CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 31509 depositata il 13 novembre 2023
Lavoro – Dirigente – Tredicesima e quattordicesima mensilità – Mancata fruizione delle ferie per la ricorrenza di esigenze aziendali assolutamente eccezionali e obiettive – Appropriazione di somme a titolo di rimborsi chilometrici per trasferte non effettuate – Sanzioni amministrative, civili e tributarie per infedeli registrazioni – Contributi e imposte omessi – Risarcimento del danno – Rigetto
Rilevato che
1. con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Trento, confermando la pronuncia del Tribunale della medesima sede, ha accolto la domanda di A.P. proposta nei confronti di Società F.T. sca per il pagamento di quanto dovuto a titolo di 13ª e 14ª per l’anno 2015 (respingendo le ulteriori domande di pagamento di quanto maturato per ferie, permessi e festività non godute nel corso del rapporto di lavoro svoltosi dal 2007 a novembre 2015) nonché ha accolto la domanda riconvenzionale della società per il risarcimento del danno dovuto per appropriazione di somme a titolo di rimborsi chilometrici per trasferte non effettuate, indennità per ferie non godute indebite, differenze contributive e fiscali su tali somme, sanzioni amministrative, civile e tributarie per infedeli registrazioni, contributi e imposte omessi.
2. La Corte territoriale ha sottolineato: che il P., quale dirigente apicale posto ai vertici anche dell’organizzazione del personale dipendente, aveva sempre goduto di autonomia piena nell’organizzazione dei tempi e dei modi della propria attività, senza alcun controllo, se non esterno e di massima da parte del consiglio di amministrazione (così come risultava allegato da entrambe le parti e, quanto all’assenza di controlli, provato in atti); che, pertanto, non era stata provata la mancata fruizione delle ferie per la ricorrenza di esigenze aziendali assolutamente eccezionali e obiettive (bensì solamente la programmazione delle assenze secondo un criterio di compatibilità in linea di massima con le esigenze aziendali); che anche l’esistenza di una procedura per l’autorizzazione delle ferie (o il pagamento in caso di mancata fruizione) perdeva qualsiasi valenza anche indiziaria una volta accertata una condotta infedele del dirigente che non consentiva di argomentare da una prassi di esecuzione contrattuale secondo correttezza e buona fede; che la domanda riconvenzionale si fondava su condotte illecite di appropriazione/incasso di somme di denaro, precisamente individuate nella memoria di costituzione della società, oggetto di accertamento da parte della Guardia di finanza, prive di giustificazione contabile, che non avevano rispondenza nel contratto individuale e/o per titoli insussistenti e/o non riscontrabili e/o simulati (pagamenti per rimborsi chilometrici e indennità sostitutiva di ferie non godute), allegazioni che non erano state oggetto di contestazione specifica e tempestiva; che il verbale della Guardia di finanza conteneva riscontri oggettivi in ordine sia ai rimborsi in contanti dell’indennità chilometrica (che sono risultati essere pagamenti indebitamente effettuati alla luce dei raffronti con i tragitti casa-lavoro e verso i punti vendita e le linee di produzione della società) sia alla percezione di pagamenti “ in nero “ (extra contabili) in contanti;
che andava esclusa qualsiasi pregiudizialità rispetto al procedimento penale e al procedimento tributario (non essendo la società coinvolta e non potendo, quindi, essere, i provvedimenti, alla stessa opposti); che, infine, correttamente doveva includersi nel risarcimento del danno richiesto dalla società l’esborso effettuato per inadempimento di obblighi contributivi e fiscali per i pagamenti registrati come “ in nero “ dall’ente previdenziale e dalla Guardia di Finanza.
3. Avverso tale sentenza ricorre il lavoratore con quattro motivi, illustrati da memoria, e la società resiste con controricorso.
4. Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
Considerato che
1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod.civ. in relazione all’art. 2729 cod.civ., ex art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., avendo, la Corte distrettuale, errato nella valutazione della prassi dedotta dal dirigente, vigente per più di dieci anni, concernente l’obbligo di giustificare o preavvisare la società per i giorni di ferie non avendo il teste C. smentito i fatti così come esposti nel ricorso introduttivo del giudizio; inoltre l’ultima busta paga del 2015 riportava tutti i dati che ben potevano essere tempestivamente controllati dalla Federazione;
2. con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2696 cod.civ., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., avendo, la Corte distrettuale, errato nel valutare il verbale della Guardia di finanza nonché nell’applicare il principio di non contestazione;
invero, nella memoria prodotta in primo grado quale replica alla domanda riconvenzionale si contestava “tutto quanto ex avderso dedotto, eccepito e prodotto nella memoria difensiva in quanto infondato in fatto e in diritto” e si chiedeva che la domanda fosse rigettata; il verbale della Guardia di Finanza inoltre era un atto interno al procedimento amministrativo tributario al quale il dirigente non aveva partecipato;
3. con il terzo motivo si denuncia violazione ed errata applicazione degli artt. 186, 115 c.p.c. nonché 2697 cod.civ., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., avendo, il Tribunale, assunto una riserva riguardo l’acquisizione di un ricorso alla Commissione Tributaria della società, con conseguente nullità di ogni pronuncia successiva;
4. con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod.civ., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., avendo, la Corte distrettuale, erroneamente considerato – con riguardo ai rimborsi chilometrici -tragitti e destinazioni che non erano ricompresi nel verbale della Guardia di Finanza, non notificato al P.; né potevano essere utilizzate per analogia, relativamente agli anni 2011, 2012 e 2013, le intercettazioni; in realtà le trasferte risultavano confermate per indicazione delle stesse nei moduli presentati dal dirigente e controfirmati dal Presidente nonché per riscontro testimoniale;
5. i motivi di ricorso, che possono esaminarsi congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono inammissibili;
6. tutti i motivi che lamentano l’omesso esame delle argomentazioni difensive concernenti la sussistenza di una prassi/procedura per la fruizione delle ferie nonché l’errata valutazione di elementi probatori (di fonte documentale e testimoniale) sono inammissibili, atteso che l’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. riguarda l’omesso esame di un fatto storico-naturalistico, principale o secondario, nel quale paradigma non è inquadrabile le suddette censure di errata valutazione di deduzioni difensive (Cass. nn. 14802 del 2017 e 22397 del 2019), oltre a dover considerare che dette censure non sono consentite dall’art. 360, quarto comma, c.p.c., come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022 (che contiene il medesimo testo precedentemente previsto dall’art. 348-ter, quarto e quinto comma, cod. proc. civ.), essendosi in presenza di doppia pronuncia conforme di merito basata sulle medesime ragioni di fatto circa la gravità del comportamento adottato dal dirigente (e non avendo, il ricorrente, indicato le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse, cfr. Cass. n. 26774 del 2016, conf. Cass. n. 20944 del 2019);
7. i dedotti errori di diritto sono inammissibili in quanto non individuano una errata ricognizione della fattispecie astratta o un’errata sussunzione da parte del giudice di merito ma, piuttosto, involgono apprezzamenti di merito in ordine alla sussistenza del danno (della società) nella fattispecie concreta, valutazioni in quanto tali sottratti al sindacato di questa Corte; ancora di recente le Sezioni unite hanno ribadito l’inammissibilità di censure che “sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione e falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, degradano in realtà verso l’inammissibile richiesta a questa Corte di una rivalutazione dei fatti storici da cui è originata l’azione”, così travalicando “dal modello legale di denuncia di un vizio riconducibile all’art. 360 cod. proc. civ., perché pone a suo presupposto una diversa ricostruzione del merito degli accadimenti” (cfr. Cass. SS.UU. n. 34476 del 2019; conf. Cass. SS.UU. n. 33373 del 2019; Cass. SS.UU. n. 25950 del 2020);
