COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di Cagliari sentenza n. 406 sez. 4 del 29 dicembre 2016
PROCESSO TRIBUTARIO – APPELLO – L’UFFICIO NON PUO’ FAR RIVIVERE L’ATTO ANNULLATO IN AUTOTUTELA
Fatto
Il Comune di xxxxx, Ufficio Tributi, propone ricorso in appello contro la sentenza n. 120/02/2008 emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Cagliari in data 17/4/2008, con la quale era stata dichiarata la cessazione della materia del contendere su conforme richiesta delle parti con riferimento all’avviso di accertamento n. —/070UF emesso in materia di TARSU per l’anno 2002.
Assume l’Ufficio comunale che la richiesta di cessazione della materia del contendere per l’anno 2002 derivava da un mero errore materiale nel quale era incorso il medesimo Ufficio che, provvedendo in auto-tutela, aveva annullato gli accertamenti in materia TARSU fatti nei confronti della Soc. A. SPA per gli anni dal 2003 al 2007, in quanto l’immobile per il quale era stato fatto l’accertamento era stato interessato da lavori dal 2003 al 2007; mentre, per un per mero errore, la richiesta di cessazione della materia del contendere era stata richiesta con la memoria di costituzione anche per l’anno 2002.
L’Ufficio comunale ha chiesto quindi la riforma della sentenza sopra indicata per i seguenti motivi:
a) inammissibilità del ricorso proposto nanti la commissione tributaria provinciale per mancata sottoscrizione dell’atto introduttivo del giudizio ex art. 18 co.3 D.Lgs. 546/92;
b) errata valutazione dei fatti e delle prove, poiché secondo quanto dichiarato dal rappresentante delle Società, i lavori avevano interessato l’immobile solo per gli anni 2003-2007; quindi la CTP avrebbe dovuto rilevare che l’annullamento operato dal Comune per l’annualità 2002 era frutto di un mero errore materiale, anche perché la riconoscibilità dell’equivoco derivava dal raffronto tra documentazione esibita e richieste proposte nelle memorie dell’Ufficio. Inoltre per l’annualità del 2002 non sussistono i presupposti per l’annullamento dell’atto di accertamento.
Con contro-deduzioni del 12/3/2009, controparte censura l’appello in primis quanto alla declaratoria di inammissibilità per difetto di sottoscrizione essendo tale motivo di impugnazione proposto per la prima volta in grado di appello, con conseguente inammissibilità dello stesso ai sensi dell’art. 57 D.Lgs. 546/92; inoltre la richiesta di annullamento era da considerarsi erronea anche nel merito specifico.
E’ stata richiesta la trattazione in pubblica udienza.
All’odierna udienza le parti hanno ribadito le rispettive conclusioni.
Motivazione della decisione
L’appello è infondato.
L’Ufficio comunale richiede la riforma di una sentenza di cessazione della materia del contendere, per la quale era stata fatta esplicita richiesta dalle parti in causa, sul presupposto che il provvedimento che in auto-tutela era stato adottato dal Comune (che aveva così annullato tutti gli atti impositivi) sarebbe stato frutto di una mera svista dell’Ufficio, che avrebbe ricompresso nel detto provvedimento emesso in auto-tutela una annualità per la quale il provvedimento di sgravio non poteva essere concesso; aggiunge parte appellante che l’errore in cui l’Ufficio era incorso poteva essere rilevato anche dagli atti di cui il giudice era in possesso.
L’Ufficio sostiene inoltre (come primo motivo di impugnazione) che il ricorso proposto dalla parte davanti alla CTP è inammissibile, essendo mancante della sottoscrizione ai sensi dell’art. 18 co. 3 D.Lgs. 546/92.
