Corte di Cassazione ordinanza n. 26638 depositata il 9 settembre 2022
motivazione atto impositivo – divieto di integrazione in sede processuale – imposta di registro
Rilevato che:
1. – con sentenza n. 947/1/19, depositata il 14 maggio 2019, la Commissione tributaria regionale della Emilia Romagna ha accolto l’appello proposto da Parmalat Finanziaria S.p.a., in amministrazione straordinaria, così pronunciando in integrale riforma della decisione di prime cure che, per suo conto, aveva disatteso l’impugnazione di un avviso di liquidazione dell’imposta di registro dovuta dalla contribuente, ai sensi del d.p.r. n. 131 del 1986, art. 8, lett. c), della Tariffa allegata, parte prima, in relazione alla registrazione di sentenza del Tribunale di Parma che aveva ammesso, in via chirografaria, la parte creditrice al passivo della società;
– il giudice del gravame ha ritenuto che l’avviso di liquidazione difettasse di motivazione in quanto allo stesso non era stata allegata la sentenza oggetto di tassazione, in violazione della I. n. 212 del 2000, art. 7;
2.- l’Agenzia delle Entrate ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di un solo motivo; Parmalat S.p.a. resiste con controricorso illustrato con memoria.
Considerato che:
1. – ai sensi dell’art. 360, c. 1, n. 3, cod. proc. civ., l’Agenzia denuncia violazione e falsa applicazione di legge con riferimento alla n. 212 del 2000, art. 7, alla I. n. 241 del 1990, art. 3, agli artt. 3 e 53 Cost., deducendo, in sintesi, che, – avuto riguardo alle stesse difese svolte in giudizio dalla contribuente che, oltretutto, doveva ritenersi nella disponibilità della sentenza sottoposta a registrazione, in quanto parte di quel giudizio, – non sussisteva il rilevato difetto di motivazione un atto che, ad ogni modo, recava l’indicazione dell’imposta applicata e del suo referente normativo,, dell’atto tassato e delle stesse parti del definito giudizio civile; soggiunge la ricorrente che, nella fattispecie, ricorreva, ad ogni modo, un mero vizio formale che, – escluso ogni pregiudizio al diritto di difesa del contribuente, – non avrebbe potuto assumere rilievo (anche) in considerazione del contenuto necessitato del provvedimento impositivo che per l’appunto, nonostante il rilevato vizio, non avrebbe potuto essere diverso;
2. – il motivo di ricorso è destituito di fondamento, e va senz’altro disatteso, per quanto (pur) debba correggersi la motivazione della gravata sentenza;
3. – deve premettersi che il contenuto motivazionale dell’atto deve sussistere ex se, quale requisito (strutturale) di legittimità, così che come la motivazione dell’atto non può essere integrata (a posteriori) in sede processuale (cfr., ex plurimis, , 19 novembre 2019, n. 29993; Cass., 12 ottobre 2018, n. 25450; Cass., 23 ottobre 2017, n. 25037; Cass., 9 marzo 2017, n. 6065; Cass., 6 febbraio 2015, n. 2184; Cass., 31 ottobre 2014, n. 23237; Cass., 13 giugno 2012, n. 9629), così le difese svolte in giudizio dal contribuente, – una volta acquisita, dunque, la piena conoscenza della pretesa impositiva, – nemmeno possono costituire la misura dell’assolvimento di quell’obbligo;
– la Corte, difatti, ha già rimarcato che l’insufficienza motivazionale dell’atto impositivo, che ne giustifica l’annullamento, non esclude che il contribuente possa difendersi nel merito, deducendo, mediante l’impugnazione, anche vizi di merito, poiché tale difetto non può essere sanato, ex art. 156 cod. proc. civ., per raggiungimento dello scopo in quanto l’atto ha la funzione di garantire una difesa certa anche con riferimento alla delimitazione del thema decidendum (Cass., 17 ottobre 2014, n. 21997);
