COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di Roma sentenza n. 9643 sez. 18 del 29 dicembre 2016
REDDITO D’IMPRESA – DEDUCIBILITA’ COSTI – INERENZA
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di appello notificato alla controparte il Sig. V.L. ha chiesto di riformare la sentenza della Commissione provinciale tributaria di Frosinone n. 1489/5/14, depositata il 15/12/2014, e di annullare l’avviso di accertamento o, in subordine, di riformare parzialmente la sentenza e rideterminare in diminuzione le somme da lui dovute, secondo quanto ritenuto di giustizia.
In primo grado il contribuente, titolare di omonima impresa individuale, impugnava un avviso di accertamento, notificato il 19/12/2013, relativo ad anno di imposta 2008 e concernente recupero a tassazione a fini di imposte dirette della somma di € 216.639,33 quali costi indeducibili perché non inerenti ed Iva dovuta per € 113.678,06 ex art. 54 d.P.R. n. 633/1972. L’atto era stato preceduto da invito ad esibire tutta la documentazione contabile ed extracontabile relativa all’annualità di interesse. Il contribuente, in risposta, aveva presentato denuncia di smarrimento delle fatture del 2008 (resa all’autorità di polizia il 20/3/13), registri fatture di vendita e acquisto, corrispettivi e libro cespiti; aveva poi consegnato in parte copia delle fatture di acquisto. Il contribuente era stato denunciato per dichiarazione infedele e non si era presentato al contraddittorio a seguito di istanza di accertamento con adesione. L’impugnazione verteva su: nullità dell’accertamento per violazione dell’art. 12, comma 7, della legge n. 212/2000 (statuto del contribuente), nullità dell’accertamento per violazione dell’art. 75, comma 4, ora art. 109, del Tuir e dell’art. 53 Cost., nonché su assenza di motivazione dell’atto.
La CTP ha respinto il ricorso osservando: – insussistenza della censura relativa alla violazione dello statuto del contribuente, in quanto, premesso che la nullità degli atti amministrativi è un numero chiuso (può ricorrere soltanto ove prevista specificamente dalla legge), le garanzie previste nella suddetta normativa (contraddittorio anticipato, termine dilatorio di 60 giorni dopo la chiusura delle operazioni e compilazione di processo verbale di chiusura delle operazioni) valgono solo per l’accertamento conseguente ad accessi e verifiche presso locali del contribuente; – insussistenza del difetto di motivazione, giacché è sufficiente che l’atto faccia conoscere gli elementi essenziali della pretesa tributaria (come nel caso di specie), così da consentire di contestare an e quantum della pretesa (atto impositivo come provocalo ad opponendum); – insussistenza della violazione dell’art. 75, comma 4, ora art. 109, del Tuir e dell’art. 53 Cost. per le ragioni esposte nelle controdeduzioni in primo grado dell’Agenzia fiscale; – assorbimento degli ulteriori profili di censura.
L’appellante deduce: – che era necessario rispettare il termine dilatorio prima di emettere l’avviso di accertamento, che non reca motivazione dell’urgenza, essendosi trattato di un accertamento conseguito a vari accessi presso gli uffici e la sede del contribuente, che solo in una seconda fase è stato svolto a tavolino; – che vi è difetto di motivazione, posto che la lettura dell’atto non consente la comprensione della pretesa tributaria; – che egli aveva documentato (con registri fatture, corrispettivi e libri cespiti) i costi deducibili; – che a seguito dell’abrogazione dell’art. 75, comma 6, del Tuir (applicabile anche ai procedimenti pendenti) non è più ostativa ai fini della deducibilità dei componenti negativi del reddito la violazione degli obblighi di tenuta e conservazione delle scritture contabili; – che l’Ufficio ha di fatto calcolato l’imposizione sui ricavi lordi, in violazione dell’art. 75, comma 4, ora art. 109 del Tuir e dell’art 53 Cost.; – che la sentenza ha omesso di esaminare altre censure (come dichiara la sentenza stessa); – che l’Ufficio ha disatteso la contabilità prodotta dal contribuente per meri errori formali nelle descrizioni delle ricevute di vendita; – che l’accertamento induttivo operato nel caso di specie non si fonda su presunzioni gravi, precise e concordanti come richiesto dalla normativa di legge e il fatto noto da cui le presunzioni dovrebbero muovere è del tutto costruito dall’ufficio; – che l’Ufficio si è basato sullo smarrimento delle fatture e non ha voluto considerare i documenti esibiti dal contribuente né costi del tutto evidenti come i salari dei dipendenti, le bollette energetiche (necessarie per il funzionamento degli impianti), le bollette telefoniche, i trasporti dei carburanti, tutti costi regolarmente denunciati e contabilizzati; – che l’Ufficio ha rilevato eccedenza di costi delle fatture smarrite ma ne ha riconosciuto i ricavi; – che l’accertamento induttivo era legittimo, stante lo smarrimento di parte della documentazione, ma il Fisco doveva provare la ritenuta falsità delle detrazioni; – che inoltre la valutazione dell’inerenza è più qualitativa che quantitativa, deve riferirsi all’attività più che a specifici ricavi e il potere di sindacare certe operazioni è limitato a quanto previsto dall’art. 37-bis del d.P.R. n. 600/1973; – che l’Ufficio non ha motivato le proprie conclusioni, limitandosi a dichiarare che il contribuente non aveva documentato e dimostrato l’esistenza del diritto alla detrazione IVA e alla deduzione di tutti i costi riportati nella dichiarazione relativa al 2008; – che l’Ufficio non ha provato che le operazioni oggetto delle fatture non siano state poste in essere.