8. in particolare la violazione dell’art. 2697 c.c. è censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. n. 15107 del 2013; Cass. n. 13395 del 2018; Cass. n. 18092 del 2020), mentre nella sentenza impugnata non è in alcun modo ravvisabile un sovvertimento dell’onere probatorio, interamente gravante sul lavoratore che richiede l’indennità per ferie non dovute (cfr. con riguardo al dirigente che, pur avendo il potere di attribuirsi il periodo di ferie senza alcuna ingerenza da parte del datore di lavoro, non lo eserciti e non fruisca del periodo di riposo annuale, onerato di provare di non avere potuto fruire del riposo a causa di necessità aziendali assolutamente eccezionali e obiettive, Cass. 23697 del 2017; Cass. n. 4920 del 2016; Cass. n. 13953 del 2009; Cass. n. 11786 del 2005);
9. in ordine ai rimborsi chilometrici spettanti, lo stabilire se determinate somme siano state correttamente erogate al prestatore di lavoro e in quale misura è un tipico apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito e non censurabile in sede di legittimità; né la violazione delle norme sulle presunzioni può dirsi sussistente sol perché il giudice di merito abbia, o non abbia, ritenuto che da un certo fatto noto possa risalirsi per via di deduzioni logiche ad un fatto ignorato: la violazione degli articoli 2727 e 2729 cod.civ., come già ripetutamente affermato da questa Corte, potrebbe essere censurata in sede di legittimità soltanto in un caso: allorché ricorra il cosiddetto “vizio di sussunzione”, vale a dire allorquando il giudice di merito, dopo aver qualificato come “gravi, precisi e concordanti” gli indizi raccolti, li ritenga però inidonei a fornire la prova presuntiva; oppure, all’opposto, quando dopo aver qualificato come “non gravi, imprecisi e discordanti” gli indizi raccolti, li ritenga nondimeno sufficienti a fornire la prova del fatto controverso (ex multis, in tal senso, Sez. Un. n. 1785 del 2018, paragrafo 4.1, lettera (bb), della motivazione; nonché Cass. n. 19485 del 2017, Cass. n. 3541 del 2020), censure che non sono state prospettate nel caso di specie;
10. la dedotta violazione dell’art. 115 c.p.c. non è ravvisabile nella mera circostanza che il giudice di merito abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, ma soltanto nel caso in cui il giudice abbia giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (Cass., Sez. U, n. 11892/2016, Cass. Sez.U. n. 20867 del 2020), circostanza non dedotta;
11. in ordine all’onere di specifica contestazione, la sentenza impugnata si è conformata all’orientamento consolidato di questa Corte secondo cui il convenuto (e il ricorrente, in sede riconvenzionale), a norma dell’art. 416 cod. proc. civ., nel rito del lavoro nella memoria di costituzione in primo grado “deve prendere posizione, in maniera precisa e non limitata a una generica contestazione, circa i fatti affermati dall’attore a fondamento della domanda, proponendo tutte le sue difese in fatto e in diritto …” (Cass. n. 3974 del 2012; Cass. n. 18202 del 2008), confermando – la genericità delle allegazioni (articolate nella memoria di costituzione di primo grado e) riportate in ricorso – la correttezza della valutazione;
12. infine, la censura relativa al mancato scioglimento di una riserva relativa all’acquisizione di un ricorso depositato presso la Commissione tributaria (istanza rivolta al giudice di primo grado) è inammissibile essendo prospettata con modalità non conformi al principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, secondo cui parte ricorrente avrebbe dovuto, quantomeno, trascrivere nel ricorso il (preciso) contenuto dell’istanza rivolta al giudice di primo grado e il provvedimento giudiziale (nonché la riproposizione dell’istanza al giudice di appello), fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali, potendosi solo così ritenere assolto il duplice onere, rispettivamente previsto a presidio del suddetto principio dagli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod.pro.civ. né avendo, il ricorrente, dedotto la violazione del principio del contraddittorio; non appare, inoltre, pertinente, la giurisprudenza richiamata, che concerne il diverso profilo della comunicazione alle parti di un’ordinanza adottata fuori udienza;
13. in conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.;
14. sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in euro 8.000,00 per compensi professionali e in euro 200,00 per esborsi, oltre il 15% per spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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