La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n. 27912 depositata il 13 dicembre 2013 intervenendo in tema di accertamento fiscale ha statuito che è legittimo l’accertamento induttivo a carico dell’azienda che, a fronte di una contabilità all’apparenza regolare, dichiara costi spropositati sicché la gestione imprenditoriale risulta, nel complesso, antieconomica.
La vicenda ha riguardato una società fallita a cui l’Amministrazione Finanziaria notificava un avviso di rettifica, ai fini IVA per omissione di corrispettivi, basato fondata sulla consulenza d’ufficio disposta dal P.M. nel procedimento penale concernente gli stessi fatti. La contabilità rilevava un eccesso di costi tale da dare luogo a una gestione imprenditoriale del tutto antieconomica. L’Accertamento induttivo basato anche l’ inventario analitico di tutte le merci, e non di alcuni articoli soltanto, e raffrontando i prezzi di acquisto con quelli di rivendita dei beni
La società fallita proponeva ricorso avverso l’atto impositivo inanzi alla Commissione Tributaria Provinciale i cui giudici respingevano le doglianze della ricorrente. La società avverso la decisione del giudice di prime cure proponeva ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale in riforma della sentenza di primo grado accoglieva la tesi della ricorrente rilevando la inidonietà della consulenza richiesta dal P.M., nel procedimento penale aventi ad oggetto gli stessi fatti, in quanto non costituenti presunzioni gravi, precise e concordanti, a legittimare il ricorso all’ accertamento induttivo operato dall’Amministrazione finanziaria.
Il Fisco per la cassazione della sentenza del giudice di seconde cure propone ricorso, basato su due motivi di censura, alla Corte Suprema.
Gli Ermellini accolgono il ricorso dell’Agenzia delle Entrate cassano la sentenza e decidono nel merito rigettando il ricorso introduttivo del contribuente. I giudici di legittimità conformandosi ad un orientamento consolidato, affermano che l’ esistenza di scritture contabili formalmente corrette non esclude la legittimità dell’accertamento analitico – induttivo del reddito d’impresa sia ai fini dell’imposta sul valore aggiunto (art. 54 D.P.R. n. 633 del 1972) che ai fini delle imposte sui redditi (art. 39, comma 1, lett. d], D.P.R. n. 600 del 1973), nel caso in cui la contabilità stessa possa considerarsi complessivamente inattendibile in quanto confliggente con i criteri della ragionevolezza, anche sotto il profilo della antieconomicità del comportamento del contribuente.
Per cui in tali casi, è consentito all’Ufficio finanziario dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla scorta di presunzioni semplici – purché gravi, precise e concordanti – maggiori ricavi o minori costi, ad esempio determinando il reddito del contribuente utilizzando le percentuali di ricarico, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente medesimo (cfr. Cass. n. 7871 del 2012 e n. 6852 del 2009).
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