L’Agenzia delle entrate, Direzione provinciale di Frosinone, costituita, ha chiesto la conferma della sentenza di primo grado, rilevandone la correttezza motivazionale e deducendo: – che l’art. 12, comma 7, della legge n. 212/2000 non si applica alla fattispecie in esame, ove l’accertamento scaturisce da un invito alla presentazione della documentazione del contribuente; – che l’Ufficio ha tenuto in considerazione in favore del contribuente le fatture che questi ha prodotto, pur se tardivamente; – che per soddisfare l’onere probatorio posto dall’art. 109 Tuir il contribuente avrebbe dovuto produrre tutte le fatture di cui ai RG 13 e RG 20; – che non è vero che non sono stati considerati i costi per il personale: questi sono indicati nel RG 14 e non sono stati disconosciuti; – che la perdita delle fatture non solleva il contribuente dall’onere di provare (in altri modi) la legittimità della deduzione dei costi; – che l’atto è sufficientemente motivato attraverso l’indicazione delle norme violate e dei fatti che ne integrano l’inosservanza; – che L’ufficio non ha disconosciuto l’esistenza di operazioni (in tal caso avrebbe dovuto provarla), ma ha rilevato la mancata prova di costi inerenti, ex art. 109, comma 5, del Tuir e art. 19, comma 1, del d.P.R. n. 633/1972, prova che incombe sul contribuente anche a seguito dell’abrogazione dell’art 75, comma 6, del Tuir, che ha soltanto ampliato il regime della prova; – che per provare l’inerenza non è sufficiente il riconoscimento e la contabilizzazione della spesa da parte dell’imprenditore, perché l’inserimento di una spesa in contabilità è corretto solo se esiste documentazione di supporto da cui possa ricavarsi oltre che l’importo la ragione della spesa; – che l’Ufficio, pur potendo procedervi, non ha operato un accertamento induttivo, ma ha analizzato la contabilità e ha emesso l’avviso di accertamento ex art. 109 Tuir sulla base delle sole poste non documentate; – che vi sono altre due sentenze favorevoli all’Ufficio della CTP di Frosinone relative ad avvisi di accertamento riguardanti anni di imposta 2007 e 2009 sempre nei confronti del contribuente qui appellante.
In pubblica udienza le parti si sono riportate ai rispettivi atti.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’appello non può essere accolto.
Non emerge dagli atti che l’avviso di accertamento sia stato preceduto da accessi presso il contribuente; dall’istanza di accertamento con adesione inviata dal contribuente all’Agenzia si ricava conferma, piuttosto, che la procedura ha preso le mosse da un invito ad esibire la documentazione in possesso del contribuente. Ciò posto, vale l’insegnamento della Suprema Corte, secondo cui le garanzie procedimentali richiamate dall’appellante non sono obbligatoriamente da applicare nei casi in cui l’attività accertati va non è preceduta/accompagnata da verifiche o accessi presso i locali dell’attività del contribuente (cfr. Cass. n. 7598/2014).