Tale ultima doglianza è certamente inammissibile ex art. 57 D.Lgs. n. 546/92, in quanto la domanda, certamente nuova e mai sollevata nel giudizio di primo grado, non può essere proposta in sede di appello; infatti nel contesto della comparsa di costituzione e risposta avverso i motivi di ricorso, l’Ufficio comunale si è limitato a richiedere la cessazione della materia del contendere, senza alcuna contrapposizione ai motivi di ricorso che erano stati presentati, esibendo il provvedimento di annullamento di tutti gli atti impositivi adottato in regime di autotutela.
Il giudice di primo grado ha preso atto esclusivamente di tale situazione pronunciando una sentenza adesiva a quanto richiesto.
Tale motivo di gravame è quindi assolutamente inammissibile e va rigettato.
Anche il motivo di merito deve essere rigettato.
Il lamentato difetto e/o errata valutazione dei fatti e delle prove non sussiste per un duplice ordine di considerazioni: infatti il ricorso fu proposto dalla parte contribuente per l’annullamento degli atti di imposizione relativi alle annualità dal 2002 al 2007 e il provvedimento di auto-tutela emanato dal Comune fa riferimento proprio ai provvedimenti contro í quali era stata proposta impugnativa, di tal che il giudice di primo grado si è limitato a prendere atto del provvedimento emesso che ha annullato gli atti impositivi; è quindi errato ontologicamente sostenere che il giudice dalla documentazione avrebbe potuto individuare l’errore in cui il Comune era incorso.
Ma soprattutto il motivo di appello col quale si pretende il ripristino di un atto impositivo con la semplice impugnazione, urta contro la determinazione esplicita con la quale il Comune ha annullato i propri provvedimenti. Secondo quanto affermato da giurisprudenza di legittimità (Cass. ord. n.1643 del 24 gennaio 2013), in caso di auto-tutela il provvedimento annullato cessa di esistere anche se pende giudizio, con conseguente cessazione della materia del contendere sul merito del provvedimento; in sostanza a seguito dell’annullamento di un provvedimento impositivo per auto-tutela da parte dell’Ente che lo ha emesso, questo cessa immediatamente di avere efficacia ai fini dell’imposizione tributaria, anche se lo stesso sia stato impugnato dal contribuente e sia pendente il relativo giudizio (come avvenuto nel caso in esame) mentre rimangono in contestazione solo le questioni che non siano state implicitamente definite con l’annullamento (quali ad esempio il regime delle spese, che hanno autonoma fonte regolatrice).
In pratica, l’Amministrazione Comunale non può far rivivere con l’appello un provvedimento che risulta essere stato annullato dall’Ufficio medesimo.
Ciò significa che il Comune può far rivivere il provvedimento impositivo adottando un ulteriore atto, da notificare autonomamente al contribuente, mentre l’istituto della auto-tutela in ambito tributario si pone come strumento deflativo del contenzioso, strumento atto ad evitare il ricorso giurisdizionale ma anche metodo per porre fine allo stesso, per mantenere invariato il rapporto costi-benefici amministrativi ed assicurare la cosiddetta tax compliance in ragione della pretesa del contribuente all’annullamento di un atto impositivo ritenuto ingiusto o illegittimo.
Volendo ulteriormente precisare, l’istituto, previsto già da normativa di legge, ha trovato esplicita enunciazione nell’art. 7 dello Statuto del contribuente (L.n.212/2000) e si configura come potere discrezionale nell’an da parte della P.A., con il solo limite che non è possibile procedere all’esercizio del potere di auto-tutela per motivi sui quali sia intervenuta sentenza passata in giudicato favorevole all’Amministrazione finanziaria (generale o autonoma degli Enti locali).
Conclusivamente, non potendosi scendere nel merito di atto già annullato da parte dell’Amministrazione Comunale, l’appello deve essere rigettato.
Alla soccombenza consegue l’obbligo del pagamento delle spese di causa che vengono liquidate in favore di parte appellata come da dispositivo.
P.Q.M.
la Commissione Tributaria Regionale rigetta il ricorso in appello e liquida in favore della parte appellata la somma di euro 500,00
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