La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n. 25515 depositata il 13 novembre 2013 ha negato l’estensione dell’operatività del divieto di emettere l’accertamento prima del decorso di 60 giorni dalla notifica del p.v.c. qualora la verifica sia stata eseguita nei confronti di terzi.
La vicenda ha avuto origine dal p.v.c. redatto dalla Polizia tributaria a seguito di verifica svolta presso la società T.M., da cui venivano emessi ben tre avvisi di accertamento nei confronti dei un consorzio molto prime dello spirare del termine dei sessanta giorni.
Il consorzio ricorreva avverso gli atti impositivi ricevuti inanzi alla Commissione Tributaria Provinciale. I giudici di primo grado accolsero le doglianze del consorzio dichiarando illegittimi gli avvisi di accertamento. L’Ufficio impugnava la sentenza della CTP inanzi alla Commissione Tributaria Regionale che nel confermare la sentenza di primo grado “evidenzia che gli atti impugnati traevano origine dal p.v.c. redatto dalla Polizia tributaria a seguito di verifica svolta presso la T.M. di Ivrea e che appariva evidente come la notifica degli atti, effettuata dopo 14 giorni dal ricevimento della segnalazione contenente il p.v. della polizia tributaria, non aveva rispettato i termini di cui al comma 7, dell’art. 12 l.n.212/2000, non potendo ipotizzarsi che la fattispecie esaminata rientrasse nei casi di particolare e motivata urgenza. Ed infatti, come rilevato dal giudice di primo grado, il fatto che la verifica fosse stata eseguita nei confronti di terzi e non del soggetto contribuente non si conciliava con l’ipotesi, prospettata dall’ufficio, di deroga al termine per le osservazioni del contribuente al p.v.”
La normativa esaminata è quella contenuta nell’art. 12, comma 7, dello Statuto dei diritti del contribuente che contempla la possibilità, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, per il contribuente di comunicare entro 60 giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. A tal fine, l’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza.
La sentenza dei giudici di merito viene impugnata, dall’Amministrazione Finanziaria, dinanzi la Suprema Corte di Cassazione, affidando il ricorso a quattro motivi di censura.
Gli Ermellini, nell’accogliere le doglianze dell’Agenzia delle Entrate, applicando il principio delle Sezioni Unite (sentenza 29.07.2013, n. 18184) hanno ricordato che, l’art. 12, comma 7, della L. n. 212/2000 deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento determina di per sé, salvo che ricorrono specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente.
I giudici di legittimità hanno ricordato che il vizio invalidante l’avviso emesso anteriormente al decorso dei 60 giorni non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito nella realtà giuridico-fattuale, la cui ricorrenza deve essere provata dall’Ufficio.
Dopo aver illustrato le premesse, i giudici di piazza Cavour hanno statuito che, nel caso di specie, il mancato rispetto del termine dilatorio di cui al citato art. 12, comma 7 non renda illegittimi gli avvisi di accertamento, stante l’inoperatività della tutela prevista da tale comma ai casi in cui non è stato elevato un processo verbale di constatazione nei confronti del contribuente, ma l’amministrazione si è avvalsa di verifiche compiute nei confronti di terzi per confezionare l’accertamento.
Per la Corte Suprema puntualizza, nelle motivazioni, che sarebbe lo stesso tenore letterale della norma ad imporre una simile conclusione, avendo il legislatore presupposto che il termine decorre dalla consegna di copia del pvc. Perciò, laddove il contribuente non è stato presente alle operazioni di verifica, nessun termine dilatorio potrà essere concesso allo stesso. I Giudici aditi corroborano tale decisione richiamando un precedente arresto – sentenza 16354/12 – ove si era già chiarito che le garanzie di cui all’art. 12 dello Statuto dei diritti del contribuente operano esclusivamente a favore del contribuente verificato (in loco) e non anche al terzo a carico del quale dalla verifica possano emergere dati, informazioni o elementi utili per la successiva emissione di un avviso di accertamento nei suoi confronti.
Per cui alla luce di quanto sopra indicato, i giudici supremi, hanno ritenuto che l’ambito applicativo dell’art. 12, comma 7, non si estende agli atti di contestazione irrogativi di sanzione, giacché la norma dello Statuto dei diritti del contribuente fa esplicito riferimento all’avviso di accertamento, rivolgendosi chiaramente all’atto impositivo e, inoltre, perché tali atti di contestazione irrogativi di sanzioni trovano la propria regolamentazione nell’art. 16 del D. Lgs. n. 472/1997, che racchiude una speciale disciplina che esula totalmente dai criteri guida sanciti dall’art. 12, comma 7, L. n. 212/2000 e che rende scorretta l’assimilazione di tale sottosistema a quello riguardante gli atti impositivi.
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