L’avviso di accertamento è argomentato con formulazioni chiare e non sussiste, quindi, vizio di motivazione. L’atto riferisce sinteticamente ma puntualmente i passaggi della procedura fiscale (invito al contribuente ad esibire la documentazione relativa al periodo di imposta 2008, iniziale produzione da parte del contribuente di alcuni documenti, fra cui denuncia di smarrimento delle fatture del 2008, e successiva produzione in copia da parte del contribuente medesimo di una parte delle fatture relative ai costi sostenuti nel 2008), richiama la giurisprudenza di legittimità di riferimento, rileva la mancata documentazione e dimostrazione dell’esistenza del diritto alla detrazione Iva e deduzione di una parte dei costi riportati nella dichiarazione relativa al 2008 (indicandoli in una tabella) e la mancata prova di alcuni componenti negativi di reddito, prosegue con la quantificazione degli importi recuperati a tassazione per imposte dirette ed Iva e poi con i prospetti sinottici e con le tavole relative a violazioni, sanzioni e avvertenze per il contribuente.
Non sussiste neppure la lamentata omissione da parte dell’Ufficio tributario della valutazione dei costi deducibili e della documentazione prodotta dal contribuente. Il fondamento dell’avviso di accertamento, come ben spiegato dall’Agenzia, in conformità agli indirizzi della giurisprudenza di legittimità, sta nel fatto che occorre provare non soltanto l’esistenza ma anche l’inerenza dei costi – vale a dire che si tratti di spesa che si riferisce ad attività da cui derivano ricavi o proventi che concorrono a formare il reddito di impresa – e a quest’ultimo fine non basta il riconoscimento e la contabilizzazione della spesa da parte dell’imprenditore, giacché l’inserimento di una spesa in contabilità è corretto soltanto se è attingibile una documentazione di supporto che consenta di ricavare, oltre che l’ammontare, anche la ragione della spesa e la coerenza economica della stessa (cfr. Cass. n. 21184/2014, n. 6650/2006, n. 23866/2007, n. 14570/2001). Per altro verso, quando il contribuente non sia in grado di dimostrare la fonte che giustifica la detrazione per aver denunciato un furto della contabilità, non spetta all’Amministrazione operare un esame incrociato dei dati contabili, ma al contribuente medesimo attivarsi attraverso la ricostruzione del contenuto delle fatture emesse, con l’acquisizione – presso i fornitori – della copia delle medesime, non essendo la denuncia di furto per se stessa sufficiente a dare prova dei fatti controversi, se priva della precisa indicazione riguardante le singole fatture e il loro contenuto specifico (Cass. n. 18028/2016, n. 1650/2010, n. 21233/2006).
Sono inconsistenti anche i motivi d’appello relativi alla mancata prova ad opera dell’Agenzia della falsità delle fatture ovvero del loro riferirsi ad operazioni inesistenti. Vale osservare, al riguardo, che l’Ufficio procedente non ha contestato la veridicità delle fatture registrate in contabilità, ma ha semplicemente preso atto della mancata esibizione da parte del contribuente di (un certo numero di) fatture, la cui disamina, secondo quanto sopra ricordato, era necessaria per verificare l’inerenza dei relativi costi, ai fini della detraibilità degli stessi. L’Ufficio ha fatto dunque mera applicazione del principio dell’onere della prova, come conformato dalla richiamata giurisprudenza di legittimità, facendo conseguire l’indeducibilità alla mancata produzione delle fatture in questione, senza alcuna valutazione sull’esistenza o meno delle operazioni cui esse dovevano considerarsi riferite.
Infondata è anche la doglianza concernente il cattivo uso da parte dell’amministrazione tributaria dei poteri di accertamento induttivo, per non essersi l’Ufficio basato su presunzioni adeguate e per non aver esso considerato i documenti esibiti dal contribuente né costi certi ed evidenti, regolarmente contabilizzati. Anche in questo caso il motivo d’appello non è pertinente al tenore, ai contenuti e alle ragioni dell’avviso di accertamento, posto che, come già ripetuto, quest’ultimo è stato emesso con riguardo a costi per i quali il contribuente non è stato in grado di produrre la documentazione necessaria, mentre per il resto l’Ufficio ha preso atto della contabilità dell’imprenditore, con i costi deducibili, e non ha operato affatto un accertamento di tipo induttivo. Ciò del resto si ricava dal tenore testuale dell’avviso di accertamento, già sopra richiamato.
La soccombenza dell’appellante comporta l’attribuzione a suo carico delle spese della controparte, liquidate nel dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta l’appello. Condanna l’appellante alle spese, che liquida in € 2.000,00 oltre ad accessori di legge se dovuti.
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