3.1 – con riferimento, poi, alla tassazione di atti giudiziari, si è affermato che l’avviso di liquidazione emesso ex art. 54, comma 5, del d.P.R. n. 131 del 1986 deve contenere l’indicazione dell’imponibile, dell’aliquota applicata e dell’imposta liquidata, ma non deve necessariamente recare, in allegato, la sentenza o il suo contenuto essenziale rispondendo l’obbligo di motivazione di cui all’art. 7 St. contr. all’esigenza di garantire il pieno e immediato esercizio delle facoltà difensive del contribuente, senza costringerlo ad attività di ricerca, e non riguardando perciò atti o documenti da lui conosciuti o conoscibili, sempre che il contenuto delle informazioni fornite garantisca la conoscenza dei presupposti di fatto e di diritto della pretesa fiscale e si tratti di informazioni facilmente intellegibili (Cass., 12 gennaio 2021, n. 239);
– e si è, per di più, precisato che in tema di imposta di registro su atti giudiziari definitori di procedimenti nei quali il contribuente sia stato parte, l’avviso di liquidazione è adeguatamente motivato anche quando, pur non allegando l’atto, riporti sia gli estremi identificativi essenziali del medesimo (natura del provvedimento, ufficio emanante, estremi di ruolo e pubblicazione), sia i criteri normativi e matematici di determinazione del dovuto (base imponibile, aliquota tariffaria applicata ed imposta). Tuttavia, nel caso in cui il contribuente contesti in maniera specifica e circostanziata la sufficienza motivazionale dell’avviso e la comprensibilità della pretesa impositiva, il giudice di merito deve procedere al vaglio complessivo del livello motivazionale dell’avviso stesso, indipendentemente dalla allegazione o non allegazione ad esso dell’atto giudiziario tassato, anche in relazione agli eventuali elementi di complessità ed equivocità che possano in concreto emergere da quest’ultimo (Cass., 29 settembre 2021, n. 26340);
3.2 – nella fattispecie il proposto ricorso difetta di autosufficienza, quanto all’effettivo contenuto motivazionale dell’avviso di liquidazione (v. , 13 agosto 2004, n. 15867 cui adde, ex plurimis, Cass., 19 novembre 2019, n. 29992; Cass., 28 giugno 2017, n. 16147; Cass., 19 aprile 2013, n. 9536; Cass., 4 aprile 2013, n. 8312; Cass., 29 maggio 2006, n. 12786), e, nella parte in cui riproduce l’atto di appello di controparte, nemmeno risulta che la sentenza tassata sia stata indicata nei suoi estremi identificativi;
– per come allora riassunto dalla stessa ricorrente, – che, come detto, riproduce le difese svolte da controparte con l’atto di appello, – l’avviso di liquidazione, in difetto di allegazione della stessa sentenza in registrazione, non ne esplicitava i relativi estremi identificativi (natura del provvedimento, ufficio emanante, estremi di ruolo e pubblicazione) né, per quel che più rileva, l’effettivo contenuto decisorio e nemmeno recava una qualche indicazione in ordine alla stessa base imponibile incisa;
– in tal senso, del resto, si è già pronunciata questa Corte con riferimento ad omologo contenzioso, essendosi invariabilmente rilevata la genericità dei contenuti degli avvisi di liquidazione (v., ex plurimis, , 8 giugno 2021, nn. 15874 e 15873; Cass., 3 giugno 2021, n. 15368; Cass., 4 maggio 2021, n. 11653; Cass., 4 maggio 2021, n. 11652; Cass., 6 aprile 2021, n. 9226);
4. – le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza di parte ricorrente nei cui confronti non sussistono i presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale (d.p.r. n. 115 del 2002, art. 13, c. 1 quater), trattandosi di ricorso proposto da un’amministrazione dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, è esentata dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (cfr., ex plurimis, , 29 gennaio 2016, n. 1778; Cass., 5 novembre 2014, n. 23514; Cass. Sez. U., 8 maggio 2014, n. 9938; Cass., 14 marzo 2014, n. 5955).
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso; condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento, in favore della controricorrente Parmalat S.p.a., delle spese del giudizio di legittimità liquidate in complessi € 2.900,00 per compensi professionali ed € 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge.
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