusione, in base alle considerazioni che precedono, deve escludersi, in difetto di un formale atto di licenziamento, la assimilabilità della notifica del provvedimento cautelare alla malattia e la conseguente configurabilità delle tutele in tale ambito dettate ai sensi della normativa sul licenziamento, nonché, quindi, l’applicabilità ritenuta dell’art. 8 L. n. 604/66;
alla luce delle suesposte argomentazioni, dichiarato inammissibile il terzo motivo di ricorso, va accolto il primo, assorbiti gli altri;
la sentenza deve essere cassata e la causa rimessa alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, anche in ordine alle spese relative al giudizio di legittimità;
P.Q.M.
Dichiara il terzo motivo inammissibile; accoglie il primo, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, anche in ordine alle spese relative al giudizio di leggitimità.
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