La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 22267 depositata il 25 luglio 2023, intervenendo in tema di accertamento induttivo puro, ha ribadito che “… L’utilizzo da parte dell’Amministrazione finanziaria del metodo induttivo “puro” per omessa presentazione della dichiarazione dei redditi non preclude difatti al contribuente il diritto di allegare documentazione contabile a prova contraria (Cass. n. 29479 del 2018). …”
La vicenda ha riguardato una società a responsabilità limitata a cui l’Agenzia aveva notificato due avvisi di accertamento per due periodi di imposta diversi. Gli accertamenti erano stati emessi a seguito dell’omessa presentazione delle dichiarazioni fiscali. La società contribuente atti impositivi proponeva distinti ricorsi. I giudici di prime cure, riuniti i ricorsi, li accoglievano ritenendo che la ricorrente avesse assolto correttamente gli obblighi fiscali nei periodi d’imposta in contestazione. L’Agenzia delle Entrate proponeva appello. I giudici di secondo grado accoglievano parzialmente le doglianze dell’Amministrazione finanziaria. In particolare i giudici di appello accertato che le dichiarazioni fiscali erano state omesse, rideterminavano le imposte dovute sulla base della documentazione prodotta dalla società contribuente. Avverso la decisione di appello l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso in cassazione fondato su un unico motivo.
Gli Ermellini rigettano il ricorso. In particolare i giudici di piazza Cavour evidenziano che “… la società contribuente, sulla quale ricadeva l’onere della prova, ha addotto una serie di elementi di segno contrario al fine di dimostrare l’infondatezza, seppure parziale, della pretesa impositiva. La CTR ha riconosciuto i costi inerenti il canone per il contratto di locazione di immobili ad uso ufficio, regolarmente registrato, e le quote di ammortamento desumibili dal registro dei cespiti ammortizzabili, rilevando che i relativi importi dovevano dedursi dalla base imponibile, in quanto documentalmente provati. …”
I giudici di legittimità ribadiscono il principio di diritto secondo cui “… Nel caso di omessa dichiarazione da parte del contribuente l’Ufficio può servirsi di qualsiasi elemento probatorio ai fini dell’accertamento del reddito e, quindi, determinarlo con metodo induttivo, utilizzando, in deroga alla regola generale, anche presunzioni semplici, prive dei requisiti di cui all’art. 38, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973, sicché incombe sul contribuente, a fronte di tale prova presuntiva, l’onere di dedurre e dimostrare i fatti impeditivi, modificativi o estintivi della pretesa tributaria (Cass. n. 4785 del 2017). …”
Per cui alla luce della documentazione prodotta dalla società il Supremo Consesso puntualizza che i giudici di appello “… nel pieno rispetto dei criteri di ripartizione dell’onere della prova in caso di accertamento induttivo “puro”, ha ritenuto, con accertamento in fatto riservato al giudice di merito, che gli elementi addotti dalla società contribuente assumessero rilievo ai fini della corretta determinazione della pretesa impositiva. L’apprezzamento dei fatti e delle prove è difatti sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione» (cfr. Cass. n. 9097 del 2017). …”